Ingmar
Bergman, per sua stessa ammissione, ha usato il suo cinema, la sua
arte, i suoi film anche come normalissimo, prosaico strumento per
raggiungere una fama globale imperitura e per assicurarsi l'agiatezza
economica (se non una vera ricchezza); che spesso gli sono mancate se si
pensa, ad esempio, al suo disastroso inizio di carriera. Ed ha usato
- anche di questo particolare veniamo a conoscenza per sua stessa
ammissione - i film come vere e proprie sedute di auto-psicanalisi.
Ha
lavorato nel cinema trasmettendo, attraverso le sue sceneggiature e le
sue riprese, agli attori le sue proprie angosce, le sue proprie paure,
le sue proprie psicosi. Perché essi interpretando i suoi personaggi, le
trasmettessero allo spettatore. A noi.
Non ha mai fatto mistero di avere
accumulato nel corso della sua infanzia problematiche psicologiche,
derivanti dagli strani rapporti intrattenuti, suo malgrado, con la madre
e col padre.
A proposito di tale sofferto rapporto famigliare, egli
stesso ammise:
“Immagino
che i più forti impulsi a girare Il posto delle fragole siano derivati
proprio dal dissidio coi miei genitori. Io mi ritraevo nella figura di
mio padre, cercando spiegazioni alle amare controversie con mia madre.
Credevo di capire di essere stato un bambino non desiderato, cresciuto
in un grembo freddo e generato in una crisi... fisica e psichica. Il
diario di mia madre ha in seguito confermato questa mia impressione: mia
madre era profondamente ambivalente nei suoi sentimenti verso il suo
disgraziato, morente bambino”.
(Dal libro-diario Immagini, di Ingmar Bergman).
Ingmar
Bergman non ha mai evitato di parlare dei suoi personali problemi,
magari preferendo trincerarsi dietro a più opportuni silenzi, oppure
dietro al comodo paravento di strategiche omissioni o anche dietro a una
artificiosa mancanza di chiarezza. Ha lui stesso messo i suoi
estimatori a parte dei piccoli o grandi segreti personali spesso
sconvenienti e poco affascinanti, se non addirittura imbarazzanti.
Insomma, pur attribuendosi certamente una buona dose di genialità
artistica ed ammettendo l'indiscussa grandezza di alcune delle sue
opere, non ha mai rifiutato il suo ruolo di uomo storico, pieno di
difetti, di essere umano con luci ed ombre, di persona in fondo normale,
potenzialmente geniale, ma anche debole e fallibile. Lui stesso ne ha
parlato apertamente e scritto altrettanto chiaramente nelle sue varie
biografie.
A modestissimo avviso dell'autore, anche in questo suo
anticonvenzionale, originale ed estroso atteggiamento va ricercata una
parte cospicua della sua grandezza.
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