Quando la ebbe spiantata da terra, se l'era caricata sulle sue spalle forti, bilanciando bene il fusto e la chioma, e l'aveva trasportata fino a casa. A passo svelto e senza fermarsi mai. Una volta arrivato a casa, l'aveva messa in una piccola botte che aveva preparato per bene, solo per quel lavoro. L'aveva riempita di terra e di concime naturale. Appena prima di partire aveva fatto un buco, grosso e profondo, al centro. Gli bastò appoggiare la piccola quercia al terreno e coprire per bene le radici. Qualche colpetto con le mani e un’innaffiata leggera, perché non marcisse, avrebbero finito il suo lavoro certosino. Dopo, avrebbe solo dovuto incrociare le dita e aspettare pazientemente che l’alberello attecchisse. Qualche mese era passato. E, solo quando fu certo che le radici si erano abbarbicate per bene alla terra, l'aveva estratto dalla mezza botte e l'aveva ripiantato nel terreno del suo orto. La quercia, fin da subito, dalla prima stagione aveva cominciato a dare frutti. Ghiande preziose con le quali zio Pasqualino alimentava i suoi maiali. Diceva a tutti che i suoi erano i migliori maiali del paese. Le migliori carni e il miglior lardo da sugna, provenivano dai suoi maiali. In realtà tutti i maiali del paese, le carni e il grasso da sugna erano migliori: tutti i maiali del paese venivano alimentati con ghiande di querce locali e con la classica broda che le donne preparavano aggiungendo semplicemente acqua calda al secchio dei pochi avanzi della cucina che avevano messo da parte dopo ogni pasto. Poi, uno via l'altro aveva piantato gli altri alberelli da frutto. Ma, quelli non li aveva sradicati in montagna. Era andato a comprarli. Una parte alla fiera boaria che dopo la guerra organizzavano in paese, nella valle di Luigi De Siena; un'altra parte alla fiera della Madonna del Piano, dove due volte l'anno si recava. Una volta d'inverno, il giorno di Santo Stefano, e una volta d'estate, a Ferragosto. Un po’ per acquistare quello che gli serviva per i suoi campi: attrezzi, semi, piantine; un po’ per devozione alla madonna. O, almeno, così diceva lui. Mio nonno alla religiosità di Zì Pashcaglinu e’ tuppu non credeva affatto e nemmeno alle sue svariate devozioni. Scherzando, ma nemmeno tanto, diceva sempre che se, per sua sventura, lo avesse incontrato in paradiso, dove era certo che sarebbe andato dopo la sua morte, fra cent'anni, lo avrebbe dovuto scaraventare di nuovo sulla terra. Sebbene non andasse mai in chiesa, mentre zio Pasqualino ci andava; sebbene non fosse praticante, mentre zio Pasqualino lo era, e stava sempre con il rosario in mano, sosteneva che era certamente meglio lui, come credente. E sosteneva pure che la sua non era altro che pura ipocrisia. E comunque, che, una volta in paradiso, non ci sarebbe stato posto sufficiente per entrambi. Il Padreterno, insomma, avrebbe dovuto preferire il suo ateismo alla religiosità falsa del coetaneo..."
domenica 15 febbraio 2015
Zì Pashcaglinu e la cerqua.
metto qui un estratto dal mio libro: Passeggiate nella memoria profonda di un ragazzo di paese.
"...Ma, prima che a tutti gli altri, Zì Pashcaglinu aveva pensato ai suoi maiali, badando a piantare una quercia. Un
giorno era andato in montagna, dove diceva che c'erano le querce
migliori. Il paese è pieno di querce, e tutte sembrano migliori: in pratica a me non pare che ci sia alcuna differenza tra quelle della
campagna, della collina e della montagna. Lui, comunque, era
andato da solo. Aveva cercato una bella quercia fronzuta, non
tanto piccola, ma nemmeno troppo grande. Insomma, che
potesse essere sradicata abbastanza agevolmente. Aveva girato
per un po’ per i boschi, con uno sguardo assai attento e guardando bene in
aria. Quando fu convinto di aver trovato l'alberello che faceva
per il suo orto, con molta attenzione, per lasciare una buona
quantità di radici vitali, l'aveva sradicata dal terreno con le sue
mani, piegando il fusto, in avanti e indietro; facendolo girare;
spingendolo e tirandolo. La scena che immagino, doveva essere
più o meno come quella, molto famosa e drammatica, di cui fu
protagonista il signor Tore, quando nel film di Ingmar Bergman
La fontana della vergine sradica una giovane betulla.
Quando la ebbe spiantata da terra, se l'era caricata sulle sue spalle forti, bilanciando bene il fusto e la chioma, e l'aveva trasportata fino a casa. A passo svelto e senza fermarsi mai. Una volta arrivato a casa, l'aveva messa in una piccola botte che aveva preparato per bene, solo per quel lavoro. L'aveva riempita di terra e di concime naturale. Appena prima di partire aveva fatto un buco, grosso e profondo, al centro. Gli bastò appoggiare la piccola quercia al terreno e coprire per bene le radici. Qualche colpetto con le mani e un’innaffiata leggera, perché non marcisse, avrebbero finito il suo lavoro certosino. Dopo, avrebbe solo dovuto incrociare le dita e aspettare pazientemente che l’alberello attecchisse. Qualche mese era passato. E, solo quando fu certo che le radici si erano abbarbicate per bene alla terra, l'aveva estratto dalla mezza botte e l'aveva ripiantato nel terreno del suo orto. La quercia, fin da subito, dalla prima stagione aveva cominciato a dare frutti. Ghiande preziose con le quali zio Pasqualino alimentava i suoi maiali. Diceva a tutti che i suoi erano i migliori maiali del paese. Le migliori carni e il miglior lardo da sugna, provenivano dai suoi maiali. In realtà tutti i maiali del paese, le carni e il grasso da sugna erano migliori: tutti i maiali del paese venivano alimentati con ghiande di querce locali e con la classica broda che le donne preparavano aggiungendo semplicemente acqua calda al secchio dei pochi avanzi della cucina che avevano messo da parte dopo ogni pasto. Poi, uno via l'altro aveva piantato gli altri alberelli da frutto. Ma, quelli non li aveva sradicati in montagna. Era andato a comprarli. Una parte alla fiera boaria che dopo la guerra organizzavano in paese, nella valle di Luigi De Siena; un'altra parte alla fiera della Madonna del Piano, dove due volte l'anno si recava. Una volta d'inverno, il giorno di Santo Stefano, e una volta d'estate, a Ferragosto. Un po’ per acquistare quello che gli serviva per i suoi campi: attrezzi, semi, piantine; un po’ per devozione alla madonna. O, almeno, così diceva lui. Mio nonno alla religiosità di Zì Pashcaglinu e’ tuppu non credeva affatto e nemmeno alle sue svariate devozioni. Scherzando, ma nemmeno tanto, diceva sempre che se, per sua sventura, lo avesse incontrato in paradiso, dove era certo che sarebbe andato dopo la sua morte, fra cent'anni, lo avrebbe dovuto scaraventare di nuovo sulla terra. Sebbene non andasse mai in chiesa, mentre zio Pasqualino ci andava; sebbene non fosse praticante, mentre zio Pasqualino lo era, e stava sempre con il rosario in mano, sosteneva che era certamente meglio lui, come credente. E sosteneva pure che la sua non era altro che pura ipocrisia. E comunque, che, una volta in paradiso, non ci sarebbe stato posto sufficiente per entrambi. Il Padreterno, insomma, avrebbe dovuto preferire il suo ateismo alla religiosità falsa del coetaneo..."
Quando la ebbe spiantata da terra, se l'era caricata sulle sue spalle forti, bilanciando bene il fusto e la chioma, e l'aveva trasportata fino a casa. A passo svelto e senza fermarsi mai. Una volta arrivato a casa, l'aveva messa in una piccola botte che aveva preparato per bene, solo per quel lavoro. L'aveva riempita di terra e di concime naturale. Appena prima di partire aveva fatto un buco, grosso e profondo, al centro. Gli bastò appoggiare la piccola quercia al terreno e coprire per bene le radici. Qualche colpetto con le mani e un’innaffiata leggera, perché non marcisse, avrebbero finito il suo lavoro certosino. Dopo, avrebbe solo dovuto incrociare le dita e aspettare pazientemente che l’alberello attecchisse. Qualche mese era passato. E, solo quando fu certo che le radici si erano abbarbicate per bene alla terra, l'aveva estratto dalla mezza botte e l'aveva ripiantato nel terreno del suo orto. La quercia, fin da subito, dalla prima stagione aveva cominciato a dare frutti. Ghiande preziose con le quali zio Pasqualino alimentava i suoi maiali. Diceva a tutti che i suoi erano i migliori maiali del paese. Le migliori carni e il miglior lardo da sugna, provenivano dai suoi maiali. In realtà tutti i maiali del paese, le carni e il grasso da sugna erano migliori: tutti i maiali del paese venivano alimentati con ghiande di querce locali e con la classica broda che le donne preparavano aggiungendo semplicemente acqua calda al secchio dei pochi avanzi della cucina che avevano messo da parte dopo ogni pasto. Poi, uno via l'altro aveva piantato gli altri alberelli da frutto. Ma, quelli non li aveva sradicati in montagna. Era andato a comprarli. Una parte alla fiera boaria che dopo la guerra organizzavano in paese, nella valle di Luigi De Siena; un'altra parte alla fiera della Madonna del Piano, dove due volte l'anno si recava. Una volta d'inverno, il giorno di Santo Stefano, e una volta d'estate, a Ferragosto. Un po’ per acquistare quello che gli serviva per i suoi campi: attrezzi, semi, piantine; un po’ per devozione alla madonna. O, almeno, così diceva lui. Mio nonno alla religiosità di Zì Pashcaglinu e’ tuppu non credeva affatto e nemmeno alle sue svariate devozioni. Scherzando, ma nemmeno tanto, diceva sempre che se, per sua sventura, lo avesse incontrato in paradiso, dove era certo che sarebbe andato dopo la sua morte, fra cent'anni, lo avrebbe dovuto scaraventare di nuovo sulla terra. Sebbene non andasse mai in chiesa, mentre zio Pasqualino ci andava; sebbene non fosse praticante, mentre zio Pasqualino lo era, e stava sempre con il rosario in mano, sosteneva che era certamente meglio lui, come credente. E sosteneva pure che la sua non era altro che pura ipocrisia. E comunque, che, una volta in paradiso, non ci sarebbe stato posto sufficiente per entrambi. Il Padreterno, insomma, avrebbe dovuto preferire il suo ateismo alla religiosità falsa del coetaneo..."
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