giovedì 4 dicembre 2014

In prossimità del Natale, metto qui un brano del mio libro
STORIE DAL PAESE DEI CICLAMINI.



Ogni anno, i primi di Dicembre, mio padre prendeva me e mia
sorella Anna e ci portava in montagna, un pomeriggio di un giorno
feriale, subito dopo pranzo. Facevamo una lunga passeggiata nei
boschi, in salita, alla ricerca di un bel ginepro da usare come albero
di Natale. Era diventata una tradizione; una bella tradizione; la nostra
bella tradizione natalizia. Dovevamo cercare nella rada macchia
mediterranea delle nostre montagne un ginepro abbastanza dritto e
pieno, con la classica forma a goccia, non più alto di un paio di metri,
facilmente trasportabile. Più o meno come quello della foto. E non
era facile trovarlo perché il ginepro, dalle nostre parti, raramente
diventa un albero vero; spesso resta un arbusto informe o assume la
forma tonda di un cespuglio basso. Qualche volta, infatti, non lo
avevamo trovato con quelle caratteristiche precise. Ma non
desistevamo: mio padre aveva affinato una buona tecnica e riusciva
ad assemblarne ad occhio anche due tre pezzi presi da due tre piante
diverse. Quindi tagliava i rami da alberelli diversi e, una volta tornati
a casa, li legava stretti stretti fra loro col filo di ferro e gli dava la
forma di un vero albero di Natale. La chioma di aghi verdi, fitta fitta,
non permetteva a nessuno di vedere il trucchetto: le palline e gli altri
addobbi avrebbero fatto il resto. Una volta individuata la pianta o le
piante che facevano al nostro bisogno, dovevamo abbattere il ginepro
dalla base del tronco, ma non ci sentivamo in colpa: un vero spirito
ecologista, negli anni '60, non era ancora diffuso dalle nostre parti.
Portavamo sempre con noi una sega, un'accetta e una corda: con le
prime due facevamo un lavoro pulito a tagliarlo quasi da terra e ad
aggiustare il tronco, con la corda lo legavamo, trascinandolo
sull'erba, per portarlo fino alla strada. Da lì mio padre l'avrebbe
portato a spalla fino a casa. La vera festa era quando l'albero eletto
arrivava finalmente nel salone di casa. Dove ci aspettavano gli altri
fratelli e sorelle più piccole. Dopo aver posizionato per bene
l'alberello su una base di marmo, di quelle che reggono gli
ombrelloni dei bar in estate, lo portavamo nell'angolo vicino alla  alla
49finestra che dava su Viale della Libertà e cominciavamo ad
addobbarlo con palline, festoni, lucette. Per ultimo mio padre che
ovviamente era il più alto posizionava il puntale dorato. Solo a quel
punto la sua frase d'obbligo. Rivolto a tutti noi, che assistevamo in
silenzio al rito conclusivo, con una espressione tra il serio e il faceto,
come solo lui sapeva fare così bene: "Ricordate bambini! La vita è
come l'albero di Natale - diceva - c'è sempre qualcuno che rompe le
palline." Poi chiudeva il suo breve discorso d'inaugurazione con la
classica raccomandazione d'obbligo: "Voi però cercate di evitare di
farlo... almeno per quest'anno." Ingmar Bergman racconta nelle sue
memorie: "...sono profondamente fissato alla mia infanzia. Alcune
impressioni sono estremamente vivaci: la luce, l'odore, tutto... E'
tutto come in un film. Da pochi frammenti di un film, che ho
impostato ed è in esecuzione, posso ricostruire tutto nei minimi
dettagli. L'unica cosa che non posso ricrearne sono gli odori." Aveva
ragione: gli odori dell'infanzia non si possono ricreare; puoi solo
augurarti di (ri)sentirli, anche solo per caso. A me basta risentire
l'odore penetrante del ginepro e della sua resina per rituffarmi nei
miei ricordi d'infanzia degli anni '60: quell'odore acre, che avrebbe
impregnato la casa per quasi un mese, era il primo segnale invisibile
ma certo che di lì a poco, a casa nostra ci sarebbe stata una grande
festa. La più bella festa dell'anno.

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