Stamattina (22 Gennaio 2014) sono in Val di Comino, una delle valli paesaggisticamente più belle della Ciociaria Felix.
Ed
anche una di quelle più ricche di storia e di cultura.
La
valle è immensa, piena d'erba, alberi e piante, davvero rigogliosa.
Sembra un catino verde.
Contornata da una corona di alte montagne.
D'inverno, fino a primavera inoltrata, sono piene di neve.
Come oggi.
La vallata è attraversata
dal fiume Melfa e disseminata di abitazioni di nuova costruzione e di
antichi paesini, almeno una dozzina, che sembrano sparsi a terra casualmente
come i grani di un rosario rotto.
Atina,
Alvito, Casalattico, Gallinaro, San Donato Val di Comino, Settefrati,
Picinisco; San Biagio Saracinisco, Casalvieri, Vicalvi, Posta
Fibreno, Ponte Melfa.
Fa molto freddo, ma tutto sommato è sopportabile, specie se ti muovi a piedi ed io, che non ho molto tempo, devo muovermi a piedi e velocemente per vedere il più possibile.
Parcheggio la macchina proprio a metà del decumano principale del paese, non si paga, la prima buona notizia, si può sostare un ora, per me sarà più che sufficiente.
Percorro a ritroso la strada che ho appena fatto in macchina, mi dirigo verso la rotonda coi capitelli romani dalla quale provengo, un km o poco più.
Passo sul ponte sul fiume che da il nome alla nuova cittadina, proprio al centro del greto, vicino a una piccola cateratta, scorgo - è appena visibile - uno splendido esemplare di germano reale, che da come strilla pare molto nervoso.
Vado a fotografare quello che resta di un'antica tomba romana, la cittadina è di nuova costruzione ma sorge su un territorio che molti dicono urbanizzato molto prima della stessa nascita di Roma.
La grande quantità di mura ciclopiche, di vestigia antiche e di tombe pre-romane (ne sono state scoperte e censite 22) pare confermare questa impenativa tesi.
La leggenda narra che Atina sia una delle 5 città (penta-poli) della Ciciaria (con Anagni, Arce, Arpino ed Alatri) fondate da saturno, in fuga dall'Olimpo, con l'aiuto di Giano, che prima lo nascose all'ira di Giove, poi lo ospitò definitivamente nel Lazio.
Quello che ho davanti è ciò che resta di un monumento funerario a torre, di cui rimane un nucleo laterale (di quattro originari) fatto a sacco con pietre e malta.
Nelle fondamenta della tomba (meglio, di quello che rimane) pare siano ancora conservati i resti mortali di una antichissima principessa aurunca.
Una signora che abita in fondo al vicolo si ferma spontaneamente a parlare con me mentre scatto qualche foto e mi spiega che il tempio originariamente era monumentale, formato da quattro enormi plindi con quattro torri collegate, uguali a quella che resta in piedi, ricoperti da lastre di travertino di Tivoli grezzo, e mi fa pure notare l'asta di ferro arruginito con le coppiglie di vetro verde per i fili dela prima rete di elettricità pubblica che sbuca da un lato sulla sua sommità.
L'incuria e la distruzione delle vetigia antiche e del nostro sterminato patrimonio artistico e archeologico non è cosa di oggi.
Un
signore
un pò malmesso,
in eskimo e camicia scozzese,
con
un bastone
da passeggio
in mano -
lo
brandisce
come
una clava - mi si
avvicina minaccioso
e sospettoso,
si
è autoproclamato
custode
del sito
e quando
vede qualcuno
che si
avvicina troppo,
lui lo
caccia facendo
il mastino,
dice che più di uno,
in passato,
ha portato
via pietre e reperti dal muro
per ricordo.
Prima
di andare via e di rincasare
anche la donna aggiunge un
ultimo aneddoto,
con una punta d'orgoglio,
dice che durante l'ultima scossa
di terremoto (quì sono molto frequenti)
la colonna
ha oscillato
pericolosamente
per qualche lungo secondo
e, alla fine, si è
assestata
nella posizione originaria, quasi
miracolosamente, senza perdere un solo
pezzo.
Del resto siamo a due passi dal bambinello e dalla madonna (di Canneto) e quì sono tutti devoti.
All'altro
lato della piazza il più
bieco degli stereotipi
ciociari, la fontanella di
marmo sovrastata
dalla cannata, anch'essa di
marmo.
E
per non
farci mancare proprio niente - siamo o non siamo in provincia di Frosinone -
il manifesto
di un evento
considerevolmente
importante,
la marchetta
dell'attore
di fiction
tv Rai Gabriel Garko in una delle tante discoteche
della zona.
L'edificio che ospita l'ufficio postale è la cosa più brutta di Ponte Melfa.
Nell'unica
piazza del centro, poco
lontano
da dove ho lasciato
la mia macchina, al crocevia
per la Madonna di Canneto
e per la strada che porta
al Bambino Gesù di
Gallinaro, c'è
l'immancabile agenzia della Banca Popolare
del Cassinate (in tutto il cassinate ce n'è una in ogni paese) la banca
della famiglia Formisano,
pubblicizzata enfaticamente come la banca che fa anche
cultura,
cercano di dimostrarlo con un colorato calendario di 4 eventi che sta attaccato sul muro a lato dell'ingresso, a futura memoria.
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