giovedì 25 aprile 2013

Il diciassettesimo sigillo

Sono 17 i miei lavori sulla filmografia del Maestro contenuti nella pagina autore del sito Lulu.com


Il saggio:
IL GENIO DI UPPSALA - Il grande cinema di Ingmar Ernst Bergman spiegato a chi lo ignora


116 aforismi di Bergman: PARLA CON BERGMAN


Un saggio+racconto breve: UN'ESTATE CON MONICA


Un saggio sull'isola di Bergman: FARO MAGICA

Una raccolta di racconti: STORIE DAL PAESE DEI CICLAMINI

Saggi-monografie sui film di Bergman: IL SETTIMO SIGILLO

IL POSTO DELLE FRAGOLE

PERSONA

SUSSURRI E GRIDA

FANNY e ALEXANDER


MONICA E IL DESIDERIO

LA FONTANA DELLA VERGINE

COME IN UNO SPECCHIO

LUCI D'INVERNO

IL SILENZIO

LA VERGOGNA

CRISI




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venerdì 12 aprile 2013

In memoria di mio Zio John.

Ieri è morto a Cleveland, in Ohio (USA), dove era emigrato coi genitori nel primo dopoguerra per costruire per se e per la sua famiglia un futuro migliore di quello che poteva offrirgli la terra sassosa di Coreno, il mio caro "zio americano" Giovanni, uomo mite e laborioso.
Era marito della mia cara "zia americana" Linda, sorella di mia madre e mamma dei miei quattro cugini americani, Tony Parente, John, Mary Jane, Joanna.
Giovanni aveva subito imparato a parlare l'inglese meglio di Gary Cooper, del quale aveva lo stesso tono di voce, ma non aveva mai voluto dimenticare il dialetto della sua terra: sapeva ancora parole strane e incomprensibili in corenese: noi le abbiamo dimenticate, lui ne conservava gelosamente la memoria.
Sapeva fare tutto ed infatti il lavoro non gli è mai mancato.
Ma era bravissimo, anzi, eccelleva nel confezionamento dei pacchi da spedire in Italia nella stiva degli aerei.
Conservo un curioso aneddoto di cui voglio mettervi a parte.
Quando io e Patrizia, mia moglie, andammo in america per il viaggio di nozze, era il lontano 1991, fummo ospiti nella sua casa di Courtland Ave. Una deliziosa piccola brownestone house ad un piano col prato davanti e il garage e l'orto dietro. Proprio come si vedevano nei telefilm americani di Fonzies.
Lui, quando era libero dal lavoro, ma io ero convinto che si liberasse apposta per scortarci nella "sua" Cleveland, con la sua... Handa! come la chiamava lui, ci scarrozzava per le freeway a caccia di acquisti in "sale" e "deliverance" nei già diffusissimi, numerosi e gigantesci "out-let".
Grazie al suo infallibile fiuto per gli affari facemmo incetta di jeans Lewis, camicie di Ralph Lauren e scarpe Timberland, tutto pagandolo qualche manciata di dollari.
Qunado fu tempo di tornare non sapevamo dove mettere quella montagna di roba, avevamo poche borse, qualcuna la comprammo, ma non bastava lo stesso.
Allora Zio John, come lo chiamavo confidenzialmente, ebbe un colpo di genio: prese dal "basement" degli scatoloni di cartone che conservava (lui non buttava via niente, quale consumismo americano!). A me parevano si voluminosi ma fragili e comunque inadeguati a sopportare tutto quel peso e , mentre noi ancora dicutevamo, lui lentamente e silenziosamente cominciò a riempirli con rara razionalità e, altrettanto rara, maestria, sfruttando tutti gli spazi utili ed evitando ad arte di creare vuoti inutili. Poi, una volta riempiti, cominciò a chiuderli con lo scotch da imballaggio e a legarli con uno spago robusto, col quale, come diceva lui, realizzava una serie interminabile di ..."'ngalappi" robustissimi. Le nostre spese arrivarono in Italia nei loro pacchi, come erano stati spediti.
Quando, ogni due anni, Zio John veniva a Coreno con Zia Linda e qualche figlio e amici al seguito, per le vacanze estive, che duravano sempre tre mesi, passava al negozio per le batterie che usava per gli orologi e per i suoi strumenti di misurazione elettronici. S'arrabbiava se dicevo che erano in omaggio e mi dava sempre più di quello che costavano. Non sono mai riuscito a sdebitarmi con lui, almeno fino a quando non mi hanno chiamato a dire due parole il giorno che a Coreno nella nostra, nella loro chiesa, Giovanni e Linda festeggiarono il matrimonio che non avevano mai avuto a Cleveland negli anni '50: i loro parenti erano tutti quì  e quella sera per la doverosa replica erano attorno a loro, festanti, soddisfatti, e soprattutto ...tutti.
Feci il mio discorso, naturalmente a braccio e col cuore, cercando di dire cose belle e vere, le uniche che potevo dire e, insieme anche coltivando l'ambizione nascosta, di far scendere qualche lacrima e di strappare qualche sorriso, ma quei fessi si commossero davvero.
E pure allora Zio John mi voleva ricompensare con una banconota da 50 dollari, che io ovviamente non accettai. Stavolta mi arrabbiai io. Restavo io sempre in debito con lui.
Ora non so dove sia andato: ma se davvero esiste un paradiso per gli uomini miti e laboriosi lui ci dev'essere arrivato sicuro.
Spero che oggi abbia potuto trovare lassù un futuro di meritato riposo e, comunque, migliore di quello che ha costruito col suo sudore a Cleveland, la sua seconda patria.
Io sono certo che, anche se quella città, quella nazione ricca gli hanno dato molto, sarà sempre seconda rispetto a Coreno, la sua vera terra.
Quella che lui ha amato, che non ha mai dimenticato e che non potrà ospitare la sua ultima dimora.  Ciao Zio John. R.I.P.