Solo adesso, da grande, a
distanza di qualche decennio, penso d’avere finalmente compreso la
reale natura del richiamo che quella persona rustica quieta e senza
fronzoli, esercitava su di me - ciò che all’epoca mi affascinava
veramente della sua essenziale ma pregiata personalità.
Da come
agiva, da come gestiva la sua vita, posso finalmente arguire che
Giovanni fosse riuscito a stabilire un rapporto dinamico col tempo.
Se n’era impossessato, diventandone padrone assoluto.
Sembrava
averlo addomesticato. Silenzioso lo amministrava mentalmente per
arrivare a gestirlo in concreto. Sempre in grado di modellarlo sulle
sue misurate eppure sontuose abitudini.
Non permetteva che il tempo
scandisse i suoi ritmi circadiani, se li regolava da solo, come pure
i ritmi delle sue giornate, lunghe o corte, dure o leggere, piene o
noiose che fossero. Pareva aver reso l’inesorabile corsa del tempo
sua propizia alleata, invece che avversaria inclemente.
Per dirla con
Tomas Mann era consapevole del fatto che non solo ogni cosa buona
vuole il suo tempo, ma anche ogni cosa grande.
Così, come si regola
un metronomo, Giovanni regolava le sue ventiquattrore, aumentandone o
abbassandone la frequenza secondo le sue necessità. E facendo, per
lo più, quello che, compatibilmente coi suoi impegni, gli procurava
piacere fare - che si trattasse del suo lavoro, o anche delle sue
passioni.
Giovanni era paziente, calmo, costante, tenace, in tutto
ciò che voleva realizzare.
S’era allenato per tempo, col tempo e
nel tempo, a non essere impaziente - mai. A saper attendere, ad
aspettare con autocontrollo che gli eventi su cui faceva affidamento
si compissero.
Del resto il suo lavoro richiedeva proprio queste
qualità, basato com’è sulla marcia del tempo, sul ciclico
scorrere delle stagioni, sull’attesa, sempre tranquilla, mai
insofferente, della lenta maturazione dei frutti.
Insomma, di tutti i
miei conoscenti, Giovanni era l’unica persona che mi appariva
capace di esercitare sul suo tempo un controllo diretto - o,
quantomeno, di non soffrirne la corsa. E, insieme, di contenere gli
effetti di certi - diciamo così - fatali disguidi.
Impresa non
facile per gli altri cristiani.
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