domenica 1 febbraio 2015

Quando i paesi erano una grande famiglia.

 Metto qui un brano estratto dal mio libro:
 CRONACHE DAL PICCOLO BORGO DELLA PIETRA MILLENARIA

Quando i paesi erano una grande famiglia.
Tra le tante, almeno due sono le condizioni sufficienti che si richiedono a un paese per continuare a funzionare - non dico bene, ma almeno decentemente - e, quindi, per sopravvivere: la Mutualità e la Cooperazione tra i paesani. Non sono ammesse eccezioni, né condizioni, specie se il paese è piccolo. Piccolo come il mio. Anzi, più il paese è piccolo, più la mobilitazione dev'essere generale; allora tutti devono contribuire: socialmente, economicamente, culturalmente. Tutti devono fare la loro parte. E anche di più. Altrimenti il sistema non funziona. E, il sistema non può funzionare altrimenti. Anticamente il paese era come una grande famiglia, pronta a fare fronte comune alle avversità e a combattere, paesani uniti tutti assieme, qualsiasi forma di invasione, qualsiasi forma di minaccia alla sua sussistenza, alla sua prosecuzione. Che fossero: la povertà, la miseria, i briganti, le angherie e i soprusi dei potenti, le guerre, le carestie, gli eventi atmosferici catastrofici, le epidemie o i terremoti disastrosi. Non importava. C'era mobilitazione generale perfino per il crollo di una macera che doveva essere tirata su in breve tempo: "gliu varu s'è spallathu!" Era il grido d'allarme che si levava tra i monti. O per un grosso animale caduto in un dirupo e da recuperare, vivo o morto. O, ancora per un covone di fieno stagionato andato improvvisamente a fuoco: allora si urlava e si portava acqua nei secchi: "gliu metale s'è appicciathu"!". Come dice pure il poeta Quirino, in una sua poesia paesologica: tutti accorrevano, come ad assistere un morto sul suo catafalco. Tutti accorrevano; tutti correvano in aiuto. Lui che per lavoro "aisa gli vari spallathi" o costruisce nuove "macere", il più classico, il più preistorico e il più nobile dei lavori paesologici, per ironia della sorte, cent'anni fa sarebbe stato disoccupato; oppure avrebbe avuto tanto lavoro, ma non retribuito, oppure retribuito malamente, magari solo da un parco pasto a fine giornata. Si faceva Pasqua per una zuppa di fagioli. Per non parlare, poi, dell'uso di tenere la chiave nella toppa, anche di notte: non c'era nessun rischio, non si correva nessun pericolo di essere derubati dai ladri: il poco che si aveva era considerato bene comunitario, era nel possesso del singolo, ma nella disponibilità comune; chi avrebbe potuto o voluto depredarlo? I sistemi-paese hanno funzionato, anche in periodi nei quali le condizioni economiche, sociali e culturali erano molto meno favorevoli e fiorenti di quelle attuali (crisi a parte), perché tra i cittadini c'era un patto non scritto di comportamento; una specie di regola non vergata, di consuetudine antica, di uso ancestrale, secondo il quale, in caso di necessità (che, poi, era la condizione abituale, quotidiana) ci si doveva aiutare vicendevolmente e cooperare per il benessere collettivo, per il bene della intera comunità, della comunità intera, nessuno escluso. specie i più deboli e disperati. Il bene supremo, da tutelare e da rispettare. Magari, anche mettendo da parte l'interesse personale. Il Bene Comune, insomma, non era solamente uno slogan elettorale. Tutti avevano aderito a questa condizione. Tutti avevano aderito ed erano fedeli a questo patto. Se non fosse stato così gli artigiani, gli operai, i commercianti, i (pochi) professionisti, non avrebbero potuto rendere floride le loro attività, tirare su le loro famiglie, contribuire economicamente alla crescita dell'intera comunità. Oggi, tranne rare eccezioni tra vicini, la Mutualità e la Cooperazione non sopravvivono quasi più, e il paese sta morendo. E nessuno si stringe più al suo capezzale. Nessuno più sta al capezzale del morto: nessuno più sa nemmeno chi è il morto da piangere. Anzi, nessuno sembra addirittura accorgersi che qualcuno è moribondo o morto. Ci sarà' pure un motivo se all'inizio del secolo scorso la popolazione era di 2500 abitanti e dopo un secolo. Oggi li vedi, tronfi e impettiti e sazi, mentre si aggirano per il loro paese che puzza di morte, i paesani. Sembra che tutti siano autosufficienti; tutti si bastano; tutti possono fare a meno di tutti gli altri. Ma, qualcuno ci aveva avvertiti: la solidarietà, la fratellanza e la modestia sono le ragione di vita dei deboli; la solitudine, l'ignoranza e la supponenza sono le debolezze dei forti. Oggi c'è in giro troppa gente che confonde la modernità col progresso, la furbizia con l'intelligenza, il ritorno alla terra col ritorno alla clava, il potere con l'esercizio della cosa pubblica, l'apparire con l'essere, gli strumenti con il fine, et alia. Ma L'intelligenza e cosa diversa dalla furbizia. L'intelligenza è vivida; la furbizia è ...livida!

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