Il
mio personale ricordo di Roberto Tortora.
Io
e Roberto, per una buona porzione della nostra vita, siamo stati solo cortesi
conoscenti, non amici. Ci conoscevamo bene, però, perché lui era un compagno di
classe di mia moglie Patrizia e ci eravamo conosciuti personalmente proprio nei
primi anni del loro Ginnasio, intorno alla fine degli anni '70. Avevamo
continuato a vederci solo saltuariamente. Magari incontrandoci e salutandoci in
occasione di qualche festa di compleanno di amici comuni di Formia che avevamo
conservato proprio dagli anni del Liceo che anch'io avevo frequentato, qualche
anno prima di loro. Le nostre strade si erano poi divise per via del diverso
indirizzo di studi: io e Patrizia frequentavamo la Facoltà di Giurisprudenza
all'Università La Sapienza di Roma; Roberto aveva prima scelto di
immatricolarsi alla Facoltà di Architettura poi, preferendo seguire una sua
passione innata per la letteratura, si era deciso a cambiare facoltà,
iscrivendosi a Lettere, ma all'Università di Napoli. E questo è pure l'unico
motivo per cui non ci siamo più rivisti fino agli anni '90. C'incontrammo un
pomeriggio, casualmente, tra gli scaffali di un grande magazzino dove, io e mia
moglie, e lui e la moglie, eravamo andati per qualche piccola spesa. I nostri incontri,
in verità, erano sempre molto cordiali - devo dire - ma di una cordialità poco
più che formale, benché ripetuti quasi annualmente; una volta al cinema, una
volta lungo Via Vitruvio, un'altra volta nel negozio per i neonati. Ma quegli
incontri non sono mai sfociati in una promessa di frequentazione né - da parte di
entrambi - nella conclamazione di una vera amicizia. Per mia moglie il discorso
era diverso. Loro due erano stati compagni di classe, ed essere compagni di
classe è come fare il militare assieme: è un'esperienza che ti lega per tutta
la vita. Le nostre strade erano però destinate a incrociarsi e quei rapporti
poco più che formali ad intensificarsi e a rendersi più profondi proprio grazie
alla nostra passione per la letteratura e all'amore comune per i libri e per la
lettura. Nel 2010 ebbi finalmente la prima vera concreta occasione per
invitarlo alla mia rubrica estiva di presentazione di libri e di scrittori:
"Incontro con l'Autore" che, da qualche anno, curo e conduco in
collaborazione stretta con l'Assessorato alla Cultura del Comune di Coreno.
Avevo da poco appreso, dall'ultimo numero de "La Serra" - il periodico di vita corenese diretto dal
compianto (anche lui) Tonino Lisi - della presentazione della bellissima
raccolta di racconti di Roberto "Quattro
quadri per una spiaggia d'inverno", appena pubblicata per i tipi del
lungimirante quanto capace editore pugliese Manni.
Pensai bene, quindi,
d'invitare proprio Roberto Tortora alla mia rubrica. Devo dire che, sebbene
conoscessi il professore per una persona che non s'infiamma troppo facilmente,
sempre misurato e ponderato nelle reazioni, e schivo, quella volta mi sembrò
palesemente entusiasta del mio invito, come se non se lo aspettasse; come se,
per un eccesso di modestia, lo ritenesse esagerato, non commisurato al suo
reale valore. Doveva avere di sé stesso una scarsa stima: ma io, che in seguito
ho imparato a conoscerlo bene, sono portato a credere che fosse solo questione
di vera sobrietà. Era modesto come poche persone che ho conosciuto. Sobrio come
solo le grandi persone sanno essere. A dire il vero e a volerla dire tutta, ero
io che avevo temuto un suo diniego; avevo temuto di essermi sopravvalutato e di
aver puntato troppo in alto; di aver chiesto troppo ad un giovane autore
emergente e già apprezzato e pluri-pubblicato critico letterario. Si dà il
fatto che Roberto, quella estate, approdò a Coreno, nella Villa Comunale, dove
trovò ad attenderlo una nutrita platea di bibliofili, tutti i suoi allievi ed
ex-affezionati allievi dell'ITC di Formia, me - naturalmente -, il preside Nilo
Cardillo che parlò di “scrittore vero,
letteratura vera, libro vero”, e il mio amico e severo critico letterario,
il prof. Dante Cerilli, anch'egli molto conosciuto nell'ambiente ed anch'egli
entusiasta del suo libro. Mi confessò, solo molto tempo dopo, che non avrebbe
mai accettato di presentarlo se non gli fosse piaciuto veramente e non avesse
valutato convenientemente il pregevole valore artistico dell'opera. Anche tra
loro due si strinse un'amicizia sincera, piena di significato e alimentata dai
comuni intenti e dalla comune passione. Fu resa solo non facilmente praticabile
dalla lunga distanza geografica che li separava e dal tempo che non c'è mai.
Ricordo che quando comunicai a Dante della morte prematura di Roberto, fu
costernato. A stento riuscì a trattenere la sua sincera, viscerale commozione,
mi attaccò quasi il telefono in faccia oppure gli cadde dalle mani, forse aveva
preferito restare da solo a versare le sue lacrime in onore e in memoria di un
collega del quale, in futuro, avrebbe certamente sentito parlare e in modo
assai lusinghiero. E del quale non aveva mancato di intuire la gentilezza e
qualche afflizione di troppo, dovuta ad un genuino eccesso di sensibilità.
L'occasione per "farmi ricambiare - da Roberto - il favore" che gli
avevo reso quell'estate, venne l'anno dopo, quando si trattò di cercare un
relatore per la presentazione del mio primo libro: "Le stagioni della
Lattaia", la mia prima raccolta di racconti pubblicata nel 2011. Anche in
questo frangente Roberto, al quale la semplicità non faceva difetto - lo sapevo
bene e lo avevo apprezzato anche per questo - sembrò stupito che io chiedessi
proprio a lui, e non ad altri critici, un contributo alla nostra causa comune,
ma accettò sopraffatto dall'entusiasmo e animato da un grande, visibile, sincero
senso di riconoscenza nei miei riguardi e nei riguardi dell'Amministrazione di
Coreno che lo aveva apprezzato e, quindi, accolto con grande affetto e la
reverenza che valeva. Immeritata per me; meritata per gli amministratori. La
recensione del mio libro fu talmente piacevole e lusinghiera che ebbi quella
sera stessa l'idea di pubblicarne a mia cura il testo integrale; fin da subito,
fin da quella esaltante serata, assunsi con me stesso l'impegno a sbobinarla e
a pubblicarla. In concomitanza col primo anniversario della sua dipartita, sono
riuscito a realizzare quello che per me e, soprattutto, per la memoria di
Roberto consideravo un vero punto d'onore. Ho pubblicato il libro col titolo: “Il critico Roberto Tortora legge Le
Stagioni della Lattaia”.
Non ho mai pensato, anzi l'idea è sempre stata
accantonata con decisione, che questa pubblicazione dovesse aiutarmi a vendere
qualche copia in più del mio libro; piuttosto che dovesse renderlo più
comprensibile; ed ho sinceramente pensato di dovere rendere questo mio piccolo
ma significativo omaggio, non all'amico e nemmeno allo scrittore, ma all'uomo
e, soprattutto, all'autorevole critico letterario che Roberto era e che ancora
di più sarebbe diventato con la piena maturità dei suoi mezzi. E giungiamo,
infine, alla parte più tremenda della breve cronistoria del mio sodalizio con
Roberto. Eravamo ormai giunti al marzo del 2013. Si trattava per me di cercare,
ancora una volta, l'ospite per la mia rubrica estiva, ed avevo pensato subito
di chiedere a Roberto l'ennesimo sacrificio; da poco era uscito il suo primo,
tanto atteso, romanzo ed era stato presentato con grande successo, ma non senza
qualche inopportuno ed inutile strascico polemico, solo a Formia (Hormiae), la sua città natale. Perciò
cercai di raggiungere telefonicamente Roberto al recapito che ormai conoscevo
bene, per averlo più volte adoperato in passato. Lo feci ripetutamente, per
giorni; giorno dopo giorno, ma sempre senza ottenere risposta, né sua né dei
suoi famigliari. Solo dopo i miei numerosi, ripetuti tentativi, che in qualche
modo mi allarmarono anche, per avere finalmente sue notizie certe, mi decisi a
telefonare a un amico comune, l'avvocato Michele Piccolino, scrittore e critico
letterario anche lui. Il buon Michele mi rispose con tono drammatico e triste
che, non solo Roberto non sarebbe stato disponibile per la presentazione del
suo libro (solo per inciso, considera "Tutta
la luce del giorno" un vero capolavoro); ma che, probabilmente, non
sarebbe sopravvissuto fino all'estate, per godersi il meritato successo.
La sua
malattia era così grave, inarrestabile e - ahimé! - inesorabile. Ecco perché a
casa del mio amico nessuno aveva mai alzato la cornetta, nessuno aveva mai
risposto al telefono: da un po' di tempo non c'era nessuno; la casa era rimasta
praticamente disabitata: Roberto era da qualche settimana ricoverato
all'ospedale di Latina, i suoi cari al suo capezzale, ai piedi di quello che
sarebbe diventato il suo letto di morte. Lui sottoposto a cure poco più che
palliative: la sua malattia letale e subdola lo avrebbe condotto alla morte
entro appena qualche settimana. Dopo la sua morte ho letto il suo romanzo e
ribadisco il giudizio che ne diede l'amico Piccolino: è un capolavoro, che
consiglio a tutti di leggere e che accresce, moltiplicandolo a dismisura, il
dispiacere per la perdita di un grande scrittore. Di un vero, sopraffino
narratore. Roberto Tortora, per ironia della sorte, ci ha lasciato proprio il
giorno del mio compleanno: il 6 giugno del 2013. Trasformando così una mia
bella e personale ricorrenza in una data infausta e funesta. Ma proprio questa
spiacevolissima, tristissima coincidenza, insieme ad una stima umana e
artistica che in cuor mio ho sempre sperato essere profonda ma, soprattutto,
reciproca, ha finito per legare per sempre e indissolubilmente al mio destino, l'ultimo
tratto del suo percorso terreno. Lo ha fatto nel modo migliore per l'uomo: con
un ricordo delicato, caro e sempre vivo, che mi porto appresso e che custodisco
gelosamente "...come se fosse una
coppa di latte appena munto che non si vuole versare. E (quella memoria) sarà
per me un conforto, qualcosa in cui credere." Fin quando sarò vivo!
smr
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