Le Stagioni della Lattaia
Il Racconto Breve della Donna che mesceva il latte con altre sette piccole storie.
Vivo in un paese brutto.
Brutto, perché maltenuto; brutto, perché cresciuto disordinatamente - senza
armonia; brutto, perché disseminato di case senza facciata; brutto, perché
zeppo di stabili fatiscenti coi muri crepati.
E’ un vero peccato! Perché di sicuro non
è stato sempre così. Un difetto di senso estetico, poco meno che generale, l’ha
reso brutto; il disinteresse, l’egoismo e la sciatteria, di chi lo ha
amministrato per anni e della sua gente, hanno fatto il resto.
Io penso che alla sua nascita - mille
anni fa - fosse molto diverso da come è adesso. Anzi, sicuramente era diverso.
Sicuramente era migliore. E, a suo modo, doveva pure essere bello. Posso
immaginare come era - senza sforzo. Se chiudo gli occhi le vedo ancora le sue
case basse: paiono reggersi lungo il pendio scosceso, puntellate nella terra e
nei sassi. Sembrano gatti che si reggono sul sofà con gli artigli ficcati nello
schienale. Sono addossate, appiccicate una su l’altra, a modellare i minuscoli,
caratteristici borghi, stipati di portici archi e loggiati, che conservano
ancora il nome degli edificatori primordiali. Tutte di pietra viva e malta
impastata a colpi di badile; tutte coi serramenti di quercia laccati al
naturale. Li vedo ancora i suoi tetti coperti di coppi fatti a mano: tutti
uguali nella forma, tutti diversi nei colori, estratti a caso da l'impasto di
terracotta. Le vedo ancora le sue macere di pietra a segnare i confini delle
proprietà - fuori del centro abitato e anche dentro. Appena spaccate, le pietre
sono di un bianco abbagliante, quasi lunare; poi, col tempo, diventano grigie -
per accompagnarsi meglio alla tristezza del paesaggio circostante.
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