"...I
dipinti dell’Arciprete non erano ancora ultimati - alcuni li aveva solo
abbozzati - ma riuscivano già ad emozionare. Sebbene, come succede
spesso ai bambini quando sono attirati da particolari imponderabili per
gli adulti, in quei momenti, nella mia piccola testa, anch’io ero
applicato in congetture di tutt’altro genere. Ancora prima che dalla sua
pittura ero stato conquistato dall’insolita scena che, inaspettata, mi
si parava davanti. Lassù in alto c’era lui. Dritto. Impettito. Indossava
un grembiule bianco tutto imbrattato di colore sul petto e sui fianchi.
In testa - sembrava appena appoggiato in miracoloso equilibrio - un
basco nero da pittore che cadeva di sbieco. Con la mano sinistra,
immacolata - il grosso pollice infilato nella fessura ovale - reggeva la
tavolozza dei colori; con la destra un pennello. E ne aveva uno più
piccolo, presumo per i ritocchi, in bilico su un orecchio. Il suo
corpo, che ricordavo legnoso, compassato, quasi impacciato, ora era
elegante, agile, quasi danzante. Il suo viso pulito, che ricordavo
eternamente permeato da un’espressione amabile e comunicativa, ora mi
appariva accigliato, corrusco, stranamente inasprito. Era come
trasformato, reso maldisposto, quasi ostile, dall’impetuosa tensione
artistica che al momento lo pervadeva. Solo quando si era accorto che,
da un canto buio della vasta porzione di platea totalmente immersa
nell’ombra, c’era ad osservarlo qualcuno che conosceva, Don Erasmo era
stato distratto da un vero e proprio stato di trance. E, distendendo il
suo volto in una mimica di poco più conciliante, ma quasi serena, si era
rivolto nella mia direzione - per parlarmi."
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