sabato 9 giugno 2012

L'influenza del pensiero filosofico di Soren Kierkegaard sul cinema di Ingmar Bergman.


Nel corso di più di cinquant'anni di attività la critica ha discusso dell’influenza del filosofo danese Søreen Kierkegaard sul grande maestro del cinema Ingmar Bergman. 
Oggi il poderoso dibattito resta ancora aperto a nuove e più esaustive considerazioni. 
Anch'io ho voluto provare a dare il mio modesto, personale contributo e a tracciarne alcune schematiche linee tematiche.

1) La ricerca della verità
Durante tutto il Novecento emerge in tutta la sua urgenza la tematica dell’assenza del fondamento, di un principio creatore che stabilisca valori e parametri universali cui far riferimento. La caduta dei simboli e la finitezza dei linguaggi, che non possiedono più la forza espressiva necessaria a rappresentare la società e gli individui che la compongono hanno generato una sorta di afasia globale. È in questa situazione generale che maturano le filosofie esistenzialiste. La questione dell’assenza del fondamento pervade il cinema di I. Bergman, in particolar modo nel periodo dei primi anni ’60, e permea profondamente la cosiddetta ‘Trilogia del Silenzio di Dio’
Indagatore dell’anima, Bergman, attraverso la macchina da presa percorre il paesaggio impervio del volto umano. Nordeuropeo di nascita e di cultura, egli respira un‘aria fredda e desolata che affonda le sue radici nello stesso pensiero del grande filosofo danese. Come quest’ultimo, ma attraverso il linguaggio cinematografico, Bergman ha ricercato la verità.
Secondo Kiekegaard la ragione da sola non può bastare a comprendere una verità che non è mai “assoluta”. La tesi kiergaardiana è una dialettica ‘qualitativa’ e ‘soggettiva’. In altri termini, Kierkegaard pone al centro del suo pensiero l’individuo. Pertanto il filosofo, il teologo e lo studioso in generale non possono teorizzare né arrivare a tracciare alcun sistema oggettivo per qualificare la verità assoluta.
Nessuna speculazione filosofica, né alcun metodo d’indagine, né sintesi storica per Kierkegaard possono cogliere l’esistenza dell’individuo. L’unica categoria presa in esame è ricondotta a quella del singolo. Il solo criterio possibile è la scelta; la decisione (in opposizione alla categoria hegeliana della necessità).
Così anche in Bergman, l’identità soggetto-oggetto si è dissolta e con essa la ragione hegeliana, comportando una profonda scissione fra interno ed esterno, fra l'Io e il Mondo e con ciò la conseguente caduta di una ragione esibita a verità assoluta.
Nel suo definitivo approdo all’ateismo religioso, anche i suoi personaggi vivono in un “incognito totalmente impenetrabile ad altri uomini, imperscrutabile a ogni forza umana”. Così come afferma Minus: “..ognuno chiuso nella sua cella” (“Come in uno specchio”).

2) I tre stadi del singolo nel cinema di Bergman
Per Kierkegaard non si perviene a Dio attraverso il Cristianesimo come religione storicamente rivelata. Si giunge a Dio, alla fede, all’Assoluto, solo tramite il proprio percorso individuale, intimo e sofferto. In una parola: solipsisitico.
Decisive in tal senso sono le scelte di vita che si presentano all’uomo, teorizzate nei tre stadi kirkegaardiani dell’esistenza: estetico, etico e religioso.

3) Vita Etica e vita Estetica
Alcuni personaggi bergmaniani osservano la superficialità della loro esistenza, rilevano la vanità del tutto, amano il piacere immediato e si collocano proprio nel salto della vita che va dallo stadio estetico allo stadio etico. Si trovano in questo trapasso, nel bel mezzo del salto ma non lo compiono. Uno dei protagonisti di “Come in uno specchio”, David, ne è l’emblema. Ed infatti non ha il coraggio necessario per compiere il cambiamento, continuando ad osservare il fallimento della propria vita. David resta vittima della disperazione, la avverte, ma non sa attuare alcun movimento in sé. La vita etica è uno stadio più consapevole rispetto a quello estetico. L’uomo prende finalmente coscienza di sé e dei suoi rapporti col mondo e la società. L’uomo etico vive autenticamente i rapporti umani e sociali; al contrario dell’esteta, non fugge le responsabilità, sceglie se stesso e i rapporti interpersonali. Esemplificativi di questa fase non sono forse il cavaliere crociato Antonius Block di "Il Settimo Sigillo" e Tomas, il pastore in crisi di "Luci d'Inverno"?
In sintesi, in questo stadio dell’esistenza si accettano la continuità della propria vita e l'esame consuntivo della vita stessa. Quest’ultima consente di riaffermare il passato accogliendo le responsabilità (vedi il concetto di responsabilità kirkegaardiano) di amare la stessa persona, i medesimi amici e professione. Ne consegue l’inserimento dell’individuo nella società, ancora di più, l’accettazione da parte dell’uomo di una legge riconosciuta universalmente, quella della vita, civile e sociale.

4) Bergman e Dio.
Bergman, come Kierkegaard, crede in una verità religiosa soggettiva, frutto della libertà di scelta tra l’essere e il suo poter essere. Tuttavia, personaggi come Karin, Tomas, Ester, protagonisti della trilogia religiosa o del silenzio di Dio bergmaniana, pur essendo coscienti delle proprie potenzialità e vedendo ciascuno il fondo del proprio essere, non sanno compiere la scelta definitiva e rinunciano all’unica possibilità possibile, il salto nella fede, in Dio, sprofondando nella disperazione.

5) La malattia mortale.
Per Kierkegaard è la disperazione: l’impossibilità di scegliere se stessi fino in fondo. Ma la vera malattia mortale è la mancanza di direzione, di scelta, il non credere. Personaggio esemplificativo in tal senso è la Agnes, malata, sofferente, agonizzante e morente di “Sussurri e Grida”.
Anche nel finale di “Luci d’inverno”, Marta, in modo meno drammatico ma ugualmente grave, unica spettatrice della messa celebrata da Tomas in una chiesa vuota, pur avvertendo la propria disperazione, non riesce a credere. “Ah se potessi credere in una qualunque cosa; se solo potessimo credere!”

6) L’abbandono di Dio
Altro tema essenziale per una maggiore comprensione della trilogia bergmaniana è l’abbandono di Dio. Se dio ha abbandonato gli uomini, come afferma Tomas, in “Luci d’inverno”, allora l’uomo non possiede più alcuna certezza cui appigliarsi e dalla quale determinare i propri valori, nessuna morale sociale né una condotta. In definitiva l’uomo non ha più una Legge, un peso regolatore che gli permetta di articolare la sua vita. L’uomo è abbandonato da Dio e l’esistenzialismo asserisce: ...”l’uomo è gettato nel mondo”. In ab-sentia di Dio la fede per Bergman è scegliere se stessi: “....così non ho altro fine se non me stesso. È una specie di verità. È una verità mia personale, o una verità a tre quarti, o una verità inesistente se non per il fatto che essa ha valore per me”. Il cineasta svedese, sondato il cammino dell’uomo, approda ne “Il silenzio” all’unica rivelazione possibile, quella dell’anima: “alma”, che in greco significa “anima”, è anche il nome di una delle protagoniste più intense di un suo celebre film (“Persona”); “anima” c’è scritto sul biglietto che Ester, come eredità, lascia al nipote, l’unica parola che è riuscita a comprendere della misteriosa lingua della fantomatica città di Timoka. Per Bergman l’uomo deve spingersi sino negli abissi reconditi di se stesso, deve affrontare i suoi demoni, se li accetterà e imparerà a conoscere, a convivere con essi, allora potrà incontrare l’Altro, se riuscirà a denudarsi di fronte a se stesso forse poi potrà mettersi di fronte a Dio, poco importa se vi perverrà: “ Tu devi celebrare la tua messa, se è per Dio si vedrà”.


7) Conclusioni.
Il Maestro ha, dunque, appreso la lezione kierkegaardiana, ma come il filosofo, non è riuscito ad incarnare le proprie idee; a fare di se stesso un esempio etico vivente. E' solo un portavoce, attraverso le sue opere, di un’anima che riflette, sente la vita fino nel profondo. Bergman perviene ad una concezione di esistenzialismo, che sfocia nello “umanismo”; è “l’essere con” teorizzato da Heidegger. Vale a dire che forse l’unico trascendente possibile è nella relazione con l’altro, poiché nello sguardo altrui siamo nudi, svelati. Non si può vivere da soli, afferma il Genio. E, forse, è proprio questo che percepiscono i personaggi di Bergman nella terra di confine di Farő (“Come in uno specchio”); nella chiesa vuota di Tomas (“Luci d'Inverno”), nella città fantasma Timoka, dove si parla una lingua incomprensibile e la solitudine attanaglia tutti i protagonisti (“Il Silenzio”); nella casa piena di angoscia, urla, morte e silenzi delle quattro donne dolenti (“Sussurri e Grida”).

SMR


Nessun commento:

Posta un commento