Metto qui un brano tratto da un mio libro:
STORIE DAL PAESE DEI CICLAMINI
In questo brano che, ammetto è un po lungo, si parla di morti e di funerali. Perciò chi non gradisse l'argomento può astenersi dal leggerlo. Chi, invece, volesse leggere qualche considerazione che, magari, condivide, sulla morte e sui funerali, ma non ha mai scritto (magari solo per mancanza di tempo), prosegua pure la lettura. La troverà interessante. Almeno lo spero.
"In un paese piccolo, piccolo come il mio, che non fa nemmeno
1700 abitanti, ogni anno muore almeno l'un per cento della popolazione: 15/17
persone, se va bene, cioè se ne muoiono pochi. Perché, se va male, nel senso
che quell'anno ne moriranno molti, allora possono morire anche il doppio: cioè
una buona trentina. Vivere in un paese piccolo come il mio è come vivere in
tempo di guerra, come vivere durante la guerra, anzi in una guerra che si sta
ancora combattendo, che si combatte ogni giorno, ogni settimana, ogni mese,
ogni anno. Una guerra lunga e interminabile che, ogni quindici giorni, o quasi,
annuncia un suo caduto; aggiorna il conteggio dei suoi morti; conta i suoi
caduti totali. Se vivi in un paese piccolo, non sei affatto un cittadino sereno
che fa una vita serena, tranquilla, come molti pensano che sia la vita in paese
e come, alla fine, meriteresti pure di fare, avendo scelto di vivere in paese
piccolo, brutto e dimenticato da Dio e dagli altri uomini. In una città è tutto
diverso, penso; ma è diverso specialmente il rapporto con la morte, ne sono
certo. Quello che stava seduto al tuo fianco quella mattina in metropolitana e
con cui hai scambiato due chiacchiere sul tempo, è morto una settimana dopo, o
lo stesso giorno, ma tu non lo sai e non lo verrai mai a sapere; non lo
conoscevi e, quando è sceso, eri già pronto a non vederlo più, a non
incontrarlo mai più. E non lo vedi più, nemmeno se resta in vita. Quindi è come
se fosse morto. E se pure lo dovessi rivedere non lo riconosceresti ed è come
se lo avessi visto per la prima volta. Quello che stava davanti a te in fila al
supermercato, a cui hai tamponato il carrello, nemmeno lo conoscevi, magari
uscendo è stato investito da un'auto o ha avuto un infarto o s'è buttato sotto
un treno in corsa, ma tu non lo conoscevi e non lo sai che è morto. E non
t'interessa di saperlo. Non ti informi. In un paese piccolo potrebbe non
interessarti chi vive e chi muore, nemmeno se non frequentavi il defunto, ma
invece ti interessa, deve interessarti per forza, non dipendesse dal semplice
fatto che in modo o in un altro vieni a sapere che uno è morto e che fanno i
funerali in piazza, e il paese è la piazza; quindi sai che è morto qualcuno, sai
chi è morto e sai che lo conoscevi, per forza. La tua vita in paese, quindi
pare tranquilla, ma non lo è. E' piena di preoccupazione: chi sarà il
prossimo? Toccati! Potresti essere tu. La tua vita in paese assomiglia a
quella di un soldato. Ricordate il soldato di Ungaretti? "Si sta
come d'autunno sugli alberi
le foglie." Ecco
in paese si sta così, si vive così. Se, invece che in una città, vivi in paese
piccolo, sei come una foglia sul ramo, e non solo d'autunno; sei come un
soldato, per tutto l'anno. Anzi sei come un soldato appostato in trincea per
tutto l'anno e ogni tanto ti arriva la notizia che è morto qualcuno: Giuseppe,
e poi che è morto pure Paolo, e poi anche Carlo e qualche giorno dopo se n'è
andato anche Lucio e che l'altra settimana, quel brutto male s'era portato
Tommaso e che prima di loro, dall'inizio dell'anno, s'era portati Alessandro,
Antonietta, Filippo e Maria e Luigia e .... Tutta gente che conoscevi: amici,
conoscenti, parenti, affini, coetanei, vicini di casa, vecchi compagni di scuola
o di giochi, insomma i tuoi compaesani ...i tuoi commilitoni. Poi dopo che ti
hanno detto: lo sai chi è morto? E' morto Tizio; hai realizzato chi era; ti sei
ricordato il suo volto; e ti ricordi pure che l'hai incontrato due giorni prima
e magari ci avevi pure parlato, devi convincerti che non lo rivedrai più, mai
più. Da quel momento in poi puoi solo sperare d'incontrarlo in Paradiso.
Intanto, però, vai a far visita a casa, saluti i parenti, li baci li abbracci e
gli stringi la mano, torni a casa; ti vai a preparare per andare al rito
funebre e per accompagnarlo al cimitero, il giorno dopo. Se ti era amico lo fai
con partecipazione e convinzione e commozione; se non era un amico, ma un
semplice conoscente, ci vai lo stesso sennò non ti vedono e può sembrare
un'offesa; se, peggio ancora, ti stava sul cazzo, vale la regola del parce
sepulto: al funerale devi partecipare lo stesso; metti da parte le
incomprensioni e le liti pregresse, le antipatie, e le quintalate di screzi e,
in nome della carità cristiana che si deve almeno ai defunti, vai al cimitero,
magari facendo anche una faccia triste, contrita, il più possibile adatta
all'occasione ferale di cui non ti importa niente. Quel gesto penoso di
accompagnare il defunto nel suo ultimo viaggio ormai pare sia rimasto l'unico
momento in cui, nei piccoli paesi, si esalta ancora un senso di umana
partecipazione alla comunità, un sentimento d'amore, di compassione e di
mutualità verso il tuo prossimo evangelico, che tra i vivi e i vivi non esiste
più; si sostanzia ormai solo nei rapporti tra i vivi e i... morti. E si, perché
la vita nei piccoli paesi non è più quella di prima. E non sto parlando di
secoli fa. Sto parlando di soli trenta, quarant'anni fa. Non bisogna andare
molto indietro per capire che quella vita non esiste più e con essa non
esistono più certi valori, certi sentimenti, certe necessità, certi usi e
abitudini che la rendevano peculiare, piacevole, o almeno più sopportabile e,
comunque, migliore di quella attuale. Quarant'anni fa la morte di un vecchio
era peggio della morte di un bambino, di un giovane o una persona di mezza età:
la morte di un vecchio era una vera tragedia comunitaria; era la fine di una
lunga storia di vita; era come veder abbattuta una vecchia quercia o un ulivo
secolare; era come veder crollare un monumento antico o un palazzo nobiliare
per un terremoto disastroso; come vedere distrutto un pezzo d'arte prezioso o
un'insostituibile porzione della società. Perché i vecchi erano tenuti in
altissima considerazione: per l'aiuto che avrebbero potuto ancora dare in
consigli, per i loro ricordi, per la memoria dei fatti, delle storie antiche,
dei posti, delle persone. E non solo dalla loro famiglia, ma dall'intera
società. Oggi quando muore un vecchio sembra che ci siamo tolti un problema, un
peso, un impiccio, un dente cariato. E, per giunta, non avremo più badanti per
casa che parlano lingue strane: altro sollievo! "Tanto era
vecchio!" si dice e di lui, ne la famiglia ne la società,
rimpiangeranno niente. Nemmeno la pensione, intascata intera dalla
ingombrante e indiscreta badante rumena. Oggi in paese non muoiono più tanti
piccoli. Prima ne morivano di più: ed erano tragedie strazianti, che segavano
le ginocchia alla comunità. Il morale dei paesani si risollevava a fatica solo
dopo molte settimane. Nel cimitero del mio paese c'è una sezione dedicata alle
bare bianche. Sono anni, forse decenni, che non muore più un bambino. Per
fortuna. La medicina ha fatto enormi progressi. Le malattie infantili non sono
più mortali (da noi) e possono essere diagnosticate precocemente, alcune tra le
più gravi anche prima della nascita. La vita si è allungata, e i bambini, che
sono sfuggiti alla morte precoce, diventeranno adolescenti, poi giovani, poi
adulti e forse vecchi. E quando saranno diventati grandi e avranno messo su
famiglia si ammaleranno e moriranno più tardi, magari di cancro, di cuore o di
diabete, ma potranno almeno dire di essere venuti al mondo e di aver vissuto
qualche decennio. A pensarci bene una persona che vive fino a 80 anni, che può
essere considerata una bella età ma non certo un'età veneranda, ha vissuto solo
960 mesi, circa 28.800 giorni, più o meno 700.000 ore. A pensarci bene mica poi
così tanto! Ma, sapete una cosa? Vivere e morire in paese, non è poi così
diverso che vivere e morire in qualsiasi altro posto del mondo."
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