Le Stagioni della Lattaia. (p.s. quest'anno cade il 25ennale della sua molto prematura scomparsa)
Ancora due o tre cose sull'Americano....
era mio padre.
Da piccolo ho sempre pensato che mio padre fosse l’uomo più forte del
mondo. Forse l’idea non è proprio la più
originale, dato che, probabilmente, tutti i figli, da piccoli, pensano lo
stesso dei loro padri. Lui però aveva davvero un fisico roccioso. Pareva una
statua scolpita in un blocco di granito. Vigeland[1] ne ho visto centinaia, plasmate come lui. Conservo una sua fotografia
fatta al mare. E’ l’emblema di quanto vado dicendo. Era giovane - avrà avuto
neanche trent’anni - e un autentico atleta. Sostiene mio zio a cavalcioni sulle
spalle, e due amici con la sola forza delle braccia e delle gambe piantate
saldamente nella sabbia. Sorride. Appare divertito. Per nulla affaticato dallo
sforzo - che pure doveva essere immane. Mio padre è morto già da quasi
vent'anni – mi sembra ieri. Se n’è andato quando tutti avevamo ancora bisogno
di lui. Ce l’ha portato via un cancro allo stomaco. Causa del decesso:
Adenocarcinoma Gastrico. L’unica malattia che temeva davvero. Tutte le altre le
avrebbe prese a calci nel culo. Quella no. Di quella aveva veramente paura. Si
era convinto che anche sua madre - mia nonna - ne fosse morta. E anche lei
prematuramente. Lui stava già cominciando a morire. Ma nessuno di noi s’è
accorto ch’era gravemente ammalato. Neanche il dottore incapace al quale si era
rivolto fiducioso - voleva curarlo col Ranidil?! - che per vedergli dentro lo
stomaco gli ha cacciato dieci volte un tubo nero in gola. Solo lui presagiva la
fine del viaggio. Ricordo - chi potrà mai dimenticarlo - l’ultimo sguardo
rivolto dalla strada, verso casa, in alto, prima di salire in macchina, il
giorno che partì per il S. Eugenio. Era avvilito, sapeva che non sarebbe più
tornato. Era una luminosa mattina di giugno, ma una notte buia gli era già
calata addosso. La sua fine improvvisa a tutti è sembrata una beffa. Proprio
l’organo che permette agli uomini di sopravvivere, dentro di lui si è rifiutato
di funzionare ancora. Come impazzito, l’ha ucciso. Quel male è ferocemente
subdolo. Ti attacca da dentro, silenzioso e invisibile. Ti consuma inesorabile,
mentre continui a fare tutto normalmente. Spesso non ti accorgi d’averlo se non
quando è troppo tardi. Allora ho capito veramente come siano fragili gli
uomini, anche quelli che sembrano forti. Come siamo fragili. Reclamando
dall’uomo distratto che stava di guardia il permesso d’entrare da solo nella
stanza fredda, ho voluto salutare mio padre per l’ultima volta. Siamo stati
insieme per lunghi minuti, ma entrambi eravamo soli. Lui impietrito, avvolto in
lenzuolo bianco; io senza parole, raccolto in una preghiera muta, il viso
segnato dalle ultime lacrime che avevo da versare. Ma, come per un miracolo, il
suo volto non era più sofferente. Papà sembrava guarito - restituito per sempre
all’espressione serena di sempre. Quella che nelle eterne settimane precedenti
avevo dimenticato. Ho avuto l’audacia di scoprire il suo corpo. Era nudo sotto
il sudario. L’ho osservato per interminabili momenti. Ho letto, cucita nelle
sue carni, una lunga inutile ferita - testimone della scienza impotente che
s’arrende al mistero insopportabile della Vita e della Morte. E’ stata la prova
più dura di tutta la mia vita. Sembra mostruoso, ma può essere lecito,
scoprirsi a pregare perché una persona che ami non viva più, sofferente, ma si
spenga al più presto. Oggi, quando mi capita d’entrare nella chiesa deserta percepisco
ancora gli echi del necrologio commosso del suo collega più caro - interrotto
dai frequenti singhiozzi degli altri. Uscendo, avverto lontano il crepitio
sordo dell’ultimo applauso al passaggio della bara portata a spalla dai suoi
amici più fedeli - mentre sulla piazza cala, come un velo pesante, immateriale
e dolente, il fiacco rintocco della campana a martello dei morti. Le attività di mio padre hanno contribuito a
farne un punto di riferimento nella comunità del paese - per l’istruzione, la
cultura e la ricreazione. Gli hanno meritato la considerazione unanime
d’eccellente e moderno insegnante. Oltre che di campione impareggiabile
nell’organizzazione del tempo libero - in particolare del calcio. In paese è
considerato l’eroe eponimo del pallone. Al pallone ha legato indissolubilmente
il suo nome. Allenava i giovani per farne calciatori, ma in realtà il suo vero
disegno era più ambizioso: cercava di formare uomini. Amava anche il pugilato.
Quando l’incontro era nobile arte, eleganza e strategia veloce - una
danza, un balletto. Non massacro
violento. E gli piaceva la caccia. Quella ecologica, se ne esistesse una.
Rispettava profondamente la natura e gli animali, e interpretava l’attività
venatoria senza accanimento. Era capace di stare fuori un’intera giornata,
dall’alba al tramonto, attrezzato di tutto punto, il fucile carico sempre in
spalla, la sicura innestata, senza sparare un solo colpo. Non riteneva un
fallimento il rientro a casa, dopo una battuta, senza aver ucciso bestiole
indifese. Un carniere che restava mestamente vuoto non lo innervosiva. Sembrava
invece un evento in grado di procurargli una sensazione di piacevole serenità.
Quando era in quello stato gli leggevi negli occhi un benessere quasi euforico.
Mio padre è ricordato in paese per l’innata capacità di motivare i
giovani e avviarli alla piena autocoscienza. Era abile ad intuire le
inclinazioni degli allievi - anche le più nascoste - sapendole indirizzare
sapientemente, e senza soperchierie, verso un corretto sviluppo delle attitudini
e della personalità. Queste doti non comuni hanno contribuito in modo decisivo
al coinvolgimento di generazioni intere ed alla buona riuscita delle sue
occupazioni professionali e sociali. Gli hanno fatto guadagnare la stima e la
gratitudine degli allievi, ma soprattutto dei loro genitori, che vedevano in
lui un ulteriore, insperato supporto per l’educazione dei figli.
Mio padre aveva una personalità forte. Era una persona concreta,
determinata, in possesso di un carattere schietto e leale, a volte spigoloso,
esigente, con parametri di valutazione rigidi. Ma prima di imporli agli altri,
aveva provveduto a comandarli a se stesso. In genere gli adolescenti crescendo
tendono a sviluppare un rapporto conflittuale coi genitori. Provano un senso
d’avversione, li rifiutano, hanno propensione a escluderli dalle loro vite.
Come se ne vergognassero. A me non è mai successo con mio padre. Lui era il mio
vanto. Una parte fondante della mia esistenza - fin quando c’è stato. E,
attraverso i suoi preziosi insegnamenti, anche dopo. Era una di quelle persone,
ormai rare, che sceglieva anche di essere impopolare, se serviva a far
prevalere la verità. Diceva sempre quello che andava detto, non quello che gli
conveniva di più dire; sceglieva sempre di fare quello che andava fatto, non
quello che gli conveniva di più fare. Sapeva bene che un tale comportamento
intransigente non gli avrebbe procurato certo vantaggi - piuttosto qualche
problema. Ma lui prendeva sempre una parte. Era una delle rare persone che ho
stimato e ammirato. E che avrei stimato e ammirato molto, anche se non fosse
stato mio padre. E se non avessi mille altre ragioni, me ne basterebbe una
sola: l’ho visto spendere la sua intera vita per predicare, in ogni occasione
utile, ma senza un filo di retorica la correttezza, l’onestà, la sincerità. A
giudicare dai risultati ottenuti il suo è stato un lungo inesaudito soliloquio.
Mio padre ha cercato d’insegnarmi la bellezza e la straordinarietà della
vita; ma anche la complessità e la difficoltà del vivere quotidiano. Forse
inconsapevolmente mi ha anche educato al piacere; molto meno al dovere. E,
chissà, che per questo motivo in debba essergli grato, ancora di più. Mi metteva costantemente in guardia sugli
ostacoli che ognuno incontra se decide di vivere la sua vita pienamente; se si
dispone ad assecondare la propria libertà di spirito; stabilisce di esercitare
il libero arbitrio. Non mi ha mai
consigliato altrimenti, non ha mai tentato di persuadermi, o costringermi, a
vivere la mia vita in maniera diversa.
Mi ha lasciato in eredità la sua alopecia, ma anche la sua fierezza e la
sua personale filosofia di vita - essenziale e sincera. A quella mi sono
ispirato, costantemente. Cercando, nel contempo di costruirmene una che fosse
solo mia.
In passato mi è stata preziosa. Lo è ancora di più in un’epoca di valori
ignorati, quando non oltraggiati. Sono perfettamente cosciente di non avere le
sue qualità, e anche consapevole delle differenze che ci distinguono.
Angustiato dall’intimo convincimento - che a volte si fa certezza - di non
poterlo eguagliare, non mi resta che custodire gelosamente l’orgoglio di essere
suo figlio.
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