giovedì 2 agosto 2018

Il mio ultimo lavoro: "Storie vere di briganti ciociari e altri racconti".





Metto qui la eccellente prefazione del critico letterario e amico prof. Dante Cerilli. Che, naturalmente, ringrazio.




Nota critica alle Storie vere di briganti e altri racconti 

"Posso dire di avere abbastanza cognizione di causa per individuare la differente modalità scrittoria che Salvatore M. Ruggiero adopera quando scrive testi sugli argomenti e i personaggi che più lo avvincono (come il cinema, ad esempio, ed Ingmar Bergam), di paesologia (girovagando per i comuni del Lazio e di altre regioni, ispirato da Franco Arminio che ne è il codificatore, ma ammettendo che “Pagine lepine” ne sia addirittura precorritrice), di narrativa (come nel caso delle sue recenti pubblicazioni on-line e cartacee, o di Storie vere di briganti e altri racconti). Se nel primo caso il tenore dello stile rispecchia la caratteristica di chi vuole informare, divulgare, riflettere e ragionare sulle condizioni della poetica e sulle “pieghe” delle personalità artistico-individuali, nel secondo caso l’impronta diaristica e del “giornale” di viaggio prevalgono con l’intento di rendere snello ed agevole il discorso sulla toponomastica, topografia, e sulla carta tematica che rappresenta una mappa socio-economica di un paese ritratto insieme ai lineamenti storici che lo hanno connotato nel corso dei secoli e nella contemporaneità. Nel terzo caso, invece, l’aspetto creativo fa germogliare l’estro di questo prosatore, che contamina le forme ortodosse del periodare per costellarle di interpunzioni e di strutturazioni che rendono soggettiva la forma della proposizione, o con l’intento di usare concordanze ardite, come traslando il colloquiale del parlato reale alla sequela cronachistica del discorso semiologico su carta. Sebbene autobiografia, storia e affabulazione pervadano la narrativa di Salvatore M. Ruggiero, nel caso specifico di “Storie vere di briganti e altri racconti”, lette in anteprima, l’atteggiamento poetico-estetico dei piccoli saggi e della paesologia confluisce interamente nell’economia stilistico-strutturale ed organica dell’opera; per cui non è raro trovarvi citazioni colte scaturite 8 dalle più appassionate frequentazioni letterarie note al riguardo di Ruggiero e pittoriche (Vermeer), oppure quelle più localistiche (da segnalare la “Storia di Coreno” di don Giuseppe La Valle), per nulla escluse fiabe, favole, leggende, dicerie di ogni epoca di ogni nazione, ma soprattutto della Ciociaria, crogiuolo e ricettacolo di terminologie non autoctone che l’autore utilizza per rendere più autentico il parlato e sicuramente più affascinante per chi voglia scoprire connessioni etnolinguistiche ed etnostoriche. Tanto vale per la meticolosità delle descrizioni ambientali e “geografiche”, quanto per le informazioni di carattere storico (peraltro consegnate nella spontaneità e nell’immediatezza di un nonno che racconti le gesta dei personaggi illustri del paese al proprio nipotino), la suggestione emotiva di luoghi, ambienti e personaggi (dico io in una sorta di psicoantropologia del vecchio e del nuovo), siano essi briganti, banditi, massaie, lattaie, preti, perpetue, contadini, pastori, botteganti, sindaci, uomini dagli atteggiamenti e dai soprannomi bizzarri che affollano le scene ricreate e dipinte come nella sensibilità di colui che attraverso la scrittura vuole creare entusiasmo e gioia allo sguardo, agli occhi (come diceva Delacroix), tanto che tutto si pervade di leggerezza e talora d’impertinenza. L’eterogeneità delle storie narrate contribuisce a vedere un diverso piano di cimento dell’autore che dalla semplice narrazione di fatti e di eventi, con la riproduzione circostanziata e circostanziale di particolari “coreografici” del racconto, passa ad una più intima atmosfera che mai indulge ad un lirismo sdolcinato dei sentimenti rievocati, in effetti, con sobrietà. Salvatore M. Ruggiero, in verità, è così anche nella vita reale, quotidiana, egli sa scherzare, sa interagire con allegria con chiunque, sa condividere una gioia, ma senza abbandonarsi ad effusioni enfatiche, esasperate ed esagerate. Come pure egli sa comprendere (nel senso del termine che anche lui usa per dire “sentire insieme”, “mettere insieme” e “sentire-stare dentro”) il dolore, esteriormente, con una grande forza di spirito che comprime, appunto, ogni energia negativa e quasi 9 catarticamente la neutralizza, per essere più leggero e per non far pesare sugli altri il velo della tristezza. Per questo anche quando si parla di distacco, di gente che non c’è più, i toni sono sempre quelli del narratore “regredito” che fa vivere senza eccessivi traumi anche gli eventi più brutti. Una presunta originalità di questi racconti sta nel fatto che risultano avvincenti e si lasciano leggere non perché si arrivi ad un finale a sorpresa, a un colpo di scena, ad una conclusione eclatante: ogni volta ci si accorge che questo non succede e che il punto, che chiude l’ultimo pensiero espresso o narrato, sta lì a dire che si è definito solo un episodio, che solo un quadro di vita è stato incorniciato. Ogni racconto ha la sua specialità nel suo organismo, e la sua ricchezza in un filo conduttore che ti fa leggere, come in una corsa, tutto d’un fiato, fino alla parola che fa da attracco. Il motore di questa costruzione d’intrigo è tutto ciò che emoziona il protagonista bambino o adolescente, come la scena della lattaia che scatena un sommovimento erotico nella mente del piccolo che nella ritualità della mungitura e della distribuzione del latte associa ad ancestrali sentimenti; è la descrizione raccapricciante del fatto che occorse a Marco Ruggiero detto il cannibale, il sapore di zucchero e caffè stantio nella madia della casa divisa in “quarti”, il cachi sottratto nelle piratesche escursioni nel “quarto” di zia Maria la piccola, o il profumo e i colori degli alberi autunnali di zia Maria, la grande, il salotto buono di zio Peppino Barbera, maestro e sindaco, o la controversa personalità di Pascaglin’e tuppu che secondo il nonno dell’autore è come se avesse la corona in mano e il diavolo in saccoccia! Non ultimo è un chiaro accenno alle vicende politiche e amministrative di Coreno Ausonio che si è mostrata, nei secoli, sempre di spirito rivoluzionario contro l’oppressore, in epoca moderna (e anche oltre), sin dal XVIII sec., appena a un decennio dalla presa della Bastiglia, già impegnata contro le truppe francesi che scorrevano sul territorio del Regno di Napoli, e in questo si distinsero gente comune, sindaci e preti! 10 Dalla lettura di queste storie, inoltre, si ha percezione che non sia mai netto e chiaro il confine tra l’evento o fatto biografico e quello di fantasia, tra quello storico e quello puramente leggendario, nonché il paradosso a volte induce a pensare che l’autore o il popolo si siano abbandonati alle fonti dell’immaginario collettivo quasi a voler esorcizzare il male per far trionfare il bene; come quando, un tempo, nella ragione di vita o nella ragione d’essere di un accadimento si neutralizzava l’efferatezza, il disagio, una calamità, o un pauroso mistero. Eppure, una vitalità di personaggi, dalle qualità psico-caratteriali davvero esilaranti o torbide, intesse la trama di ogni racconto e lo rendono documento che tende a ricreare gli ambiti di un passato lontano, di Coreno Ausonio, ma anche recente, di cui Salvatore M. Ruggiero e qualche suo antenato (nonno, zio/zia, pro zio/zia, cugino, genitori), insieme ai “tredici casali” del paese (Vori, Onofri, Stavoli, Rollagni, Carelli, La Torre, Curti, Magni, Pozzi, Lormi, Tucci, La Piazza e Ranoccoli) sono protagonisti, e che altrimenti andrebbe perduto." (Dante Cerilli)

Nessun commento:

Posta un commento