Metto qui un brano dal mio ultimo libro di racconti paesologici:
PASSEGGIATE NELLA MEMORIA PROFONDA DI UN RAGAZZO DI PAESE.
Il libro è il quarto di una ipotetica "Quadrilogia di Coreno" dopo LE STAGIONI DELLA LATTAIA; STORIE DAL PAESE DEI CICLAMINI; CRONACHE DAL PICCOLO BORGO DELLA PIETRA MILLENARIA.
Mio padre, che amava la caccia,
ha sempre avuto un cane che lo accompagnasse nelle sue battute. Ricordo che un
giorno, io ero poco più che un bambino, arrivò a casa con un bracchetto
delizioso tra le braccia. Era tutto marrone, con le orecchie grandi penzoloni
marroni, il corpo ciotto e le zampette lucide e marroni. Solo la punta della
coda era bianca. Che bello, che bello. Facemmo tutti, stringendoci intorno a
lui per toccarlo e accarezzarlo. Non c'è niente di più amabile dei cuccioli, di
qualsiasi animale. Io da bambino li adoravo. Leggevo apposta una rivista per
bambini che si chiamava "Il Giornalino". C'erano quasi solo
cuccioli. Di cani, di gatti, di scoiattoli. Di tuti gli animali domestici e
selvatici. Tutti bellissimi e adorabilissimi. Tanto la coda ai bracchi va
sempre tagliata e da cuccioli, molto prima che diventino adulti. Disse mio
padre con una punta di malvagità. Noi, presi dai festeggiamenti, non ce
n'eravamo nemmeno accorti ma, al seguito di mio padre, era entrato in casa un
suo amico, un signore che si chiama Franco C. . Armato di una piccola ascia.
Arguimmo subito che l'operazione di cui mio padre parlava doveva avvenire lì e
in quel momento. Cominciammo a fare baccano per impaurire il cucciolo. E l'idea
fu buona perché il cucciolo scappò davvero. Solo che invece d'imboccare la
porta sulle scale e mettersi in salvo, corse nella stanza da letto dei miei.
Per mio padre, chiudere la porta, intrappolarlo in un angolo e catturarlo, fu
un gioco da ragazzi. Lui e Franco portarono il cucciolo in soffitta. Si
chiusero a chiave la porta alle spalle impedendoci di seguirli. Legarono
stretto stretto uno spago sulla coda, a quattro o cinque centimetri dalla base
e procedettero all'amputazione. Sentimmo solo il colpo sordo dell'ascia sul
ceppo di legno che mio padre aveva già pronto. E il lungo guaito di dolore del
piccolo cane. Quando rientrarono in casa, ai nostri occhi ci apparivano come
due boia medievali, senza cappuccio e in abiti moderni. Li odiammo a morte, per
quel gesto che ritenevamo violento e disumano. Mio padre riportò il
bracchetto nel bagno, dove lo ripose in una cesta di vimini che aveva preparato
a terra. Ripose in mozzicone di coda recisa in una busta di plastica e buttò
tutto nella spazzatura. La povera bestiola, col moncherino di coda fasciato,
ancora tremava per la paura e guaiva per il dolore. Sembrava che piangesse.
Franco tentò ancora una volta di spiegarci che il loro non era stato un gesto
gratuito, ma che i cacciatori amano i cani, come e, forse, più di noi bambini.
Il povero Franco abbozzò anche una spiegazione pseudo-scientifica, che però non
convinse nessuno. Ai bracchi dev'essere tagliata la coda per impedire che si
feriscano quando attraversano i rovi per recuperare la preda. Cominciammo ad
accettare e a capire la cosa, quando il bracchetto smise di soffrire e cominciò
ad abituarsi all'assenza della coda. Quando la ferita fu rimarginata la coda
sembrava essere stata sempre corta. Dopo qualche tempo anche il bracchetto
mostrò di aver dimenticato quanto era accaduto quel giorno in soffitta. Dopo di
quello, papà ebbe altri cani, ma tutti di una razza diversa. Erano setter, con
una coda lunga e pelosa. Ai setter la coda non va tagliata. Mi piace pensare
che forse scelse quella razza per evitare che noi soffrissimo ancora inutilmente.
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