Non si può capire cos'è la fatica se non si è provato almeno una volta a lavorare lo strame.
Ma per lavorare lo strame devi prima andare in montagna, falciarlo e farne grossi fasci, poi portarlo a valle, mettendolo sulla testa, quindi spargerlo per terra, seccarlo e poi batterlo con la mazza.
Solo dopo che hai fatto tutte queste cose puoi iniziare a intrecciare le corde.
La sera, quando hai finito la tua dura giornata, puoi finalmente leccarti le dita.
Si! Puoi leccarti dalle dita, il sangue che gocciola, cade dalle ferite che i fili di strame ruvidi e taglienti hanno inferto ai tuoi poveri polpastrelli.
"lui aveva sempre da un lato
almeno un paio - se non una serie - dei numerosi fasci di strame secco con cui
usava delimitare una buona porzione del muretto che aveva di fonte casa sua.
Non appena consumava quello, la compagna provvedeva sollecita a rimpiazzarlo
con uno nuovo. Il fascio, a forma di cono, terminava con un bizzarro
pennacchio. Dal quale attingeva un mazzetto di fili ogni tanto. Senza guardare,
con gesti sicuri, regolari, portati a memoria. Li metteva sotto l’ascella, per
prenderne poi soltanto uno per volta, da aggiungere alla fune nuova che stava
intrecciando. Peccato che alla fine gli rendessero poche lire, ma, andando
avanti così, Alessandro era in grado di produrre quotidianamente una notevole
quantità di manufatti diversi. Corde, da utilizzare come semplici legacci;
oppure bande larghe un palmo, che, cucite tra loro a spirale, diventavano le
sue rinomate sporte - oppure tappeti. L’unica differenza consisteva nella forma
che lui sapientemente dettava con le grosse ma
agili dita. A sezione rotonda le nude corde; schiacciate, con spessori
diversi, le bande utilizzate per farne tappeti o zerbini. I manufatti uscivano
dalle sue mani senza soluzione di continuità, raggiungendo lentamente il
marciapiede. Lì, come rispondendo ad un automatismo misterioso, si arrotolavano
- senza imbrogliarsi mai - sovrapponendosi in spire regolari, ampie,
interminabili. Come sfilze di salsicce appena strizzate sul bancone del macellaio."
(dal mio libro: Le stagioni della Lattaia)
smr
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