venerdì 31 agosto 2012
Gerardo: il vecchietto naif.
"....Gerardo non aveva un’occupazione vera. L’impiego fisso che tutti si cercano, prima o poi, nella vita. Alla sua età avanzata, se non veneranda, coltivava la terra. O, per meglio dire, si limitava a dissodarla. Non la sua ma quella degli altri. Chi aveva necessità di vangare un pezzo di terra, sapeva di potersi sempre rivolgere a lui. Per accordarsi non servivano lunghi convegni. Bastavano due parole. Non era molto loquace - tutt’altro - da sobrio era di poche chiacchiere. Dopo che gli avevi spiegato per bene dov’era il tuo terreno, con una svelta stretta di mano, e un sorriso sdentato appena accennato, ricevevi la promessa che il lavoretto sarebbe stato eseguito a dovere e per tempo. Gerardo si ubriacava di frequente, ma ricordava ogni suo impegno e, approfittando dei rari momenti di lucidità, andava sul posto stabilito e raspava, scrostava, raschiava le zolle, grattava la terra. Il lavoro che aveva promesso, se non lo faceva a regola d’arte, perlomeno l’aveva tentato. I piedi calzati dai ciocie spingevano maldestramente sul pedale della sua vanga e il suo sudore arrivava sempre a bagnare le zolle. Qualche volta sbagliava recapito e si trascinava sul terreno di un altro. Poco male. Almeno anche quel pezzo di terra ne avrebbe cavato qualche beneficio."
(Il brano che avete appena letto, se lo avete letto, è tratto dalla piccola storia: Gerardo, il vecchietto naif, contenuta nella mia raccolta di racconti paesologici: LE STAGIONI DELLA LATTAIA.)
La magia del pane appena sfornato.
"...Oggi,
a più di quarant’anni di distanza da quei giorni felici, dove stavano
le fiorenti attività delle Sorelle D’Alessandro resta solo uno stabile
disabitato. Ironia della sorte, è stato restaurato da poco. E restano
pure due saracinesche ossidate.
Si vede bene che da allora nessuno le ha più sollevate.
Tuttavia
se, passando da quelle parti, mi fermo un momento, chiudo gli occhi, e
mi concentro per bene, ancora riesco a sentire gli odori che annusavo
nell’aria quando avevo dieci anni.
E
se quello che dico vi sembra strano - tanto strano da faticare a
credermi - se vi capitasse di passare di là, provate a fare lo stesso
anche voi.
Fiutate nell’aria.
Se
avrete un po’ di fortuna, anche voi riuscirete a sentire l’odore del
pane caldo, appena sfornato che, quelle donne hanno messo fuori - a
raffreddare sui vecchi graticci di canne."
(Quello che avete letto, se lo avete letto, è l'excipit del racconto: "Piccola storia n.2 - Le sorelle D'Alessandro, tratto dalla mia raccolta di racconti paesologici: "Le stagioni della lattaia" - "Il racconto breve della donna che mesceva il latte con altre sette piccole storie")
mercoledì 29 agosto 2012
<!-- ilmiolibro.it minireader --><div id="minireader-1346255310319"><a title="Le stagioni della lattaia - salvatore m. ruggiero" href="http://reader.ilmiolibro.kataweb.it/v/586606/#!" style="margin: 12px auto 6px auto; font-family: Helvetica,Arial,Sans-serif; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; font-size: 12px; line-height: normal; font-size-adjust: none; font-stretch: normal; -x-system-font: none; display: block; text-decoration: underline;">Le stagioni della lattaia - salvatore m. ruggiero</a><iframe class="minireader_iframe_embed" src="http://reader.ilmiolibro.kataweb.it/static/resources/minireader/reader.html?bookId=586606&start=1" data-auto-height="true" data-aspect-ratio="0.6583566073790975" scrolling="no" width="300" height="600" frameborder="0"></iframe></div><script type="text/javascript">(function() { var scr = document.createElement("script"); scr.type = "text/javascript"; scr.async = true; scr.src = "http://reader.ilmiolibro.kataweb.it/static/resources/minireader/inject.js"; var s = document.getElementsByTagName("script")[0]; s.parentNode.insertBefore(scr, s); })();</script><!-- ilmiolibro.it minireader end -->
giovedì 23 agosto 2012
dal mio saggio IL GENIO DI UPPSALA.
Ingmar
Bergman, per sua stessa ammissione, ha usato il suo cinema, la sua
arte, i suoi film anche come normalissimo, prosaico strumento per
raggiungere una fama globale imperitura e per assicurarsi l'agiatezza
economica (se non una vera ricchezza); che spesso gli sono mancate se si
pensa, ad esempio, al suo disastroso inizio di carriera. Ed ha usato
- anche di questo particolare veniamo a conoscenza per sua stessa
ammissione - i film come vere e proprie sedute di auto-psicanalisi.
Ha
lavorato nel cinema trasmettendo, attraverso le sue sceneggiature e le
sue riprese, agli attori le sue proprie angosce, le sue proprie paure,
le sue proprie psicosi. Perché essi interpretando i suoi personaggi, le
trasmettessero allo spettatore. A noi.
Non ha mai fatto mistero di avere
accumulato nel corso della sua infanzia problematiche psicologiche,
derivanti dagli strani rapporti intrattenuti, suo malgrado, con la madre
e col padre.
A proposito di tale sofferto rapporto famigliare, egli
stesso ammise:
“Immagino
che i più forti impulsi a girare Il posto delle fragole siano derivati
proprio dal dissidio coi miei genitori. Io mi ritraevo nella figura di
mio padre, cercando spiegazioni alle amare controversie con mia madre.
Credevo di capire di essere stato un bambino non desiderato, cresciuto
in un grembo freddo e generato in una crisi... fisica e psichica. Il
diario di mia madre ha in seguito confermato questa mia impressione: mia
madre era profondamente ambivalente nei suoi sentimenti verso il suo
disgraziato, morente bambino”.
(Dal libro-diario Immagini, di Ingmar Bergman).
Ingmar
Bergman non ha mai evitato di parlare dei suoi personali problemi,
magari preferendo trincerarsi dietro a più opportuni silenzi, oppure
dietro al comodo paravento di strategiche omissioni o anche dietro a una
artificiosa mancanza di chiarezza. Ha lui stesso messo i suoi
estimatori a parte dei piccoli o grandi segreti personali spesso
sconvenienti e poco affascinanti, se non addirittura imbarazzanti.
Insomma, pur attribuendosi certamente una buona dose di genialità
artistica ed ammettendo l'indiscussa grandezza di alcune delle sue
opere, non ha mai rifiutato il suo ruolo di uomo storico, pieno di
difetti, di essere umano con luci ed ombre, di persona in fondo normale,
potenzialmente geniale, ma anche debole e fallibile. Lui stesso ne ha
parlato apertamente e scritto altrettanto chiaramente nelle sue varie
biografie.
A modestissimo avviso dell'autore, anche in questo suo
anticonvenzionale, originale ed estroso atteggiamento va ricercata una
parte cospicua della sua grandezza.
dal mio saggio Il Genio di Uppsala.
Ingmar
Bergman ha avuto, tra le innumerevoli altre, la indubbia capacità di
contornarsi di attori e attrici straordinari. Senza di loro, cosa
sarebbe stato il cinema e, soprattutto, cosa sarebbe stato il suo
cinema? Ed avrebbe avuto la stessa straordinaria forza espressiva, la
stessa straordinaria efficacia? Cosa sarebbe stato della sua arte se
Bergman non avesse avuto sottomano e non avesse saputo trovare,
istruire, plasmare e far crescere professionalmente e umanamente attori e
attrici del calibro di Max von Sidow e Gunnar Bjornstrand; di Bibi
Anderson e Liv Ulman; di Ingrid Thulin e Ulla Jacobson? Oppure, se non
avesse potuto sfruttare per la rappresentazione delle sue complesse ed
articolate sceneggiature interpreti che erano o che sono diventati,
anche per merito dei suoi film, dei veri e propri mostri sacri del
cinema mondiale? E mi riferisco, ovviamente, a Viktor Sjostrom, Erland
Josephson, Nils Joffe, Ingrid Bergman, etc.
Bergman stesso, parlando
delle sue sceneggiature, dei suoi testi scritti per il cinema, confessa:
“...quando
l'attore, alla fine, s'impossessa delle sue parole e le trasforma in
espressioni sue proprie, lui stesso finisce per perdere il contatto con
il significato originale delle battute. Gli artisti riescono a destare
nuova vita in scene piene solo di chiacchiere”.
mercoledì 22 agosto 2012
Le stagioni della lattaia - Piccola storia n.4 L'arciprete era anche pittore.
"...I
dipinti dell’Arciprete non erano ancora ultimati - alcuni li aveva solo
abbozzati - ma riuscivano già ad emozionare. Sebbene, come succede
spesso ai bambini quando sono attirati da particolari imponderabili per
gli adulti, in quei momenti, nella mia piccola testa, anch’io ero
applicato in congetture di tutt’altro genere. Ancora prima che dalla sua
pittura ero stato conquistato dall’insolita scena che, inaspettata, mi
si parava davanti. Lassù in alto c’era lui. Dritto. Impettito. Indossava
un grembiule bianco tutto imbrattato di colore sul petto e sui fianchi.
In testa - sembrava appena appoggiato in miracoloso equilibrio - un
basco nero da pittore che cadeva di sbieco. Con la mano sinistra,
immacolata - il grosso pollice infilato nella fessura ovale - reggeva la
tavolozza dei colori; con la destra un pennello. E ne aveva uno più
piccolo, presumo per i ritocchi, in bilico su un orecchio. Il suo
corpo, che ricordavo legnoso, compassato, quasi impacciato, ora era
elegante, agile, quasi danzante. Il suo viso pulito, che ricordavo
eternamente permeato da un’espressione amabile e comunicativa, ora mi
appariva accigliato, corrusco, stranamente inasprito. Era come
trasformato, reso maldisposto, quasi ostile, dall’impetuosa tensione
artistica che al momento lo pervadeva. Solo quando si era accorto che,
da un canto buio della vasta porzione di platea totalmente immersa
nell’ombra, c’era ad osservarlo qualcuno che conosceva, Don Erasmo era
stato distratto da un vero e proprio stato di trance. E, distendendo il
suo volto in una mimica di poco più conciliante, ma quasi serena, si era
rivolto nella mia direzione - per parlarmi."
domenica 19 agosto 2012
L'anno scorso a Marienbad: cosa ne penso.
PRETENZIOSO
E PRESUNTUOSO COME LA QUASI TOTALITA' DEI FILM FRANCESI, SPECIE QUELLI
DEI CRITICI INTELLETTUALI CHE ANNOIATI DALLA SCRITTURA SI MISERO A FARE FILM. COME DIRE: SE DOBBIAMO ANDARE A VEDERE E RECENSIRE LA MERDA DI ALTRI, PRODUCIAMOLA NOI!
Il film è freddo e inutilmente intellettualistico.
In più non ha sviluppo pur pretendendo di averne uno.
Dall'inizo alla fine dominano le allusioni e gli attori si muovono sulla scena come
marionette.
Avesse letto qualcosa di Strindberg il nostro eroe?
La lentezza è esasperante, il manierismo insopportabile, la serietà
ostentata, le parole al vento, i preziosismi senza senso.
Film sperimentale,
come quasi tutti quelli di Resnais - una mezza tragedia per il cinema,
che è movimento, almeno di idee - e, sicuramente, dei peggiori per scelte espressive
emblematiche.
Un gioco perverso, fatto di inutile erudizione, lontano da
qualsivoglia processo culturale.
Una sorta di sciarada per iniziati.
Un codice cifrato per intelligentoni annoiati e cinefili snobboni.
Non mi
sorprende affatto che i cultori di questo film mettano "Mullholland Drive" tra i
loro preferiti! Una curiosità: Il soggetto è di Alain Robbe-Grillet
altro cervellotico visionario, appartenente alla scuola del "nouveau roman", famoso solo per essere autore di un
film che gli somiglia: "Spostamenti progressivi del piacere". Certo un
caposaldo della cinematografia anch'esso!
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