Estraggo dal mio libro
Passeggiate nella memoria profonda di un ragazzo di paese
il brano che ho dedicato a mio Zio Giovanni.
(Venerdì 12 aprile 2013)
In memoria di mio Zio Giovanni (detto John).
Ieri è morto a Cleveland, in Ohio
(USA), dove era emigrato coi genitori nel primo dopoguerra, per costruire per
se e per la sua famiglia un futuro migliore di quello che poteva offrirgli la
terra sassosa di Coreno, il mio caro "zio americano" Giovanni, uomo
mite e laborioso. Era marito della mia cara "zia americana" Linda,
sorella di mia madre e mamma dei miei quattro cugini americani, Tony Parente,
John, Mary Jane, Joanna. Giovanni aveva subito imparato a parlare l'inglese
meglio di Gary Cooper, del quale aveva lo stesso tono di voce, ma non aveva mai
voluto dimenticare il dialetto della sua terra: sapeva ancora parole strane e
incomprensibili in corenese: noi le abbiamo dimenticate, lui ne conservava
gelosamente la memoria. Sapeva fare tutto ed infatti il lavoro non gli è mai
mancato. Ma era bravissimo, anzi, eccelleva nel confezionamento dei pacchi da
spedire in Italia nella stiva degli aerei. Conservo un curioso aneddoto di cui
voglio mettervi a parte. Quando io e Patrizia, mia moglie, andammo in America
per il viaggio di nozze, era il lontano 1991, fummo ospiti nella sua casa di
Courtland Ave. Una deliziosa piccola brownestone
house ad un piano col prato davanti e
il garage e l'orto dietro. Proprio come si vedevano nei telefilm americani di Fonzies. Lui, quando era libero dal
lavoro, ma io ero convinto che si liberasse apposta per scortarci nella
"sua" Cleveland, con la sua... Handa!
come lui chiamava la sua Honda, ci scarrozzava per le freeway a caccia di acquisti in "sale" e "deliverance"
nei già diffusissimi, numerosi e gigantesci "out-let". Grazie al
suo infallibile fiuto per gli affari facemmo incetta di jeans Lewis, camicie di
Ralph Lauren e scarpe Timberland, pagando tutto qualche manciata di dollari. Quando
fu tempo di tornare non sapevamo dove mettere quella montagna di roba, avevamo
poche borse, qualcuna la comprammo, ma non bastava lo stesso. Allora Zio John,
come lo chiamavo confidenzialmente, ebbe un colpo di genio: prese dal "basement" (il piano interrato)
degli scatoloni di cartone che conservava (lui non buttava via niente, quale
consumismo americano!). A me parevano sì voluminosi ma fragili e comunque
inadeguati a sopportare tutto quel peso e , mentre noi ancora discutevamo, lui
lentamente e silenziosamente cominciò a riempirli con rara razionalità e,
altrettanto rara, maestria, sfruttando tutti gli spazi utili ed evitando ad
arte di creare vuoti inutili. Poi, una volta riempiti, cominciò a chiuderli con
lo scotch da imballaggio e a legarli
con uno spago robusto, col quale, come diceva lui, realizzava una serie
interminabile ..." re 'ngalappi" robustissimi. Le nostre
spese arrivarono in Italia nei loro pacchi, come erano stati spediti. Quando,
ogni due anni, Zio John veniva a Coreno con Zia Linda e qualche figlio e amici
al seguito, per le vacanze estive, che duravano sempre tre mesi, passava al
negozio per le batterie che usava per gli orologi e per i suoi strumenti di
misurazione elettronici. S'arrabbiava se dicevo che erano in omaggio e mi dava
sempre più di quello che costavano. Non sono mai riuscito a sdebitarmi con lui,
almeno fino a quando non mi hanno chiamato a dire due parole il giorno che a
Coreno nella nostra, nella loro chiesa, Giovanni e Linda festeggiarono il
matrimonio che non avevano mai avuto a Cleveland negli anni '50: i loro parenti
erano tutti qui e quella sera per la doverosa replica erano attorno a
loro, festanti, soddisfatti, e soprattutto ...tutti. Feci il mio discorso, naturalmente a
braccio e col cuore, cercando di dire cose belle e vere, le uniche che potevo
dire e, insieme anche coltivando l'ambizione nascosta, di far scendere qualche
lacrima e di strappare qualche sorriso, ma quei fessi che ascoltavano risero
pure, ma si commossero davvero. E pure allora Zio John mi voleva ricompensare
con una banconota da 50 dollari, che io ovviamente non accettai. Stavolta mi
arrabbiai io. Restavo io sempre in debito con lui. Ora non so dove sia andato:
ma se davvero esiste un paradiso per gli uomini miti e laboriosi lui ci
dev'essere arrivato sicuro. Spero che oggi abbia potuto trovare lassù un futuro
di meritato riposo e, comunque, anche migliore di quello che ha costruito col
suo sudore a Cleveland, la sua seconda patria. Io sono certo che, anche se
quella città, quella nazione ricca gli hanno dato molto, sarà sempre seconda
rispetto a Coreno, la sua vera terra. Quella che lui ha amato, che non ha mai
dimenticato e che non potrà ospitare la sua ultima dimora.
Ciao
Zio John. “Sit tibi terra levis.”
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