domenica 25 dicembre 2016
Dai Seviri a ...Formigoni.
I ''Tessitori''.
sabato 4 giugno 2016
Nino Manfredi, una eccellenza ciociara.
lunedì 7 marzo 2016
Dedicata alle donne. Mille volte grazie
MILLE VOLTE GRAZIE.
Grazie, per la sigaretta tenuta in quel modo.
Grazie, per le gambe accavallate.
Grazie, per i capelli sciolti e quella mano che li sposta.
Grazie, per gli sguardi regalati da sconosciuta
e anche per gli sguardi non ricambiati,
ma solo con gli occhi non ricambiati...
Grazie, per il levi’s a pelle che indossi e per quella gonna a fiori troppo poco indossata.
Grazie, per la scia di odori che lasci quando passi.
Grazie, per quella minigonna in primavera sul motorino.
Grazie, per quell’intelligenza tanto pronta e così avanti.
Grazie, per i sorrisi fatti di punti e parentesi.
Grazie, per la dolcezza come lingua universale.
Grazie, per i post-it coi fiorellini e i cuoricini.
Grazie, per il periodo premestruale, che ci permette di accudirti.
(A te piace tanto.)
Grazie, per il colore degli occhi, qualunque esso sia.Grazie, per la sicurezza ostentata e per la timidezza celata e per la voglia di arrivare e per la capacità di troncare ed essere sicura.
Grazie, per la tua voglia di essere mamma.
Grazie per i tuoi “quanto è carino”...“ma in fondo è un cretino."Grazie, per le pieghe della stoffa sul tuo corpo.
Da quello indoviniamo quanto sei bella.
Grazie, per il rimmel di troppo quando piangi.
Grazie, perché sei diversa da noi. Sennò, sai che noia sarebbe!
Grazie, perché ogni tanto ci fai capire quanto siamo stupidi.
Grazie, per quelle lacrime sempre appese alle ciglia.
Grazie, per quello che pensi e che non dici e anche per quello che dici e che non pensi. Perché la discrezione è tutto, ma la riservi solo per quando serve.
Grazie, per come balli. E per come sopporti la nostra imbranataggine nel ballo.Grazie, perché sei sempre mamma e non sempre amante.
Grazie, perché sei amante (ogni tanto) e non sempre mamma.
Grazie, per quegli appunti perfetti.
Grazie, per quella grafia sempre così tonda.
Grazie, perché stai cambiando e grazie anche perché non cambi troppo.
Grazie, per come sei, quando sei come sei.
Grazie, perché non sempre ti capiamo.
Grazie, per le tue mani e per le tue unghie curate. (Che ogni tanto ci fai assaggiare nella carne)
Grazie, perché la guardi negli occhi, quella tua cara amica, e vi siete già capite.
Grazie, per l’entusiasmo ai matrimoni; per come ami la nonna; per i tuoi giorni no, o così e così.
Grazie, per i tuoi dolori.
Grazie, per il mistero e per il pizzo nero.
Grazie, per come scrivi.
Grazie, perché ci sei, quando ti chiedo aiuto.
Grazie, per come godi.
Grazie, per i chili di troppo che non sono mai troppi.
Grazie, perché ti basta essere.
Grazie, perché ci sarai sempre, anche se non ci sarai mai.
Grazie, per le tue confessioni, anche se ci fanno tanto male.
Grazie, per le immagini che trovi.
Grazie, per il tuo tutto. Grazie, per il tuo niente.
Grazie mille ...a tutte le donne.
E che la vostra giornata non sia una volta l'anno, ma ogni giorno.
domenica 28 febbraio 2016
La prefazione di Massimo Roscia al mio libro.
ha voluto gentilmente regalarmi per il mio volume:
sabato 9 gennaio 2016
Non maltrattare gli anziani.
"Quarant'anni fa la morte di un vecchio era peggio della morte di un bambino, di un giovane o una persona di mezza età: la morte di un vecchio era una vera tragedia comunitaria; era la fine di una lunga storia di vita; era come veder abbattuta una vecchia quercia o un ulivo secolare; era come veder crollare un monumento antico o un palazzo nobiliare per un terremoto disastroso; come vedere distrutto un pezzo d'arte prezioso o un'insostituibile porzione della società. Perché i vecchi erano tenuti in altissima considerazione: per l'aiuto che avrebbero potuto ancora dare in consigli, per i loro ricordi, per la memoria dei fatti, delle storie antiche, dei posti, delle persone. E non solo dalla loro famiglia, ma dall'intera società. Oggi quando muore un vecchio sembra che ci siamo tolti un problema, un peso, un impiccio, un dente cariato. E, per giunta, non avremo più badanti per casa che parlano lingue strane: altro sollievo! "Tanto era vecchio!" si dice e di lui, ne la famiglia ne la società, rimpiangeranno niente. Nemmeno la pensione,
intascata intera dalla ingombrante e indiscreta badante rumena."
dal mio libro: Storie dal paese dei ciclamini.
martedì 5 gennaio 2016
I fagioli cotti sul fuoco.
L’altro giorno sono andato a trovare mia sorella. Non la vedevo da un sacco di tempo. Entro nella sua cucina e la sorprendo a contemplare un vasetto di vetro, di quelli dei sottaceti, pieno di fagioli. Sembrano cotti, mi dico in mente. Lei mi invita a sedermi. E mi chiede di ascoltare in silenzio quanto ha da dirmi, mentre mi centellino due dita di whisky che intanto mi ha versato. Vuole raccontarmi la storia dei fagioli di Nonna Peppa. Interessanti le storie di paese. Ascoltate anche voi.
Un cugino di nonna Peppa, o un nipote, non ho mai capito bene, porta da Castelforte dei fagioli molto buoni e quasi miracolosi. Li produce in piccole quantità un contadino che poi li rivende come al mercato nero. Non sono molto grandi, hanno una buccia sottile e tenera e una polpa molto saporita: sono digeribilissimi. Ricordano i fagioli cannellini di Atina, ma lei dice che sono diversi. ancora piu’ piccoli e buoni. La loro qualita’ migliore e’ che, al contrario degli altri fagioli secchi, non fanno aria nello stomaco: questo insieme al loro sapore squisito sono il loro pregi più grandi. E’ per questo che sono diversi da tutti gli altri fagioli. Nonna Peppa, che ha quasi cent'anni o giù di lì, li cucina nel suo caminetto di mattoni rossi, mettendo la pignatta proprio a ridosso dei carboni ardenti. Come si faceva una volta, quando non c’erano le moderne cucine. All'occorrenza il caminetto lo accende anche d'estate. “Guai - dice - cuocere i fagioli sul gas. Non sarebbero così buoni.” Per essere buoni, i fagioli, devono sapere di fumo, fumo di legna di quercia o di ulivo che prendono solo a ridosso dei carboni arroventati dalla fiamma. E, soprattutto, devono cuocere lentamente. “Devono borbottare - dice lei - come a Zi Peppucciu.” Il marito ormai vecchio, anche lui, che di solito quando non esce per giocare a carte con gli amici, resta a ronfare sulla poltrona in cucina dopo aver tracannato un quartino abbondante del suo vino rosso. Nonna Peppa dice che certe volte le sembra di vivere in un aeroporto, tanto il rumore che zi’ Peppucciu produce russando. Allora per distrarsi e per fare qualcosa di buono non le resta che mettere l'acqua piovana filtrata nel coccio che lei chiama pignathu. Fino a poco tempo fa, era gia’ anziana, ogni anno a terragosto, andava apposta ad Ausonia, il paese vicino al nostro, cinque chilometri a piedi, una bella passeggiata, per la fiera dell’Assunta, sotto il sole per comprare i cocci nuovi. Pentole, pignatte e brocche per l’acqua fresca. Metteva tutto in un cesto, se lo caricava sulla testa e per non farsi male intrecciava un grosso canovaccio da cucina e se le metteva in testa, un comodo ammortizzatore tra il cranio e la cesta. Nonna Peppa ha sempre cucinato e cucina ancora solo in quei cocci. E se ne frega se ormai sono stati dichiarati cancerogeni e fuori legge. Lei da anni fa sempre gli stessi gesti. Come un antico rituale che non si puo’ disattendere. Riempie la pignatta di fagioli spugnati dalla sera prima nella stessa acqua, aggiunge una costa di sedano, l'aglio schiacciato tra i palmi delle mani, che prende dall'orto che coltiva lei stessa dietro casa, e l'olio extravergine nostrano delle colline corenesi, che ricava dalla spremitura a freddo delle olive che ancora raccoglie lei a mano, oliva dopo oliva, accovacciata a terra per ore. Quindi li avvicina a ridosso dei carboni e li lascia bollire lentamente per qualche ora coperti con un coperchio di stagno. Quasi se li dimentica. Solo ogni tanto torna a controllare la cottura. Magari aggiunge un po’ d'acqua, se l'acqua di cottura si secca troppo. La attinge da un altra pignatta che aveva gia’ messo a scaldare a fianco della pignatta coi fagioli. Se le gira ggiunge ancora un gambo si sedano e qualche spicchio d’aglio. ‘’L’aglio fa bene! Toglie i vermi.’’ dice sempre a chiunque le arrivi a tiro. Quando i fagioli sono ormai cotti a puntino li toglie dal fuoco e, ancora tiepidi, li mette nei vasetti di vetro, che tappa per bene, ma solo dopo aver aggiunto ancora un po’ d'olio crudo e un po’ di prezzemolo fresco. Poi quei vasetti li distribuisce accuratamente tra i tanti nipoti e pronipoti ghiottoni che ha disseminati in ogni angolo del paese. L'unica ricompensa che aspetta, ogni volta e che, ogni volta, immancabilmente riceve, è l’eco del tripudio di applausi virtuali che le arrivano da tutte le parti. Quella e’ la sola certezza che tutti hanno gradito il suo piatto. E tutti si chiedono quando sarà la prossima volta che nonna Peppa cucinerà ancora quella pietanza antica, ma semplice e gustosa. La ricetta ha un ingrediente segreto, anzi due. Il caminetto ardente e l’amore con cui la prepara. E questi se li porterà dietro con lei, quando se ne andrà dal mondo dei vivi. Irrimediabilmente.
Ciao sorella, bel racconto, alla prossima storia di paese.
Mi alzo, la saluto, esco dalla sua cucina e nel crepuscolo cupreo mi avvio verso casa.