Io penso che alla sua
nascita - mille anni fa - il mio paese fosse molto diverso da com’è adesso.
Anzi, sicuramente era diverso. Sicuramente era migliore. E, a suo
modo, doveva pure essere bello.
Posso immaginare com’era - senza
sforzo.
Se chiudo gli occhi le vedo ancora le sue case basse: paiono
reggersi lungo il pendio scosceso, puntellate nella terra e nei
sassi. Sembrano gatti che si reggono sul sofà con gli artigli
ficcati nello schienale.
Sono addossate, appiccicate una sull’altra,
a modellare i minuscoli, caratteristici borghi, stipati di portici
archi e loggiati, che conservano ancora il nome degli edificatori
primordiali. Tutte di pietra viva e malta impastata a colpi di
badile; tutte coi serramenti di quercia laccati al naturale.
Li vedo
ancora i suoi tetti coperti di coppi fatti a mano: tutti uguali nella
forma, tutti diversi nei colori, estratti a caso dall’impasto di
terracotta.
Le vedo ancora le sue macere di pietra a segnare i
confini delle proprietà - fuori del centro abitato e anche dentro.
Appena spaccate, le pietre sono di un bianco abbagliante, quasi
lunare; poi, col tempo, diventano grigie - per accompagnarsi meglio
alla tristezza del paesaggio circostante.
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