Gli indizi, raccolti nel corso di alcune mie ricerche storiche, mi hanno condotto alla formulazione di una ipotesi (ovviamente tutta da dimostrare) che si può riassumere in una domanda anzi, due.
La prima: è possibile che alcuni navigatori sardi, approdati sulle coste del Lazio, intorno alla seconda metà del primo millennio d.C., abbiano fondato Coreno?
La seconda, in subordine: è possibile che alcuni navigatori sardi approdati lungo le coste laziali (la propaggine più meridionale della Riviera di Ulisse) e spintisi per qualche chilometro all'interno del territorio siano venuti a contato con la popolazione di Coreno, influenzandone la cultura, le abitudini religiose e, finanche, la lingua?
Voglio avvertire preventivamente il lettore che tale ipotesi (per ora bislacca se non cervellotica, essendo solo l'abbozzo della teoria di uno "storico visionario" come il sottoscritto), pure affascinante e, per certi versi verosimile, è ancora tutta da dimostrare.
Tuttavia è utile che io riassuma qui i punti salienti sui quali è possibile, sempre secondo il sottoscritto, iniziare una riflessione e dai quali bisognerà necessariamente partire per la effettuazione di una ricerca storica seria, che potrebbe, non dico asseverare definitivamente tale tesi - ripeto, per ora, fantasiosa - ma renderla, quanto meno, più credibile e realistica.
Eccoli riassunti sinteticamente di seguito.
1) Il dialetto corenese rappresenta un unicum rispetto ai dialetti dei paesi limitrofi e confinanti; non somiglia, infatti, al dialetto di Ausonia, di Castelforte, di Spigno, né a quello di Vallemaio. Anzi, si può dire che rappresenta una enclave linguistica molto originale rispetto agli altri vernacoli. Perché?
Nel contempo per molti dei finali di parola in U e per la presenza degli articoli SU, SA e SI, somiglia in maniera indiscutibile al dialetto Sardo, da molti considerato una vera e propria lingua.
2) Caso più unico che raro, sul territorio del comune di Coreno è perfettamente conservata la cd. Grotta delle Fate. Un monumento scavato e scolpito nella roccia calcarea, da molti considerato sito archeologico antichissimo e originalissimo, del tutto simile, se non addirittura uguale alle cd. Domus de Janas (Case delle Fate) sarde.
https://www.youtube.com/watch?v=cTBt1T2UK-4
Le domus de janas sono delle strutture sepolcrali preistoriche costituite da tombe scavate nella roccia tipiche della Sardegna pre-nuragica. Si trovano sia isolate che in grandi concentrazioni costituite anche da più di 40 tombe. Dal Neolitico recente fino all'età del bronzo antico, queste strutture caratterizzarono tutte le zone dell'isola. Ne sono state scoperte e censite più di 2.400, circa una ogni chilometro quadrato, e molte rimangono ancora da scavare. Sono sovente collegate tra loro a formare delle vere e proprie necropoli sotterranee, con in comune un corridoio d'accesso (dromos) ed un'anticella, a volte assai spaziosa e dal soffitto alto. In italiano, il termine in lingua sarda domus de janas è stato tradotto in "case delle fate".
3) E' dimostrato storicamente, oltre che testimoniato da innumerevoli ritrovamenti archeologici, che i navigatori sardi in epoca storicamente documentabile si siano spinti lungo tutti i centri abitati delle coste tirreniche all'entroterra, per decine di chilometri, dalla Toscana alla Campania. Dunque non è inverosimile pensare che possano essere approdati anche sulle coste del Basso Lazio, tra le più ricche, fertili ed apprezzate già dagli antichi romani. Esiste una recente documentazione storica di flussi commerciali, fin dall'età del bronzo, tra Sardegna e potenze mediterranee e precipuamente tirreniche. In più. La navigazione rivestì un ruolo molto importante per i sardi. Il ritrovamento di ancore nuragiche lungo la costa orientale, alcune del peso anche di 100 chili, confermano che le imbarcazioni erano molto robuste e probabilmente gli scafi raggiungevano una lunghezza di oltre i 15 metri. Dopo essere stata per anni descritta come una civiltà chiusa in se stessa, con ipotesi che attribuivano alle navicelle nuragiche in bronzo una funzione votiva o di semplici lucerne, le evidenze archeologiche testimoniano che le popolazioni nuragiche costruivano solide imbarcazioni e che erano abili commercianti, che viaggiavano con i loro scafi sulle rotte dei traffici internazionali, intessendo forti legami con la Civiltà Micenea, con la Spagna, con l'Italia tirrenica e con Cipro. Sono di grande attualità e interesse alcuni rinvenimenti archeologici nelle coste del Vicino Oriente e della Bulgaria. I frequenti scambi commerciali e l'importanza dell'intenso commercio del rame verso il Mediterraneo orientale, testimoniato dal ritrovamento di importanti quantità di lingotti di rame di tipo probabilmente cipriota, stimolarono la metallurgia ed i commerci e portarono a un intenso sviluppo economico, contribuendo ad arricchire significativamente le popolazioni nuragiche.a
4) Come spiegare l'esistenza di un toponimo comune tra la Sardegna e l'attuale Ciociaria: Comino? Capo
Comino è una località situata nel comune
di Siniscola (NU), sulla costa nord-orientale della Sardegna e rappresenta
l'estremo orientale dell'isola, al termine del Golfo di Orosei; mentre, nella Provincia di Frosinone, la Valle di Comino è una delle valli paesaggisticamente, storicamente e archeologicamente più belle dell'intera Ciociaria.
5) Il muro a secco. La quasi totalità delle pianure dell'isola sarda è originata dall'azione dell'acqua e del vento. Sono quindi pianure alluvionali, disseminate di pietre più o meno grandi trascinate dalle alluvioni o rotolate lungo o pendii. Per poter avviare un minimo di attività agricola, quindi, la prima operazione da fare era lo "spietramento", cioè la raccolta delle pietre con le quali si costruiscono muri di contenimento e di confine delle proprietà. I tipici muri a secco che consentivano di trattenere la poca terra sulla quale i contadini coltivavano la vite, ma soprattutto l'ulivo. In Sardegna come in tutto il Lazio e anche a Coreno Ausonio.
Detto tutto questo, concludo dicendo che mi sono deciso a pubblicare questo mio scritto per la speranza di accendere intorno a quest'argomento una discussione; per stimolare la curiosità dei lettori e per avere, se possibile, un contributo che possa trasformare questi 5 semplici indizi, che pure sembrerebbero univoci e concordanti, in un'unica grande, esaustiva e, soprattutto definitiva prova.
Ringrazio, quindi, anticipatamente tutti coloro che volessero contribuire a dipanare questa ingarbugliata ma avvincente matassa.
smr
5) Il muro a secco. La quasi totalità delle pianure dell'isola sarda è originata dall'azione dell'acqua e del vento. Sono quindi pianure alluvionali, disseminate di pietre più o meno grandi trascinate dalle alluvioni o rotolate lungo o pendii. Per poter avviare un minimo di attività agricola, quindi, la prima operazione da fare era lo "spietramento", cioè la raccolta delle pietre con le quali si costruiscono muri di contenimento e di confine delle proprietà. I tipici muri a secco che consentivano di trattenere la poca terra sulla quale i contadini coltivavano la vite, ma soprattutto l'ulivo. In Sardegna come in tutto il Lazio e anche a Coreno Ausonio.
Detto tutto questo, concludo dicendo che mi sono deciso a pubblicare questo mio scritto per la speranza di accendere intorno a quest'argomento una discussione; per stimolare la curiosità dei lettori e per avere, se possibile, un contributo che possa trasformare questi 5 semplici indizi, che pure sembrerebbero univoci e concordanti, in un'unica grande, esaustiva e, soprattutto definitiva prova.
Ringrazio, quindi, anticipatamente tutti coloro che volessero contribuire a dipanare questa ingarbugliata ma avvincente matassa.
smr
ecco una risposta:
RispondiEliminahttp://www.gatc.it/biblioteca/letture/pittau-parentelasardietruschi.htm
beh! pare che qualche elemento di certa importanza si cominci ad acquisire. grazie francesco, per il tuo contributo.
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