“Al mondo non esistono storie, non ci sono. Al mondo esistono solo avvenimenti, vicende che si susseguono una dopo l’altra. Un fatto diventa storia quando qualcuno è disposto a raccontarla. Quando qualcuno, riferendosi a fatti realmente accaduti o inventati, collega fra di loro le parti più significative della vicenda.”
Si può dire che fosse questo il paradigma della scrittura di Roberto Tortora? Non lo sapremo mai. Roberto è morto prematuramente, il 6 giugno del 2013. Mi ricordo bene quel giorno perché era esattamente il giorno del mio compleanno. Mi ricordo bene quel giorno perché ammiravo Roberto e la sua scrittura e la sua capace critica letteraria. Al punto che lo avevo invitato due volte consecutive a Coreno alla mia rubrica letteraria "Incontro con l'Autore: nel 2010 a presentare il suo libro "Quattro quadri per una spiaggia d'inverno", una poetica raccolta di racconti formiani e nel 2011 a recensire e presenziare e presentare la mia raccolta di racconti "Le Stagioni della Lattaia".
Per ricordarlo metto qui un mio personale ricordo di Roberto e le foto dei libri, dei suoi e anche dei miei: quelli suoi che ho amato fin da subito e quelli miei che immodestamente ho voluto dedicargli per commemorare al mio meglio la sua prosa, la sua arte.
"Il mio personale ricordo di Roberto Tortora.
Io e Roberto, per una buona porzione della nostra vita, siamo stati solo cortesi conoscenti, non amici. Ci conoscevamo bene, però, perché lui era un compagno di classe di mia moglie Patrizia e ci eravamo conosciuti personalmente proprio nei primi anni del loro Ginnasio, intorno alla fine degli anni '70. Avevamo continuato a vederci solo saltuariamente. Magari incontrandoci e salutandoci in occasione di qualche festa di compleanno di amici comuni di Formia che avevamo conservato proprio dagli anni del Liceo che anch'io avevo frequentato, qualche anno prima di loro. Le nostre strade si erano poi divise per via del diverso indirizzo di studi: io e Patrizia abbiamo frequentato la Facoltà di Giurisprudenza all'Università La Sapienza di Roma; Roberto aveva prima scelto di immatricolarsi alla Facoltà di Architettura poi, preferendo seguire una sua passione innata per la letteratura, si era deciso a cambiare facoltà, iscrivendosi a Lettere, ma all'Università di Napoli. E questo è pure l'unico motivo per cui non ci siamo più rivisti fino agli anni '90. C'incontrammo un pomeriggio, casualmente, tra gli scaffali di un grande magazzino dove, io e mia moglie, e lui e la moglie, eravamo andati per qualche piccola spesa. I nostri incontri, in verità, erano sempre molto cordiali - devo dire - ma di una cordialità poco più che formale, benché ripetuti quasi annualmente; una volta al cinema, una volta lungo Via Vitruvio, un'altra volta nel negozio per i neonati. Ma quegli incontri non sono mai sfociati in una promessa di frequentazione né - da parte di entrambi - nella conclamazione di una vera amicizia. Per mia moglie il discorso era diverso. Loro due erano stati compagni di classe, ed essere compagni di classe è come fare il militare assieme: è un'esperienza che ti lega per tutta la vita. Le nostre strade erano però destinate a incrociarsi e quei rapporti poco più che formali ad intensificarsi e a rendersi più profondi proprio grazie alla nostra passione per la letteratura e all'amore comune per i libri e per la lettura. Nel 2010 ebbi finalmente la prima vera concreta occasione per invitarlo alla mia rubrica estiva di presentazione di libri e di scrittori: "Incontro con l'Autore" che, da qualche anno, curavo e conducevo in collaborazione stretta con l'Assessorato alla Cultura del Comune di Coreno. Avevo da poco appreso, dall'ultimo numero de "La Serra" - il periodico di vita corenese diretto dal compianto (anche lui!) Tonino Lisi - della presentazione della bellissima raccolta di racconti di Roberto "Quattro quadri per una spiaggia d'inverno", appena pubblicata per i tipi del lungimirante quanto capace editore pugliese Manni. Pensai bene, quindi, d'invitare proprio Roberto Tortora alla mia rubrica. Devo dire che, sebbene conoscessi il professore per una persona che non s'infiamma troppo facilmente, sempre misurato e ponderato nelle reazioni, e schivo, quella volta mi sembrò palesemente entusiasta del mio invito, come se non se lo aspettasse; come se, per un eccesso di modestia, lo ritenesse esagerato, non commisurato al suo reale valore. Doveva avere di sé stesso una scarsa stima: ma io, che in seguito ho imparato a conoscerlo bene, sono portato a credere che fosse solo questione di vera sobrietà. Era modesto come poche persone che ho conosciuto. Sobrio come solo le grandi persone sanno essere. A dire il vero e a volerla dire tutta, ero io che avevo temuto un suo diniego; avevo temuto di essermi sopravvalutato e di aver puntato troppo in alto; di aver chiesto troppo ad un giovane autore emergente e già apprezzato e pluri-pubblicato critico letterario. Si dà il fatto che Roberto, quella estate, approdò a Coreno, nella Villa Comunale, dove trovò ad attenderlo una nutrita platea di bibliofili, tutti i suoi allievi ed ex-affezionati allievi dell'ITC di Formia, me - naturalmente -, il preside Nilo Cardillo che in un suo breve intervento parlò di “scrittore vero, letteratura vera, libro vero”, e il mio amico e severo critico letterario, il prof. Dante Cerilli, anch'egli molto conosciuto nell'ambiente ed anch'egli entusiasta del suo libro. Mi confessò, solo molto tempo dopo, che non avrebbe mai accettato di presentarlo se non gli fosse piaciuto veramente e non avesse valutato convenientemente il pregevole valore artistico dell'opera. Anche tra loro due si strinse un'amicizia sincera, piena di significato e alimentata dai comuni intenti e dalla comune passione. Fu resa solo non facilmente praticabile dalla lunga distanza geografica che li separava e dal tempo che non c'è mai. Ricordo che quando comunicai a Dante della morte prematura di Roberto, fu costernato. A stento riuscì a trattenere la sua sincera, viscerale commozione, mi attaccò quasi il telefono in faccia oppure gli cadde dalle mani, forse aveva preferito restare da solo a versare le sue lacrime in onore e in memoria di un collega del quale, in futuro, avrebbe certamente parlato e scritto, e sentito parlare e letto, in modo assai lusinghiero. E del quale non aveva mancato di intuire la gentilezza e qualche afflizione di troppo, dovuta ad un genuino eccesso di sensibilità. L'occasione per "farmi ricambiare - da Roberto - il favore" che gli avevo reso quell'estate, venne l'anno dopo, quando si trattò di cercare un relatore per la presentazione del mio primo libro: "Le stagioni della Lattaia", la mia prima raccolta di racconti pubblicata nel 2011. Anche in questo frangente Roberto, al quale la semplicità non faceva difetto - lo sapevo bene e lo avevo apprezzato anche per questo - sembrò stupito che io chiedessi proprio a lui, e non ad altri critici, un contributo alla nostra causa comune, ma accettò sopraffatto dall'entusiasmo e animato da un grande, visibile, sincero senso di riconoscenza nei miei riguardi e nei riguardi dell'Amministrazione di Coreno che lo aveva apprezzato e, quindi, accolto con grande affetto e la reverenza che valeva. Immeritata per me; meritata per gli amministratori. La recensione del mio libro fu talmente piacevole e lusinghiera che ebbi quella sera stessa l'idea di pubblicarne a mia cura il testo integrale; fin da subito, fin da quella esaltante serata, assunsi con me stesso l'impegno a sbobinarla e a pubblicarla. In concomitanza col primo anniversario della sua dipartita, sono riuscito a realizzare quello che per me e, soprattutto, per la memoria di Roberto consideravo un vero punto d'onore. Ho pubblicato il libro col titolo: “Il critico Roberto Tortora legge Le Stagioni della Lattaia”. Non ho mai pensato, anzi l'idea è sempre stata accantonata con decisione, che questa pubblicazione dovesse aiutarmi a vendere qualche copia in più del mio libro; piuttosto che dovesse renderlo più comprensibile; ed ho sinceramente pensato di dovere rendere questo mio piccolo ma significativo omaggio, non all'amico e nemmeno allo scrittore, ma all'uomo e, soprattutto, all'autorevole critico letterario che Roberto era e che ancora di più sarebbe diventato con la piena maturità dei suoi mezzi. E giungiamo, infine, alla parte più tremenda della breve cronistoria del mio sodalizio letterario con Roberto. Eravamo ormai giunti al marzo del 2013. Si trattava per me di cercare, ancora una volta, l'ospite per la mia rubrica estiva, ed avevo pensato subito di chiedere a Roberto l'ennesimo sacrificio; da poco era uscito il suo primo, tanto atteso, romanzo ed era stato presentato con grande successo, ma non senza qualche inopportuno ed inutile strascico polemico, solo a Formia (Hormiae), la sua città natale. Perciò cercai di raggiungere telefonicamente Roberto al recapito che ormai conoscevo bene, per averlo più volte adoperato in passato. Lo feci ripetutamente, per giorni; giorno dopo giorno, ma sempre senza ottenere risposta, né sua né dei suoi famigliari. Solo dopo i miei numerosi, ripetuti tentativi, che in qualche modo mi allarmarono anche, per avere finalmente sue notizie certe, mi decisi a telefonare a un amico comune, l'avvocato Michele Piccolino, scrittore e critico letterario anche lui. Il buon Michele mi rispose con tono drammatico e triste che, non solo Roberto non sarebbe stato disponibile per la presentazione del suo libro (solo per inciso, considera "Tutta la luce del giorno" un vero capolavoro); ma che, probabilmente, non sarebbe sopravvissuto fino all'estate, per godersi il meritato successo. La sua malattia era così grave, inarrestabile e - ahimé! - inesorabile. Ecco perché a casa del mio amico nessuno aveva mai alzato la cornetta, nessuno aveva mai risposto al telefono: da un po' di tempo non c'era nessuno; la casa era rimasta praticamente disabitata: Roberto era da qualche settimana ricoverato all'ospedale di Latina, i suoi cari al suo capezzale, ai piedi di quello che sarebbe diventato il suo letto di morte. Lui sottoposto a cure poco più che palliative: la sua malattia letale e subdola lo avrebbe condotto alla morte entro appena qualche settimana. Dopo la sua morte ho letto il suo romanzo e ribadisco il giudizio che ne diede l'amico Piccolino: è un capolavoro, che consiglio a tutti di leggere e che accresce, moltiplicandolo a dismisura, il dispiacere per la perdita di un grande scrittore. Di un vero, sopraffino narratore. Roberto Tortora, per ironia della sorte, ci ha lasciato proprio il giorno del mio compleanno: il 6 giugno del 2013. Trasformando così una mia bella e personale ricorrenza in una data infausta e funesta. Ma proprio questa spiacevolissima, tristissima coincidenza, insieme ad una stima umana e artistica che in cuor mio ho sempre sperato essere profonda ma, soprattutto, reciproca, ha finito per legare per sempre e indissolubilmente al mio destino, l'ultimo tratto del suo percorso terreno. Lo ha fatto nel modo migliore per l'uomo: con un ricordo delicato, caro e sempre vivo, che mi porto appresso e che custodisco gelosamente "...come se fosse una coppa di latte appena munto che non si vuole versare. E (quella memoria) sarà per me un conforto, qualcosa in cui credere." Fin quando sarò vivo!
Io e Roberto, per una buona porzione della nostra vita, siamo stati solo cortesi conoscenti, non amici. Ci conoscevamo bene, però, perché lui era un compagno di classe di mia moglie Patrizia e ci eravamo conosciuti personalmente proprio nei primi anni del loro Ginnasio, intorno alla fine degli anni '70. Avevamo continuato a vederci solo saltuariamente. Magari incontrandoci e salutandoci in occasione di qualche festa di compleanno di amici comuni di Formia che avevamo conservato proprio dagli anni del Liceo che anch'io avevo frequentato, qualche anno prima di loro. Le nostre strade si erano poi divise per via del diverso indirizzo di studi: io e Patrizia abbiamo frequentato la Facoltà di Giurisprudenza all'Università La Sapienza di Roma; Roberto aveva prima scelto di immatricolarsi alla Facoltà di Architettura poi, preferendo seguire una sua passione innata per la letteratura, si era deciso a cambiare facoltà, iscrivendosi a Lettere, ma all'Università di Napoli. E questo è pure l'unico motivo per cui non ci siamo più rivisti fino agli anni '90. C'incontrammo un pomeriggio, casualmente, tra gli scaffali di un grande magazzino dove, io e mia moglie, e lui e la moglie, eravamo andati per qualche piccola spesa. I nostri incontri, in verità, erano sempre molto cordiali - devo dire - ma di una cordialità poco più che formale, benché ripetuti quasi annualmente; una volta al cinema, una volta lungo Via Vitruvio, un'altra volta nel negozio per i neonati. Ma quegli incontri non sono mai sfociati in una promessa di frequentazione né - da parte di entrambi - nella conclamazione di una vera amicizia. Per mia moglie il discorso era diverso. Loro due erano stati compagni di classe, ed essere compagni di classe è come fare il militare assieme: è un'esperienza che ti lega per tutta la vita. Le nostre strade erano però destinate a incrociarsi e quei rapporti poco più che formali ad intensificarsi e a rendersi più profondi proprio grazie alla nostra passione per la letteratura e all'amore comune per i libri e per la lettura. Nel 2010 ebbi finalmente la prima vera concreta occasione per invitarlo alla mia rubrica estiva di presentazione di libri e di scrittori: "Incontro con l'Autore" che, da qualche anno, curavo e conducevo in collaborazione stretta con l'Assessorato alla Cultura del Comune di Coreno. Avevo da poco appreso, dall'ultimo numero de "La Serra" - il periodico di vita corenese diretto dal compianto (anche lui!) Tonino Lisi - della presentazione della bellissima raccolta di racconti di Roberto "Quattro quadri per una spiaggia d'inverno", appena pubblicata per i tipi del lungimirante quanto capace editore pugliese Manni. Pensai bene, quindi, d'invitare proprio Roberto Tortora alla mia rubrica. Devo dire che, sebbene conoscessi il professore per una persona che non s'infiamma troppo facilmente, sempre misurato e ponderato nelle reazioni, e schivo, quella volta mi sembrò palesemente entusiasta del mio invito, come se non se lo aspettasse; come se, per un eccesso di modestia, lo ritenesse esagerato, non commisurato al suo reale valore. Doveva avere di sé stesso una scarsa stima: ma io, che in seguito ho imparato a conoscerlo bene, sono portato a credere che fosse solo questione di vera sobrietà. Era modesto come poche persone che ho conosciuto. Sobrio come solo le grandi persone sanno essere. A dire il vero e a volerla dire tutta, ero io che avevo temuto un suo diniego; avevo temuto di essermi sopravvalutato e di aver puntato troppo in alto; di aver chiesto troppo ad un giovane autore emergente e già apprezzato e pluri-pubblicato critico letterario. Si dà il fatto che Roberto, quella estate, approdò a Coreno, nella Villa Comunale, dove trovò ad attenderlo una nutrita platea di bibliofili, tutti i suoi allievi ed ex-affezionati allievi dell'ITC di Formia, me - naturalmente -, il preside Nilo Cardillo che in un suo breve intervento parlò di “scrittore vero, letteratura vera, libro vero”, e il mio amico e severo critico letterario, il prof. Dante Cerilli, anch'egli molto conosciuto nell'ambiente ed anch'egli entusiasta del suo libro. Mi confessò, solo molto tempo dopo, che non avrebbe mai accettato di presentarlo se non gli fosse piaciuto veramente e non avesse valutato convenientemente il pregevole valore artistico dell'opera. Anche tra loro due si strinse un'amicizia sincera, piena di significato e alimentata dai comuni intenti e dalla comune passione. Fu resa solo non facilmente praticabile dalla lunga distanza geografica che li separava e dal tempo che non c'è mai. Ricordo che quando comunicai a Dante della morte prematura di Roberto, fu costernato. A stento riuscì a trattenere la sua sincera, viscerale commozione, mi attaccò quasi il telefono in faccia oppure gli cadde dalle mani, forse aveva preferito restare da solo a versare le sue lacrime in onore e in memoria di un collega del quale, in futuro, avrebbe certamente parlato e scritto, e sentito parlare e letto, in modo assai lusinghiero. E del quale non aveva mancato di intuire la gentilezza e qualche afflizione di troppo, dovuta ad un genuino eccesso di sensibilità. L'occasione per "farmi ricambiare - da Roberto - il favore" che gli avevo reso quell'estate, venne l'anno dopo, quando si trattò di cercare un relatore per la presentazione del mio primo libro: "Le stagioni della Lattaia", la mia prima raccolta di racconti pubblicata nel 2011. Anche in questo frangente Roberto, al quale la semplicità non faceva difetto - lo sapevo bene e lo avevo apprezzato anche per questo - sembrò stupito che io chiedessi proprio a lui, e non ad altri critici, un contributo alla nostra causa comune, ma accettò sopraffatto dall'entusiasmo e animato da un grande, visibile, sincero senso di riconoscenza nei miei riguardi e nei riguardi dell'Amministrazione di Coreno che lo aveva apprezzato e, quindi, accolto con grande affetto e la reverenza che valeva. Immeritata per me; meritata per gli amministratori. La recensione del mio libro fu talmente piacevole e lusinghiera che ebbi quella sera stessa l'idea di pubblicarne a mia cura il testo integrale; fin da subito, fin da quella esaltante serata, assunsi con me stesso l'impegno a sbobinarla e a pubblicarla. In concomitanza col primo anniversario della sua dipartita, sono riuscito a realizzare quello che per me e, soprattutto, per la memoria di Roberto consideravo un vero punto d'onore. Ho pubblicato il libro col titolo: “Il critico Roberto Tortora legge Le Stagioni della Lattaia”. Non ho mai pensato, anzi l'idea è sempre stata accantonata con decisione, che questa pubblicazione dovesse aiutarmi a vendere qualche copia in più del mio libro; piuttosto che dovesse renderlo più comprensibile; ed ho sinceramente pensato di dovere rendere questo mio piccolo ma significativo omaggio, non all'amico e nemmeno allo scrittore, ma all'uomo e, soprattutto, all'autorevole critico letterario che Roberto era e che ancora di più sarebbe diventato con la piena maturità dei suoi mezzi. E giungiamo, infine, alla parte più tremenda della breve cronistoria del mio sodalizio letterario con Roberto. Eravamo ormai giunti al marzo del 2013. Si trattava per me di cercare, ancora una volta, l'ospite per la mia rubrica estiva, ed avevo pensato subito di chiedere a Roberto l'ennesimo sacrificio; da poco era uscito il suo primo, tanto atteso, romanzo ed era stato presentato con grande successo, ma non senza qualche inopportuno ed inutile strascico polemico, solo a Formia (Hormiae), la sua città natale. Perciò cercai di raggiungere telefonicamente Roberto al recapito che ormai conoscevo bene, per averlo più volte adoperato in passato. Lo feci ripetutamente, per giorni; giorno dopo giorno, ma sempre senza ottenere risposta, né sua né dei suoi famigliari. Solo dopo i miei numerosi, ripetuti tentativi, che in qualche modo mi allarmarono anche, per avere finalmente sue notizie certe, mi decisi a telefonare a un amico comune, l'avvocato Michele Piccolino, scrittore e critico letterario anche lui. Il buon Michele mi rispose con tono drammatico e triste che, non solo Roberto non sarebbe stato disponibile per la presentazione del suo libro (solo per inciso, considera "Tutta la luce del giorno" un vero capolavoro); ma che, probabilmente, non sarebbe sopravvissuto fino all'estate, per godersi il meritato successo. La sua malattia era così grave, inarrestabile e - ahimé! - inesorabile. Ecco perché a casa del mio amico nessuno aveva mai alzato la cornetta, nessuno aveva mai risposto al telefono: da un po' di tempo non c'era nessuno; la casa era rimasta praticamente disabitata: Roberto era da qualche settimana ricoverato all'ospedale di Latina, i suoi cari al suo capezzale, ai piedi di quello che sarebbe diventato il suo letto di morte. Lui sottoposto a cure poco più che palliative: la sua malattia letale e subdola lo avrebbe condotto alla morte entro appena qualche settimana. Dopo la sua morte ho letto il suo romanzo e ribadisco il giudizio che ne diede l'amico Piccolino: è un capolavoro, che consiglio a tutti di leggere e che accresce, moltiplicandolo a dismisura, il dispiacere per la perdita di un grande scrittore. Di un vero, sopraffino narratore. Roberto Tortora, per ironia della sorte, ci ha lasciato proprio il giorno del mio compleanno: il 6 giugno del 2013. Trasformando così una mia bella e personale ricorrenza in una data infausta e funesta. Ma proprio questa spiacevolissima, tristissima coincidenza, insieme ad una stima umana e artistica che in cuor mio ho sempre sperato essere profonda ma, soprattutto, reciproca, ha finito per legare per sempre e indissolubilmente al mio destino, l'ultimo tratto del suo percorso terreno. Lo ha fatto nel modo migliore per l'uomo: con un ricordo delicato, caro e sempre vivo, che mi porto appresso e che custodisco gelosamente "...come se fosse una coppa di latte appena munto che non si vuole versare. E (quella memoria) sarà per me un conforto, qualcosa in cui credere." Fin quando sarò vivo!
Nessun commento:
Posta un commento