domenica 3 novembre 2019

Ero convinto, ora sono sicuro.

  • Ero già abbastanza convinto di avere scritto, nel mio libro "Il Cancro Addosso", tutte cose vere, solo cose vere, perché la storia di Patrizia è una storia vera ed io l'ho vissuta personalmente, insieme a lei. Adesso, dopo aver letto l'articolo che vi propongo qui di seguito, ne sono anche sicuro. L'articolo che segue questa mia breve introduzione, infatti, conferma, uno per uno, tutti gli errori, tutti i drammatici dubbi, tutte le perplessità che costellano la malattia cancro e che io, avendole vissute, ho ampiamente anticipato nelle mie pagine. 
  • Nell'articolo si legge: "Con la campagna "Chiedo di +" abbiamo voluto interpellare le dirette interessate, le pazienti, per far emergere dalla loro esperienza quali sono i gap da colmare affinché tutte Breast Unit d’Italia funzionino secondo i criteri previsti dalla normativa”. Una specie di: "tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare?", come ripeteva spesso mia madre quando ero bambino, solo che lei non metteva il punto interrogativo. Ripropongo, quindi, l'articolo che ho letto, nella sua versione originale, inserendo, come testimonianza personale, alcuni brani che ho riassunto dalla mia esperienza e che confermano semplicemente la visione reale e fedele delle cose così come esse, durante il decorso della sua malattia, sono state realmente vissute da Patrizia sulla propria pelle e da me indirettamente come osservatore molto interessato. In questo modo ho anche l'opportunità di rispondere all'intervista al posto di Patrizia, perché a lei - che non può più rispondere - sarebbe piaciuto molto fornire la sua propria testimonianza. Dopo la lettura di ogni brano dell'articolo scientifico (in grassetto), e preceduto dal segno dell'hashtag (#), chi avrà abbastanza pazienza e curiosità di arrivare alla fine potrà leggere il mio commento sottolineato per consentire una più adeguata differenziazione tra i due testi. 

  • # Cominciamo!
  • A cinque anni dalla legge che stabilisce l’istituzione delle "Breast Unit", un’indagine condotta dall’Istituto di Ricerca SWG fotografa per la prima volta lo scenario, riportato dalla voce delle pazienti stesse. La ricerca è al centro della campagna "Chiedo di +", realizzata da Europa Donna Italia con il supporto incondizionato di Roche, presentata al Senato della Repubblica e i cui risultati sono stati riassunti in 10 punti nel Manifesto "Chiedo di +". “Dal dicembre 2014, quando la Conferenza delle Regioni ha recepito le linee di indirizzo ministeriali, i centri di senologia sono stati avviati gradualmente in quasi tutto il territorio nazionale; tuttavia, se in alcune Regioni stentano ancora a decollare, a livello nazionale non è ancora stato condotto un monitoraggio omogeneo della qualità delle prestazioni e dei percorsi offerti alle pazienti’, afferma Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna Italia. Con la campagna "Chiedo di +" abbiamo voluto interpellare le dirette interessate, le pazienti, per far emergere dalla loro esperienza quali sono i gap da colmare affinché tutte le Breast Unit d’Italia funzionino secondo i criteri previsti dalla normativa”, aggiunge. 
  • Tra i gap riscontrati il primo riguarda i tempi di attesa in ogni fase del percorso – dalla formulazione di una diagnosi completa alla cura prima e dopo l’intervento – percepiti ancora come troppo lunghi. Le pazienti infatti riportano 2,3 mesi di attesa in media tra l’esecuzione degli esami e la diagnosi.
  • # Dalla prima diagnosi, e dopo una serie di visite e controlli successivi in diverse strutture ospedaliere e con diversi medici, l'intervento di mastectomia fu fissato a Sora per la metà di gennaio del 2019. Dalla diagnosi primitiva al primo intervento terapeutico vero e proprio, quello chirurgico, passarono esattamente tre mesi e mezzo. Non proprio pochi: il tumore di ca. 1 cm al momento della scoperta, crebbe, nel frattempo, fino a ca. 2 cm. Solo dal prelievo con l'ago aspirato per l'esame istologico al referto passò quasi un mese.

  • Tra le malate di cancro al seno quasi una paziente su tre riferisce di non essere stata curata in una "Breast Unit!, cioè in un "Centro di senologia multidisciplinare". Né di aver ricevuto e di ricevere le informazioni necessarie per poter scegliere con consapevolezza un centro al quale rivolgersi.
  • # Dopo la prima diagnosi avvenuta a Mandragone all'inizio di ottobre del 2010, e una successiva visita presso un dottore dell'ospedale di Formia, Patrizia, verso la fine di ottobre, si reca all'ospedale Sant'Andrea di Roma, per una visita preliminare al Centro Senologico Interdisciplinare. La senologa fissa un successivo appuntamento per l'esame dell'ago aspirato e altri giorni e settimane passano per ottenere il referto dell'esame istologico. Qualche giorno prima di Natale, a seguito di una mia fortunata ricerca sul Web, faccio una scoperta interessante: all'ospedale SS. Trinità di Sora opera la dottoressa Teresa Gamucci che ha creato una Unità Senologica Interdisciplinare che solo qualche anno dopo diventerà una vera "Breast Unit".
  • Tra le altre principali criticità troviamo: 
  • 1) la carenza di informazioni sia sugli effetti collaterali delle terapie sia su come gestirli, un problema riportato da una donna su 4 riguardo alla chemioterapia e alla radioterapia, e da oltre il 42% riguardo all’ormono-terapia, dato particolarmente significativo se si considera che queste cure si prolungano per 5 anni.
  • # Nel caso di Patrizia, anche se il nesso di causalità non è dimostrabile, dalla cessazione (per una sua scelta personale) della cura ormonale all'insorgenza (anzi, alla scoperta) delle metastasi al fegato e alle ossa non passò nemmeno un anno. La dottoressa oncologa che l'aveva in cura, per timidezza o per mancanza del necessario metus, non seppe persuadere Patrizia a non abbandonare la terapia ormonale. 

  • 2) la carenza di informazioni per prevenire e curare il linfedema, anche con trattamenti precoci che possono portare a interventi meno invasivi (soffre di linfedema una intervistata su 4 e una su 6 riferisce di non aver ricevuto sufficiente supporto nella riabilitazione, nonostante sia prevista dai Livelli Essenziali di Assistenza).
  • # Per curare il suo linfedema, che puntualmente insorse a qualche anno dalla malattia e dopo varie ricerche, personali Patrizia si recò prima presso l'ospedale di Gaeta dopo presso l'ospedale di Cassino, in entrambi i casi effettuò gratuitamente alcune visite fisiatriche preliminari e si sottopose a diverse serie di sedute (furono dieci sedute per ogni serie) che prevedevano massaggi linfodrenanti effettuati da personale specializzato. In qualche occasione, per indisponibilità di appuntamenti (che sono scaglionati nel corso dell'anno e hanno un limite di utilizzo) si recò presso strutture private dove si accollò i csoti delle sedute che erano a pagamento.

  • 3) in molti casi il mancato accertamento della eventuale presenza di familiarità e/o di mutazioni nei geni BRCA; la scarsa disponibilità dello psiconcologo ancora in molti centri, insufficiente per il 63% delle intervistate.
  • # Di nutazione nei geni del BRCA si parla frequentemente in Italia solo dopo il caso dell'attrice americana Angelina Jolie. All'epoca in cui insorse la malattia di Patrizia era fantascienza. E solo attualmente si comincia a pensare di fornire assistenza alle ca. 150.000 potenzili pazienti. Per quanto riguarda lo psiconcologo, invece, Patrizia scelse volontariamente di non avvalersi mai dell'assistenza dello specialista in psiconcologia ma era stata avvertita opportunamente della sua presenza e della sua disponibilità, presso l'ospedale SS. Trinità di Sora, dalla dottoressa oncologa che l'aveva presa in cura presso il reparto di D.O.Oncologico.

  • 4) la necessità di una maggiore presenza del chirurgo oncoplastico all’interno del team multidisciplinare, in considerazione dell’elevata percentuale di mastectomie (43% delle donne intervistate sottoposte ad intervento chirurgico).
  • # Uno dei motivi per i quali Patrizia scelse di non usufruire dell'assistenza al Sant'Andrea fu per il metodo di ricostruzione scelto dai chirurghi di quell'ospedale: usavano ricostruire il seno asportato con lembi di pelle asportati dai lombi della paziente stessa. D'altro canto l'esperienza di Patrizia con il giovane chirurgo estetico suggeritogli al reparto di oncologia dell'ospedale di Sora fu senz'altro da dimenticare, e una delle note più dolenti del suo calvario. Il dottore si mostrò incapace di effettuare una ricostruzione definitiva del seno asportato (quello sinistro) di Patrizia e un relativo adeguamento di forma e di consistenza del seno sano (quello destro). In totale nell'arco di ca. cinque anni, per interventi di mastoplastica veri e propri, per diversi inserimenti della protesi di silicone, per sostituzioni della stessa protesi, per lipofilling, per risolvere una ptosi del seno, per sostituire le protesi danneggiate, Patrizia fu sottoposta a una decina di interventi chirurgici, più o meno invasivi. Ciclicamente, in media ogni sei mesi, fu costretta a ricoverarsi presso la clinica convenzionata San Lorenzo di Avezzano per essere sottoposta a un nuovo intervento chirurgico. Fino a quando, per risolvere il suo problema estetico, non si vide costretta a rivolgersi a un "vero" chirurgo estetico che, presso una clinica privata di Napoli, con un solo intervento in day ospital e dopo una operazione durata ben quattro ore, la dotò di un meraviglioso seno, quasi naturale. 

  • 5) la scarsa presa in carico delle pazienti durante il follow-up.
  • # Patrizia si giovò di un'ottima assistenza nel primo periodo del follow-up, fino a quando esso fu effettuato presso l'ospedale di Sora. Una scarsissima attenzione medica e personale, al limite della disumanità, fu riservata a Patrizia quando, per seguire la sua oncologa che nel frattempo si era trasferita da Sora, fu costretta a rivolgersi al day ospital oncologico dell'ospedale Spaziani di Frosinone. Tutte le lacune organizzative del centro, paradossalmente, diventarono più gravi mano a mano che la malattia di Patrizia si faceva più seria e problematica, perché, nel frattempo, erano insorte le metastasi: l'oncologa della visita non era mai la stessa; i farmaci oncologici non sempre erano disponibili (a volte dovette interrompere la cura per mancanza del farmaco); gli stazionamenti in sala d'aspetto si facevano sempre più massacranti (un giorno fu costretta ad aspettare dalle 9 del mattino fino alle 16, inutilmente: non fu nemmeno visitata); per l'impossibilità di avere un appuntamento a stretto giro, alcuni esami urgenti dovette eseguirli presso strutture private; nessun dottore previde di fare un esame istologico sulle metastasi epatiche per accertare che la cura a base del costosissimo e rivoluzionario farmaco IBrance fosse quella adatta; le dottoresse del centro non furono nemmeno in grado di fare una banale paracentesi (considerata procedura medico-chirurgica di minore entità) per l'asportazione dell'ascite che nelle ultime settimane di vita di Patrizia era andata formandosi in maniera visibile.

  • 6) Inoltre non sempre è assicurata la continuità di cura, infatti 4 intervistate su 10 hanno dovuto cambiare struttura, e ancora troppo spesso le giovani pazienti non ricevono adeguate informazioni e assistenza sulla conservazione della fertilità. 
  • # Patrizia, esasperata dalle lungaggini alle quali era stata sottoposta all'ospedale di Frosinone, si era determinata a cambiare struttura ospedaliera. Lo avrebbe certamente fatto dopo le vacanze di Natale del 2017, il suo ultimo Natale. Ma non ebbe mai il tempo di farlo. Dopo qualche altra settimana di sofferenza morì all'ospedale di Cassino. A poco più di sette anni dall'insorgenza della malattia, a sei mesi dalla scoperta delle metastasi, nella sua sua città natale, trovò ad aspettarla il suo letto di morte. Entrando a far parte, suo malgrado, della schiera percentuale delle donne "sopravvissute" dopo un tot numero di anni, citate dalle inutili e false statistiche medico-epidemiologiche (che lei le odiava). Si era ricongiunta con i suoi due miti e modelli: Wondy e Mimma Panaccione, che l'avevano solo preceduta; di qualche anno una, di appena qualche mese l'altra.  


  • Commenta infine D’Antona: “Il nostro obiettivo con questa campagna è di sensibilizzare sulla necessità di completare lo sviluppo delle Breast Unit e, come previsto dalla legge, assicurarne il monitoraggio in tutto il territorio italiano, affinché tutte le pazienti abbiano accesso a cure tempestive e percorsi terapeutici appropriati”. L’indagine si compone di due parti: una quantitativa (svolta attraverso questionari online) e una qualitativa, condotta attraverso interviste in profondità alle pazienti. “La ricerca rivela le opinioni e i vissuti delle pazienti – spiega Riccardo Grassi, Direttore di Ricerca SWG – in un contesto in cui in generale il rapporto con le strutture di cura è positivo. Emerge però molto forte il bisogno di collocare il percorso terapeutico in un quadro di relazione più umana: oltre una donna su 4 afferma di aver ricevuto la diagnosi in modo ‘freddo e distaccato’, e più di una su dieci (13%) per telefono o per lettera. La scoperta del tumore al seno rappresenta un momento psicologicamente molto difficile per una donna che si trova a dovere ridefinire tutto il suo futuro e che sente il bisogno di un accompagnamento forte anche in questo campo, per progettare la vita dopo le cure, con particolare attenzione anche per i temi nutrizionali e fisiatrici”.
  • # In effetti la diagnosi definitiva, col referto istologico, a Patrizia fu rivelata dalla giovane senologa romana senza alcun tatto; direi a bruciapelo e senza l'uso di mezzi termini. Appreso l'esito infausto delle analisi, Patrizia chiese alla dottoressa di chiamami e di farmi entrare nell'ambulatorio per assisterla e per cercare una qualche forma di solidarietà e di conforto. Diverso, dal punto di vista del tatto e dell'umanità, fu l'atteggiamento della dottoressa Gamucci e del suo staff, soprattutto di grande sensibilità l'approccio del chirurgo che offrì subito a Patrizia una visione del suo futuro abbastanza confortante, descrivendo l'intervento in modo serio ma quasi routinario e prospettando l'iter della successiva ricostruzione come un passaggio nevralgico ma veloce e definitivo.  

  • Un altro importante dato emerso dall’indagine riguarda il trattamento neo-adiuvante, indicato in alcuni casi prima dell’intervento chirurgico per ridurre le dimensioni del tumore e poter operare in modo più conservativo, diminuendo, così, anche il rischio di linfedema. La metà delle intervistate dichiara di conoscere la terapia neo-adiuvante e quasi 1 su 4 di averla seguita. Commenta Tinterri: “Ci sono evidenze che mostrano come in determinati casi agire fin da subito sul tumore con una terapia oncologica porti dei vantaggi. Questa pratica deve di certo aumentare perché la sua attuazione in alcuni stadi del tumore garantisce una risposta completa e può trasformare interventi demolitivi in conservativi sia sulla mammella che sulla ascella. In chi ha una risposta completa, inoltre, è stato osservato un aumento della sopravvivenza, in particolare per alcuni tipi di tumore al seno più aggressivi, come quelli HER 2 positivi e triplo negativi. Un altro vantaggio della terapia neo-adiuvante è quello di permettere, fin da subito, una valutazione ‘in vivo’ dell’attività antitumorale del trattamento nella singola paziente. Importante però è che venga eseguito da personale specializzato e preparato all’interno delle Breast Unit”. Sono significativi anche dal punto di vista della sostenibilità i vantaggi di un approccio alla cura del tumore al seno che combini la multidisciplinarietà tipica della "Breast Unit" con un trattamento precoce della malattia. 
  • # Patrizia non ebbe mai notizia di un trattamento neo-adiuvante, probabilmente data la dimensione e la posizione retro-areolare del suo tumore un tale trattamento preventivo fu ritenuto ininfluente. Forse i medici avevano ragione: un trattamento adiuvante non avrebbe cambiato i termini del problema. Quindi si scelse subito di effettuare una mastectomia radicale con l'inserimento contestuale di un espansore, cioè di una comune protesi insufflante. Ad onore di verità c'è da dire che la dottoressa Teresa Gamucci e il suo staff furono molto scrupolosi e definirono esattamente l'intero quadro della situazione patologica di Patrizia, nei 5 anni che compresi tra l'intervento chirurgico e la terapia ormonale, attraverso i due cicli (di 6 sedute complessive) di chemioterapia e il successivo follow-up; Patrizia fu informata di tutto in maniera molto meticolosa, scientifica, professionale e mai frettolosa. 
  • “Sono stati fatti enormi progressi”, sottolinea Corrado Tinterri, Coordinatore del Comitato tecnico-scientifico di Europa Donna Italia e Membro del Gruppo di lavoro ministeriale per il coordinamento e l’implementazione dei centri di senologia: “Dieci anni fa solo il 12-14% delle donne veniva curato in centri che trattavano più di 150 casi l’anno. Oggi ci sono 140 Breast Unit in Italia: siamo vicini al numero ideale. Insomma, la partita più importante è chiusa, ma non ci fermiamo. Il ruolo della Commissione ministeriale sarà fondamentale, perché quando sarà operativa – è questione di burocrazia e volontà politica – dovrà vigilare sulla Rete dei centri e garantire alle donne un percorso di cura di qualità in tutto il territorio nazionale insieme ad Agenas”. 
  • In conclusione. Possiamo solo sperare (chi crede può anche pregare) che gli sforzi nei quali si prodigano i medici, gli scienziati, i ricercatori, le associazioni anti-cancro, il Ministero della Sanità e tutto il personale medico e para-medico delle Breast Unit, e soprattutto gli stessi malati di cancro e i loro famigliari, vengano coronati al più presto dalla vittoria definitiva su questa malattia subdola, immonda, viscida, infida, sleale e, purtroppo, ancora letale per la maggior parte di quelli che si ammalano. Il tutto a dispetto delle tanto sbandierate statistiche epidemiologiche con le quali si tenta di offrire una realtà edulcorata, meno drammatica, ma, spesso, troppo ottimistica e non realistica della malattia cancro.

smr

P.S. Quali sono i diritti dei malati di tumore?
Il malato oncologico ha diritto a conoscere il proprio stato di salute e ad ottenere informazioni adeguate alle sue capacità cognitive e al suo livello socio-culturale. Cosa significa? Che i medici devono fornirgli tutte le informazioni necessarie a spiegare la malattia che gli è stata diagnosticata, gli accertamenti e gli esami richiesti; le diverse opzioni terapeutiche con i rispettivi pro e contro; gli eventuali effetti collaterali dei trattamenti (relativi alla sfera lavorativa, sessuale, ecc.). Inoltre, il malato dovrebbe essere informato sulla disponibilità di un sostegno psicologico. La comunicazione della diagnosi, della cura e della prognosi deve essere quanto più chiara possibile. Dovranno essere indicati i nomi degli specialisti e dei collaboratori che lo prenderanno in cura; gli orari di reperibilità del medico di famiglia; dello specialista, dello psicologo e del personale di sostegno; i nomi dei collaboratori a cui rivolgersi nei giorni festivi e durante la notte. Inoltre, è possibile richiedere un consulto medico esterno alla struttura in cui il malato è ricoverato al fine di ottenere una relazione medica dettagliata sulla sua situazione clinica, diagnostica e terapeutica. La cartella clinica può essere visionata dal malato e dal suo medico di fiducia durante il ricovero. Il malato o il suo delegato possono richiederne una copia integrale, che dovrà essere consegnata entro 30 giorni dalla richiesta o, in caso di urgenza documentata, nell’immediatezza. Al momento delle dimissioni, su richiesta, i medici devono fornire una relazione scritta per il medico di fiducia e dovranno riportare ogni indicazione sullo stato di salute del paziente, specialmente sul decorso clinico, sui principali accertamenti effettuati e sui risultati, sulla diagnosi e sulla prognosi, sulle terapie effettuate e su quelle suggerite. Tra i diritti dei malati oncologici vi sono:
  • l’esenzione dal pagamento del ticket per farmaci, visite ed esami appropriati per la cura del tumore, per la riabilitazione e per la prevenzione di ulteriori aggravamenti;
  • la pensione di inabilità e l’assegno di invalidità civile: lo Stato assiste i malati oncologici che si trovano in particolari condizioni di disagio economico e di gravità della patologia mediante il riconoscimento dell’invalidità civile nelle seguenti percentuali: 11%, 70% e 100%. Se il grado di invalidità civile è compreso tra il 74% e il 99% o è del 100%, il malato ha diritto all’assegno di invalidità o alla pensione di inabilità;
  • l’indennità di accompagnamento: sussiste se a causa della malattia o delle terapie oncologiche è stata riconosciuta un’invalidità totale e permanente del 100% e il malato ha problemi di deambulazione o non è autonomo nello svolgimento delle normali attività della vita quotidiana;
  • l’indennità di frequenza: riconosciuta ai minori affetti da tumore che frequentano scuole di ogni ordine e grado (compresi gli asili nido), centri terapeutici, di riabilitazione, di formazione o di addestramento professionale. Non è compatibile con l’indennità di accompagnamento o con altre forme di ricovero. In parole più semplici, possono richiedere l’indennità di frequenza i minori che versano in condizioni meno gravi rispetto a quelle di coloro che hanno diritto all’indennità di accompagnamento;
  • diritti dei caregiver oncologico: la patologia e le terapie tumorali, spesso, mettono a dura prova le famiglie anche dal punto di vista organizzativo, oltre che emotivo ed economico; pertanto, la legge prevede diversi strumenti a tutela del caregiver ( Il termine caregiver è inglese e indica "colui" che presta cure e assistenza. Identifica la persona che si occupa dell'accudimento e della cura di chi non è in grado di provvedere a se stesso in maniera autonoma, del tutto o in parte.) in modo da agevolare l’assistenza al malato. In base alle condizioni del paziente, il caregiver può avere diritto a: permessi lavorativi, congedo biennale, congedo straordinario (retribuito o no), esonero dal lavoro notturno, passaggio al lavoro a tempo parziale; scelta della sede di lavoro e trasferimento.

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