Metto qui la eccellente prefazione del critico letterario e amico prof. Dante Cerilli. Che, naturalmente, ringrazio.
Nota critica alle Storie vere di briganti e
altri racconti
"Posso dire di avere abbastanza cognizione di causa per
individuare la differente modalità scrittoria che Salvatore M.
Ruggiero adopera quando scrive testi sugli argomenti e i
personaggi che più lo avvincono (come il cinema, ad esempio,
ed Ingmar Bergam), di paesologia (girovagando per i comuni del
Lazio e di altre regioni, ispirato da Franco Arminio che ne è il
codificatore, ma ammettendo che “Pagine lepine” ne sia
addirittura precorritrice), di narrativa (come nel caso delle sue
recenti pubblicazioni on-line e cartacee, o di Storie vere di
briganti e altri racconti). Se nel primo caso il tenore dello stile
rispecchia la caratteristica di chi vuole informare, divulgare,
riflettere e ragionare sulle condizioni della poetica e sulle
“pieghe” delle personalità artistico-individuali, nel secondo caso
l’impronta diaristica e del “giornale” di viaggio prevalgono con
l’intento di rendere snello ed agevole il discorso sulla
toponomastica, topografia, e sulla carta tematica che rappresenta
una mappa socio-economica di un paese ritratto insieme ai
lineamenti storici che lo hanno connotato nel corso dei secoli e
nella contemporaneità. Nel terzo caso, invece, l’aspetto creativo
fa germogliare l’estro di questo prosatore, che contamina le
forme ortodosse del periodare per costellarle di interpunzioni e
di strutturazioni che rendono soggettiva la forma della
proposizione, o con l’intento di usare concordanze ardite, come
traslando il colloquiale del parlato reale alla sequela
cronachistica del discorso semiologico su carta. Sebbene
autobiografia, storia e affabulazione pervadano la narrativa di
Salvatore M. Ruggiero, nel caso specifico di “Storie vere di
briganti e altri racconti”, lette in anteprima, l’atteggiamento
poetico-estetico dei piccoli saggi e della paesologia confluisce
interamente nell’economia stilistico-strutturale ed organica
dell’opera; per cui non è raro trovarvi citazioni colte scaturite
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dalle più appassionate frequentazioni letterarie note al riguardo
di Ruggiero e pittoriche (Vermeer), oppure quelle più
localistiche (da segnalare la “Storia di Coreno” di don Giuseppe
La Valle), per nulla escluse fiabe, favole, leggende, dicerie di
ogni epoca di ogni nazione, ma soprattutto della Ciociaria,
crogiuolo e ricettacolo di terminologie non autoctone che
l’autore utilizza per rendere più autentico il parlato e
sicuramente più affascinante per chi voglia scoprire connessioni
etnolinguistiche ed etnostoriche. Tanto vale per la meticolosità
delle descrizioni ambientali e “geografiche”, quanto per le
informazioni di carattere storico (peraltro consegnate nella
spontaneità e nell’immediatezza di un nonno che racconti le
gesta dei personaggi illustri del paese al proprio nipotino), la
suggestione emotiva di luoghi, ambienti e personaggi (dico io in
una sorta di psicoantropologia del vecchio e del nuovo), siano
essi briganti, banditi, massaie, lattaie, preti, perpetue, contadini,
pastori, botteganti, sindaci, uomini dagli atteggiamenti e dai
soprannomi bizzarri che affollano le scene ricreate e dipinte
come nella sensibilità di colui che attraverso la scrittura vuole
creare entusiasmo e gioia allo sguardo, agli occhi (come diceva
Delacroix), tanto che tutto si pervade di leggerezza e talora
d’impertinenza. L’eterogeneità delle storie narrate contribuisce
a vedere un diverso piano di cimento dell’autore che dalla
semplice narrazione di fatti e di eventi, con la riproduzione
circostanziata e circostanziale di particolari “coreografici” del
racconto, passa ad una più intima atmosfera che mai indulge ad
un lirismo sdolcinato dei sentimenti rievocati, in effetti, con
sobrietà. Salvatore M. Ruggiero, in verità, è così anche nella vita
reale, quotidiana, egli sa scherzare, sa interagire con allegria con
chiunque, sa condividere una gioia, ma senza abbandonarsi ad
effusioni enfatiche, esasperate ed esagerate. Come pure egli sa
comprendere (nel senso del termine che anche lui usa per dire
“sentire insieme”, “mettere insieme” e “sentire-stare dentro”) il
dolore, esteriormente, con una grande forza di spirito che
comprime, appunto, ogni energia negativa e quasi
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catarticamente la neutralizza, per essere più leggero e per non
far pesare sugli altri il velo della tristezza. Per questo anche
quando si parla di distacco, di gente che non c’è più, i toni sono
sempre quelli del narratore “regredito” che fa vivere senza
eccessivi traumi anche gli eventi più brutti. Una presunta
originalità di questi racconti sta nel fatto che risultano avvincenti
e si lasciano leggere non perché si arrivi ad un finale a sorpresa,
a un colpo di scena, ad una conclusione eclatante: ogni volta ci
si accorge che questo non succede e che il punto, che chiude
l’ultimo pensiero espresso o narrato, sta lì a dire che si è definito
solo un episodio, che solo un quadro di vita è stato incorniciato.
Ogni racconto ha la sua specialità nel suo organismo, e la sua
ricchezza in un filo conduttore che ti fa leggere, come in una
corsa, tutto d’un fiato, fino alla parola che fa da attracco. Il
motore di questa costruzione d’intrigo è tutto ciò che emoziona
il protagonista bambino o adolescente, come la scena della
lattaia che scatena un sommovimento erotico nella mente del
piccolo che nella ritualità della mungitura e della distribuzione
del latte associa ad ancestrali sentimenti; è la descrizione
raccapricciante del fatto che occorse a Marco Ruggiero detto il
cannibale, il sapore di zucchero e caffè stantio nella madia della
casa divisa in “quarti”, il cachi sottratto nelle piratesche
escursioni nel “quarto” di zia Maria la piccola, o il profumo e i
colori degli alberi autunnali di zia Maria, la grande, il salotto
buono di zio Peppino Barbera, maestro e sindaco, o la
controversa personalità di Pascaglin’e tuppu che secondo il
nonno dell’autore è come se avesse la corona in mano e il
diavolo in saccoccia! Non ultimo è un chiaro accenno alle
vicende politiche e amministrative di Coreno Ausonio che si è
mostrata, nei secoli, sempre di spirito rivoluzionario contro
l’oppressore, in epoca moderna (e anche oltre), sin dal XVIII
sec., appena a un decennio dalla presa della Bastiglia, già
impegnata contro le truppe francesi che scorrevano sul territorio
del Regno di Napoli, e in questo si distinsero gente comune,
sindaci e preti!
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Dalla lettura di queste storie, inoltre, si ha percezione che non
sia mai netto e chiaro il confine tra l’evento o fatto biografico e
quello di fantasia, tra quello storico e quello puramente
leggendario, nonché il paradosso a volte induce a pensare che
l’autore o il popolo si siano abbandonati alle fonti
dell’immaginario collettivo quasi a voler esorcizzare il male per
far trionfare il bene; come quando, un tempo, nella ragione di
vita o nella ragione d’essere di un accadimento si neutralizzava
l’efferatezza, il disagio, una calamità, o un pauroso mistero.
Eppure, una vitalità di personaggi, dalle qualità psico-caratteriali
davvero esilaranti o torbide, intesse la trama di ogni racconto e
lo rendono documento che tende a ricreare gli ambiti di un
passato lontano, di Coreno Ausonio, ma anche recente, di cui
Salvatore M. Ruggiero e qualche suo antenato (nonno, zio/zia,
pro zio/zia, cugino, genitori), insieme ai “tredici casali” del
paese (Vori, Onofri, Stavoli, Rollagni, Carelli, La Torre, Curti,
Magni, Pozzi, Lormi, Tucci, La Piazza e Ranoccoli) sono
protagonisti, e che altrimenti andrebbe perduto." (Dante Cerilli)