Oggi è accaduto un fatto straordinario. Ve lo racconto.
Avevo appena aperto il negozio, entra un signore che conosco per canbiare la
pila all'orologio. Mentre eseguo il lavoro parliamo un po' del più e del
meno. Conoscendomi per uno interessato alle questioni amministrative il discorso finisce sul piano di recupero del centro storico.
E' polemico e mi fa: "Ma come... stanno facendo la ristrutturazione dei
Curti e invece di portare alla luce le pietre delle facciate le facciate le stanno
intonacando?"
Gli ripondo: "Io mi occupo di paesologia, e queste
cose le ho scritte anche sul mio libro. Ne parlerò al sindaco. Adesso
ascolta quello che ho da dirti, anzi da leggerti."
Poi prendo il mio libro e inizio a leggere dalla mia presentazione.
"Vivo in un paese brutto. Brutto, perché maltenuto; brutto, perché
cresciuto disordinatamente - senza armonia; brutto, perché disseminato
di case senza facciata; brutto, perché zeppo di stabili fatiscenti coi
muri crepati. E’ un vero peccato! Perché di sicuro non è stato
sempre così. Un difetto di senso estetico, poco meno che generale, l’ha
reso brutto; il disinteresse, l’egoismo e la sciatteria, di chi lo ha
amministrato per anni e della sua gente, hanno fatto il resto. Io
penso che alla sua nascita - mille anni fa - fosse molto diverso da
com’è adesso. Anzi, sicuramente era diverso. Sicuramente era migliore.
E, a suo modo, doveva pure essere bello. Posso immaginare com’era -
senza sforzo. Se chiudo gli occhi le vedo ancora le sue case basse:
paiono reggersi lungo il pendio scosceso, puntellate nella terra e nei
sassi. Sembrano gatti che si reggono sul sofà con gli artigli ficcati
nello schienale. Sono addossate, appiccicate una sull’altra, a modellare
i minuscoli, caratteristici borghi, stipati di portici archi e
loggiati, che conservano ancora il nome degli edificatori primordiali.
Tutte di pietra viva e malta impastata a colpi di badile; tutte coi
serramenti di quercia laccati al naturale. Li vedo ancora i suoi tetti
coperti di coppi fatti a mano: tutti uguali nella forma, tutti diversi
nei colori, estratti a caso dall’impasto di terracotta. Le vedo ancora
le sue macere di pietra a segnare i confini delle proprietà - fuori del
centro abitato e anche dentro. Appena spaccate, le pietre sono di un
bianco abbagliante, quasi lunare; poi, col tempo, diventano grigie - per
accompagnarsi meglio alla tristezza del paesaggio circostante."
E per tutta risposta, quello entusiasta: "Ma questa è poesia!, Ma come
lo hai dipinto bene. Lo voglio, lo voglio. Questo libro lo compro,
voglio tenerlo a casa e conservarne una copia."
Lo paga, lo prende e
fa per andarsene. Fa appena qualche metro e torna indietro, e con voce
quasi commossa: "Ma, se tu hai questo dono, devi sfruttarlo meglio:
scrivi ancora, scrivi molto, mi raccomando!"
Mi schermisco, ovviamente, per modestia, e mentre si accomiata
mi commuovo anch'io: quella cosa della poesia è la stessa che mi disse
il mio amico critico Roberto, morto di recente, la sera della
presentazione a Coreno: "...Queste frasi hanno la cadenza della poesia!"
Da due anni silenziosa mi rimbomba in testa, Antonio l'ha risvegliata.
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