martedì 18 febbraio 2020

Se chiudono i negozi chiude l'Italia.

   Lo scenario che qualcuno aveva largamente preconizzato alla fine degli anni '80-'90 si sta largamente, velocemente e inesorabilmente realizzando: la desertificazione delle attività commerciali in Italia appare un fenomeno in continua accelerazione, e potrebbe portare – secondo le stime della Confederazione – alla scomparsa dell’intera rete dei negozi nel nostro Paese già nell’arco dei prossimi 10 anni. SIC! 

(Un paese "abbandonato" Sermoneta, LT e la sua Loggia dei Mercanti sono l'emblema della crisi del commercio e dei piccoli centri)

   Ma il fatto grave è che il problema non viene affrontato praticamente da nessuno. Le associazioni di categoria finora si limitato a dare l'allarme, allarme che non viene raccolto da nessuno: non dal Governo centrale, non dai governi regionali, non dalle amministrazioni locali. Come ormai accade da molti anni anche questo problema viene considerato ineludibile, irrisolvibile, quindi resta lì come un dato di fatto, incancrenendosi, senza che nessuno faccia qualcosa di concreto.
   E' ovvio che la crisi delle attività commerciali rappresenta anche la crisi delle nostre città e, soprattutto, dei nostri paesi. L'Italia dei paesi, l'Italia dei piccoli e medi centri (ce ne sono più di 5000 su tutto il territorio nazionale), l'Italia che sopravvive da 1000 anni secondo questa organizzazione socio-ecomonico-culturale è inesorabilmente sul viale del tramonto?  
   Secondo quanto rileva l’Osservatorio Confesercenti si. Infatti, nei primi 4 mesi dell’anno ha aperto un solo negozio ogni tre che hanno cessato l’attività circa. Complessivamente, la distribuzione commerciale ha registrato la chiusura dall’inizio del 2013 di circa 21.000 imprese, per un saldo negativo di 12.750 unità. Se si dovesse continuare così, stima Confesercenti, alla fine del 2013 avremmo perduto per sempre circa 43.000 negozi. “Se l’accelerazione delle chiusure dovesse continuare anche nei prossimi mesi – spiega Confesercenti – perderemo la totalità delle imprese del commercio al dettaglio già nel corso dei prossimi 10 anni. E’ un’emergenza sociale, economica ed occupazionale insieme: se si considera che, mediamente, ogni impresa del commercio occupa tre persone, rischiamo di far crescere la disoccupazione di oltre 120mila unità entro la fine del 2013. Un dato che dimostra ancora una volta che l’Italia non può permettersi la catastrofe del settore commerciale: il conto sarebbe troppo salato”. 
   “C’è quindi bisogno – è l’appello della Confederazione – di interventi urgenti per facilitare la tenuta delle aziende. Occorre, da un lato, un intervento sulle tasse che schiacciano le imprese e sulle regole di mercato, per evitare distorsioni della concorrenza, così come una maggiore disponibilità di credito per le PMI e una profonda semplificazione burocratica. Dall’altro, è più che mai necessario un alleggerimento della pressione fiscale che grava sui consumi delle famiglie. Per questo, riteniamo essenziale evitare l’ulteriore aumento dell’aliquota IVA al 22%: avrebbe un effetto depressivo sui consumi, già in crollo dal 2012, e non produrrebbe gettito aggiuntivo per lo Stato. Piuttosto, sarebbe opportuno, al maturare delle condizioni, impegnarsi a riportare l’aliquota IVA al 20%.”. 

   La più che documentata crisi del commercio, in Sicilia ha portato già al record di chiusure. A Roma spariscono 790 negozi. Ma la crisi della distribuzione commerciale tradizionale ormai si estende a tutto il Paese, senza eccezioni. Dalle gradi città ai piccoli paesi. E in tutte le regioni si mostra un saldo negativo nelle imprese del commercio. I picchi peggiori si registrano in Sicilia – dove il saldo negativo è di 1.557 imprese – e in Campania, dove hanno cessato l’attività, senza essere sostituiti, 1.470 negozi. Seguono, nella classifica dei peggiori risultati, Lombardia (-1.263), Lazio (-1.033) e Piemonte (-1.019). Tra le province, invece, spicca il risultato di Roma: nel primo quadrimestre, la Capitale ha visto chiudere per sempre 790 negozi di vicinato, il 76,5% del totale degli esercizi perduti nel Lazio. Un saldo negativo record, pesantemente influenzato dal boom di cessazioni nella città (1.394). Al secondo posto, per chiusure, la provincia di Napoli, dove hanno cessato l’attività 1.363 imprese del commercio, per un saldo negativo complessivo di 632 unità. Seguono, nella top 5 delle città che hanno registrato i risultati peggiori, Torino (-542 negozi), Palermo (-359) e Milano (-348). Servizio di vicinato, dunque, sempre più a rischio per le fasce sociali più deboli. Dai dati dell’Osservatorio Confesercenti emerge che, sempre nei primi mesi dell’anno, la contrazione del servizio di vicinato si accompagna all’aumento della popolazione residente sopra i 65 anni, per i quali la disponibilità dei negozi sotto casa è un fattore determinante nella qualità della vita, perché permette spostamenti più brevi e meno gravosi per gli abitanti più anziani: nei Comuni con una incidenza dell’indice di vecchiaia superiore alla media nazionale si rileva, infatti, un saldo negativo delle attività commerciali pari a 7.209 unità, di cui 839 riguardano il dettaglio alimentare (mentre hanno chiuso per sempre 5.541 esercizi commerciali nei Comuni con una incidenza dell’indice di vecchiaia inferiore alla media nazionale). 
   Al momento, l'unica nota positiva è che reggono la crisi delle chiusure i comuni litoranei: contro la crisi sembra valere il sodalizio tra Turismo e Commercio al dettaglio. I comuni litoranei resistono al fenomeno della desertificazione urbana rispetto ai comuni dell'entroterra: si registra, per i primi, un saldo negativo di 4.318 negozi di vicinato a fronte di un record di chiusure di 8.432 per i secondi. L’impatto del turismo sui comuni litoranei fa da traino, evidentemente, alle attività commerciali, dimezzando il trend negativo di chiusure.
   Allora, probabilmente, proprio da questo dato bisogna ripartire per cercare delle soluzioni al problema. 
   Chissà che non bisognerà (ri)cominciare a pensare al turismo (con tutto quello che esso significa in termini di agricoltura, cultura, storia, arte, gastronomia, enologia e tipicità dei prodotti) come rimedio ai tanti problemi economici, sociali e culturali che assillano da anni il nostro Bel Paese e che l'industrializzazione selvaggia e assistenziale della ex-CaMez non è mai riuscita a risolvere? 
   E chissà se quelli che oggi salutano e festeggiano entusiasticamente l'apertura dell'ennesimo (inutile) centro commerciale, oppure che fanno shopping on line, sono gli stessi che domani avranno paura a passeggiare per le strade buie e senza illuminazione delle loro città deserte? 
Meditate gente! Meditate! 

smr