sabato 11 aprile 2015

In memoria di Zio Giovanni Parente, nei giorni dell'anniversario della sua morte.

Estraggo  dal mio libro

Passeggiate nella memoria profonda di un ragazzo di paese

il brano che ho dedicato a mio Zio Giovanni.


 


(Venerdì 12 aprile 2013)

In memoria di mio Zio Giovanni (detto John).




Ieri è morto a Cleveland, in Ohio (USA), dove era emigrato coi genitori nel primo dopoguerra, per costruire per se e per la sua famiglia un futuro migliore di quello che poteva offrirgli la terra sassosa di Coreno, il mio caro "zio americano" Giovanni, uomo mite e laborioso. Era marito della mia cara "zia americana" Linda, sorella di mia madre e mamma dei miei quattro cugini americani, Tony Parente, John, Mary Jane, Joanna. Giovanni aveva subito imparato a parlare l'inglese meglio di Gary Cooper, del quale aveva lo stesso tono di voce, ma non aveva mai voluto dimenticare il dialetto della sua terra: sapeva ancora parole strane e incomprensibili in corenese: noi le abbiamo dimenticate, lui ne conservava gelosamente la memoria. Sapeva fare tutto ed infatti il lavoro non gli è mai mancato. Ma era bravissimo, anzi, eccelleva nel confezionamento dei pacchi da spedire in Italia nella stiva degli aerei. Conservo un curioso aneddoto di cui voglio mettervi a parte. Quando io e Patrizia, mia moglie, andammo in America per il viaggio di nozze, era il lontano 1991, fummo ospiti nella sua casa di Courtland Ave. Una deliziosa piccola brownestone house ad un piano col prato davanti e il garage e l'orto dietro. Proprio come si vedevano nei telefilm americani di Fonzies. Lui, quando era libero dal lavoro, ma io ero convinto che si liberasse apposta per scortarci nella "sua" Cleveland, con la sua... Handa! come lui chiamava la sua Honda, ci scarrozzava per le freeway a caccia di acquisti in "sale" e "deliverance" nei già diffusissimi, numerosi e gigantesci "out-let". Grazie al suo infallibile fiuto per gli affari facemmo incetta di jeans Lewis, camicie di Ralph Lauren e scarpe Timberland, pagando tutto qualche manciata di dollari. Quando fu tempo di tornare non sapevamo dove mettere quella montagna di roba, avevamo poche borse, qualcuna la comprammo, ma non bastava lo stesso. Allora Zio John, come lo chiamavo confidenzialmente, ebbe un colpo di genio: prese dal "basement" (il piano interrato) degli scatoloni di cartone che conservava (lui non buttava via niente, quale consumismo americano!). A me parevano sì voluminosi ma fragili e comunque inadeguati a sopportare tutto quel peso e , mentre noi ancora discutevamo, lui lentamente e silenziosamente cominciò a riempirli con rara razionalità e, altrettanto rara, maestria, sfruttando tutti gli spazi utili ed evitando ad arte di creare vuoti inutili. Poi, una volta riempiti, cominciò a chiuderli con lo scotch da imballaggio e a legarli con uno spago robusto, col quale, come diceva lui, realizzava una serie interminabile ..." re 'ngalappi" robustissimi. Le nostre spese arrivarono in Italia nei loro pacchi, come erano stati spediti. Quando, ogni due anni, Zio John veniva a Coreno con Zia Linda e qualche figlio e amici al seguito, per le vacanze estive, che duravano sempre tre mesi, passava al negozio per le batterie che usava per gli orologi e per i suoi strumenti di misurazione elettronici. S'arrabbiava se dicevo che erano in omaggio e mi dava sempre più di quello che costavano. Non sono mai riuscito a sdebitarmi con lui, almeno fino a quando non mi hanno chiamato a dire due parole il giorno che a Coreno nella nostra, nella loro chiesa, Giovanni e Linda festeggiarono il matrimonio che non avevano mai avuto a Cleveland negli anni '50: i loro parenti erano tutti qui  e quella sera per la doverosa replica erano attorno a loro, festanti, soddisfatti, e soprattutto ...tutti.  Feci il mio discorso, naturalmente a braccio e col cuore, cercando di dire cose belle e vere, le uniche che potevo dire e, insieme anche coltivando l'ambizione nascosta, di far scendere qualche lacrima e di strappare qualche sorriso, ma quei fessi che ascoltavano risero pure, ma si commossero davvero. E pure allora Zio John mi voleva ricompensare con una banconota da 50 dollari, che io ovviamente non accettai. Stavolta mi arrabbiai io. Restavo io sempre in debito con lui. Ora non so dove sia andato: ma se davvero esiste un paradiso per gli uomini miti e laboriosi lui ci dev'essere arrivato sicuro. Spero che oggi abbia potuto trovare lassù un futuro di meritato riposo e, comunque, anche migliore di quello che ha costruito col suo sudore a Cleveland, la sua seconda patria. Io sono certo che, anche se quella città, quella nazione ricca gli hanno dato molto, sarà sempre seconda rispetto a Coreno, la sua vera terra. Quella che lui ha amato, che non ha mai dimenticato e che non potrà ospitare la sua ultima dimora. 
Ciao Zio John. “Sit tibi terra levis.”


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