sabato 23 ottobre 2021

 ''Scene da un matrimonio'' un capolavoro di Ingmar Bergman.



   Si e' molto parlato in questi giorni della nuova serie tv ''Scene da un matrimonio'', il remake in lingua inglese dell'omonimo film di Ingmar Bergman del 1973. Questa ha come protagonisti, peraltro abbastanza bravi, Oscar Isaac e Jessica Chastain, oltre che brava anche bella,  nei ruoli che furono dei due portentosi attori feticcio bergmaniani: Erland Josephson e Liv Ullmann. Io l'ho visto, e devo dire che la serie ha luci e ombre. E aggiungo anche che non ha niente a che vedere con il film originale di Ingmar Bergman. Peraltro il regista Hagai Levi ha riadattato e rimaneggiato la strabiliante sceneggiatura del maestro svedese. Ne risulta una trama quasi completamente nuova e personale che ricorda solo lontanamente quella dell'originale. Non staro' qui a tentare di dissuadere a non farlo, chi volesse vedere la serie lo faccia pure. Mi permetto, pero', di dare un consiglio. Dopo averla vista andate a rivedere il film di Ingmar Bergman e noterete da soli e senza esitazioni le enormi differenze tra le due opere che evidentemente di uguale hanno solo il titolo. Dopo di che, se volete anche assaporare tutta la profondita' del film svedese potreste leggere il mio saggio: ''Scene da un matrimonio Un capolavoro di Ingmar Bergman'' che contiene una sinossi completa del film e la mia recensione.

Metto qui un ampio stralcio del mio lavoro.

L'incomunicabilità nella coppia moderna.
Scene da un matrimonio è l'ennesimo film di Ingmar Bergman sul problema della incomunicabilità tra gli uomini e sul dramma della impossibilità di una corretta gestione dei rapporti interpersonali e interfamigliari. In Scene da un matrimonio Ingmar Bergman affonda il suo bisturi in modo profondo, crudo, violento, volutamente e assolutamente impietoso, senza anestesia, nella carne viva della istituzione familiare per eccellenza: il matrimonio. L'opera è un affresco complesso e impressionante dell'istituto matrimoniale, un quadro contundente, dipinto con palese, quasi compiaciuto pessimismo, in parte dovuto, come quasi sempre nei film di Ingmar Bergman, a motivi autobiografici. In questo caso specifico contribuisce, certamente, la fine recente della sua relazione con Liv Ulmann. “Ingmar mi lasciò con una lettera di undici pagine.” A Ingmar Bergman non interessa dipingere la separazione dei due coniugi, ma piuttosto lo studio analitico della fenomenologia del fallimento dell'evento matrimoniale e le sue conseguenze sui singoli. I due protagonisti, Marianne e Johan, nell'intervista che apre il film, si presentano come due coniugi felici, soddisfatti, accontentati, quasi compiaciuti (a dire il vero più lui che lei) dalla perfezione del loro rapporto e dall'obiettivo della macchina fotografica del cameraman, che pare carezzarli immortalandoli in momenti di vero rapimento, di estasi matrimoniale. Ma quella perfezione inespressiva, che si rivelerà finta, sembra fin dall'inizio troppo fragile per resistere alla furia delle liti e delle discussioni. Ingmar Bergman aveva già accennato all'impossibilità della coppia di vivere nella sincerità, e di resistere alle intemperie della vita, nel suo precedente "Sussurri e grida". Tra i due coniugi (interpretati dagli stessi attori che lì erano amanti), infatti, si fanno strada sospetti e diffidenze, rimorsi e tormenti, fallimenti e delusioni, capaci di far franare il loro ideale di vita comune. Quando Johan confessa alla moglie di averla tradita, in lei traballa l'equilibro psichico. Marianne ricorda la profetica esposizione della signora Jacobi, sua assistita, che le aveva raccontato come può essere non solo rovinoso ma autodistruttivo un matrimonio vuoto d'amore. È anche questa la causa dell'esplosiva violenza di Johan nei confronti di Marianne, al momento di firmare le carte del divorzio e dell'isterico impulso erotico che spinge Marianne a chiedere al marito sempre un ultimo bacio, un'ultima notte, un ultimo amplesso, un ultimo piacere. La coppia, ritrovato l'equilibrio nervoso e un minimo di civiltà, riesce a ritrovarsi solo grazie al dialogo, alla tolleranza, alla comprensione e alla tenerezza dei ricordi. Attraverso l'egoismo si arriva alla morte del matrimonio; dalle ceneri del matrimonio, attraverso la solidarietà reciproca, la capacità di ascoltare, la lealtà e la capacità di comprendere, rinasce - una nuova consapevolezza. Il film narra la radicale trasformazione del sentimento che ha indotto la coppia alla convivenza, l'amore, in puro odio. E prova che gli obblighi e le convenzioni possono essere nemici delle relazioni matrimoniali. Il film lancia un messaggio universale di rispetto fra gli uomini. Mutua il messaggio evangelico : “Ama il prossimo tuo come te stesso”, che Bergman, all'inizio del film, mette in bocca a Marianne. Per Bergman “Dio è l’Amore, e l’Amore è Dio. L’Amore è una prova dell’esistenza di Dio. L’Amore è la sola realtà di questo nostro pietoso mondo terreno.”


giovedì 2 settembre 2021

 Cosa penso di Roberto Benigni. In breve. 




Rischio di essere una voce fuori dal coro di giubilo per il premio alla carriera attribuito al comico ieri a Venezia, ma Roberto Benigni non mi è mai piaciuto e non mi è mai stato simpatico. Ciò non toglie che per curiosità e necessità di documentazione abbia visto molti se non tutti i suoi film e abbia seguito abbastanza assiduamente le sue apparizioni in TV. A mio personalissimo parere è attore e regista ampiamente sopravvalutato. E sempre a mio modesto avviso è reo di aver sdoganato nello show-bizz italiano la furbizia a danno dell'intelligenza. Da alcuni è considerato un genio, mentre è solo un genialoide pazzo, troppo spesso anzi, quasi sempre, sopra le righe, perché ha capito che oggi per avere successo bisogna proporre qualcosa di originale. Sono 50 anni che, praticamente, propone sempre lo stesso copione e ormai e' diventato la parodia di sé stesso. Ha capito che in Italia, per essere qualcuno, bisogna avere santi in paradiso e lui e' andato a cercarseli sempre tra quelli che detengono il potere. Cosi' sfrutta molto bene le amicizie nel mondo del cinema, ma anche quelle politiche, grazie alle quali si procura cachet milionari e grazie alle quali ha portato a casa un Oscar largamente immeritato che gli consente di vivere di rendita. Per completare il quadro manca solo che quei ridicoli insipienti giurati svedesi gli attribuiscano un Nobel al quale - udite! Udite! E' già stato candidato nel 2007. Sic! Per quale categoria? I Guitti! Ultima annotazione: sbandiera ai quattro venti la sua cultura e poi sbaglia termini di uso corrente nella lingua italiana. Andatevi a guardare su YouTube il video del suo monologo sul Cantico dei Cantici del 2006 e lo sentirete pronunciare la parola alvèo invece che àlveo. Uno scandalo! Forse sarebbe il caso, per ripristinare nel nostro tanto vituperato paese un livello minimo di credibilità e di sensatezza ricominciare, ad esempio, a mettere un po' d'ordine nei giudizi critici e un piu' equilibrio nell'uso delle parole. A cominciare, magari, dalla parola genio. Come giustamente diceva Moretti... Ma come parli? Le parole sono importanti.
P.S. Onestamente a me Benigni ha rotto il cazzo! Ops! Non si può dire? Allora è meglio usare uno dei nomignoli che lui stesso ha proposto per dire... cazzo. Potete sceglierlo nell'elenco che segue: la sberla, il calippo, il pitone, il missile, l'obelisco, la baguette, la ciriola, il maritozzo, il pendolino delle 18,30, lo sciupavedove, lo sventrapapere, il vermicione, il tronchetto della felicità, l'affare, l'arnese, il malloppo, il pacco, il bastone, il candelotto, il manico, il cavicchio, la falce, la pertica, il fuso, il manganello, il ferro, la manovella, il randello, la mazza, l'asta, l'archibugio, la clava, la mazza, l'arpione, il timone, il batacchio, il bischero, il piffero, il cero, la reliquia, il belino, il fiorino, il quattrino, il tallero, il crick, il menhir, il pirla, lo scettro e... gli altri 100 tutti da lui codificati e sdoganati decenni fa in TV davanti a una falsamente basita e o falsamente divertita Raffaella Carra'.

smr


venerdì 5 marzo 2021

  Oggi 5 marzo Pier Paolo Pasolini, se fosse sopravvissuto abbastanza, avrebbe compiuto il suo 99esimo compleanno. Ovviamente la domanda e' una sola. Quale sarebbe stato il suo commento sull'attuale situazione polica, sociale ed economica della nostra Italia. Metto qui una delle sue poesie piu' belle, a dispetto di qualche purista attento piu' alla metrica che alla profondita'. Una di quelle che sicuramente piu' lo rappresentano. E, comunque, una di quelle che a me piacciono di piu'.


















''La terra di lavoro''.

Poesia tratta dal suo libro ''Le Ceneri di Gramsci''. Contenuta nell’ultimo degli undici poemetti che lo costituiscono. Considerato, se non il suo capolavoro, uno dei suoi libri più letti, per la virulenza dei versi che raggiungono nei testi portanti vertiginose altezze poetiche. Colpisce il pathos, dai versi affiora la cupa drammatica immagine del quadro di Daumier “Il vagone di terza classe”, ma gli sguardi di quegli emarginati che si vergognano della loro povertà, vissuta come una colpa, non sono certo un’immagine fine a se stessa.




E non sfugge a Pasolini la dolorosa scoperta dello schiacciamento delle masse popolari da parte del Potere, vittime di una societa' che nei primi anni ’50 si sta delineando nelle sue forme piu' aberranti di privilegio e di esclusione. E questi potenti versi di denuncia non sono altro che il suo bisogno di raccontare le deformazioni della realtà sottraendosi alla logica perversa di una società corrotta e servile.

''Dentro, nel treno che corre mezzo vuoto,
il gelo autunnale vela il triste legno,
gli stracci bagnati: se fuori è il paradiso,
qui dentro è il regno dei morti,
passati da dolore a dolore
- senza averne sospetto.
Nelle panche, nei corridoi,
eccoli con il mento sul petto,
con le spalle contro lo schienale,
con la bocca sopra un pezzetto di pane unto,
masticando male, miseri e scuri
come cani su un boccone rubato:
e gli sale se ne guardi gli occhi, le mani,
sugli zigomi un pietoso rossore,
in cui nemica gli si scopre l’anima.
Ma anche chi non mangia o le sue storie
non dice al vicino attento, se lo guardi,
ti guarda con il cuore negli occhi, quasi,
con spavento, a dirti che non ha fatto nulla di male,
che è un innocente...
in una gioia ch’è forse conservata
- come una scheggia dell’altra storia,
non più nostra - in fondo al cuore di
questi poveri viaggiatori: vivi, soltanto vivi,
nel calore che fa più grande della storia la vita.
Tu ti perdi nel paradiso interiore,
e anche la tua pietà gli è nemica.''