Ma tu vedi, Dio! Tu vedi, vedi la morte di un innocente, vedi la mia vendetta e non l'hai impedito.
Io non ti capisco! Eppure adesso chiedo il tuo perdono. Non conosco altro mezzo per conciliarmi con queste mie mani, non conosco altro modo per vivere. Ti faccio voto, o Signore, qui, in penitenza del mio peccato, di edificare una chiesa con queste mie mani”.
(Tore - interpretato da Max von Sidow - dopo aver ammazzato i tre pastori che hanno violentato e ucciso sua figlia Karin - interpretata da Birgitta Petterson - davanti al suo corpo inanimato).
SINOSSI
Il Signore Tore ha due figlie.
Karin è bionda, bella e buona, zelante coi genitori coi servi e con gli estranei: e, forse, proprio questa sua qualità le costerà la vita.
Ingeri, in stato di gravidanza dopo una violenza sessuale, è buia, ombrosa e invidiosa di Karin, che detesta.
Quando Karin viene inviata a portare ceri alla Madonna che risiede nella sua chiesa di appartenenza, come solo una vergine può fare, Ingeri fa scivolare un rospo nel pane che servirà per la sua colazione.
Lungo il tragitto Karin, che ha litigato con la sorella e se ne è allontanata, proseguendo da sola, è fermata da alcuni pastori (in realtà sono dei malfattori) e si attarda a parlare con loro.
Innocente ed altruista, offre di condividere il suo pasto.
Proprio mentre prendono il pane per cibarsene il rospo depositatovi da Ingeri salta fuori dalla pagnotta.
Questo fatto improvviso irrita non poco ed insieme eccita gli uomini.
Essi aggrediscono la ragazza, prima la stuprano a turno, poi la uccidono senza motivo con una bastonata sulla testa.
La spogliano della sua preziosa veste e lasciano il suo corpo esanime e nudo a terra.
Più tardi, quando sono, incosapevolmente, ospiti della casa padronale del Signore Tore, essi offrono di vendere la veste di Karin, sporca di sangue, proprio a sua madre.
La donna, ineffabile e razionale, li rinchiude per evitare che scappino e avverte il marito.
Dopo un elaborato rituale pagano di abluzione purificante, Tore uccide i pastori e, con essi, anche l'incolpevole bambino che li accompagna.
(Sembra, quasi, di assistere alla scena della drammatica vendetta di Ulisse contro i Proci, con la quale si chiude l'Odissea di Omero).
Poi si reca alla ricerca del cadavere della figlia e, giunto sul punto esatto in cui la sua Karin giace morta, giura di costruire una chiesa in quel posto.
Come per miracolo, in risposta divina al suo gesto, sullo stesso posto una polla d'acqua sgorga improvvisamente.
21° film di Bergman, certamente uno dei suoi migliori.
Il primo (il solo?) in cui l'intervento di Dio nell'azione è concreto: il divino si materializza con un miracolo.
Le scene, molto realistiche, dello stupro e della vendetta, all'epoca, furono censurate.
Splendido, come sempre, il bianco e nero di Sven Nykvist, direttore della fotografia.
Oscar nel 1960 per il miglior Film Straniero.
Ambientato in un livido medioevo, che lo accomuna a “Il settimo sigillo”
- riferimento più immediato nella filmografia di Bergman - ma dal quale subito si distanzia, perchè in esso la violenza è un fatto privato, mentre in quello era generale e generalizzata.
E anche perchè non ci si occupa, né ci si preoccupa, delle grandi problematiche (o piaghe) dell'umanità, ma dei piccoli-grandi drammi (fatti) privati.
In quello poi, Antonius Block (sempre interpretato da Max von Sidow) cerca spasmodicamente Dio; nel successivo si invoca Odino, il dio pagano, e si prega il Dio dei cristiani, contemporaneamente ma in un'altra parte della casa.
In questo ci si sottopone ad un rituale catartico pagano e si manda una vergine a portare i ceri alla Madonna che sta nella chiesa cristiana di appartenenza.
Insomma ne “
La fontana della vergine” ci si trova nel bel mezzo di una continua tensione tra tradizione dell'antico e ventata della nuova religione; tra misticismo e pragmatismo.
Nel film, poi, si da molto più peso alle immagini che non alle parole, ai dialoghi: come se Bergman volesse indurre lo spettatore, già durante la visione, ad una più diretta ed immediata meditazione.
“
Mi assumo la piena responsabilità del problema religioso che ho creato ne “Il settimo sigillo”. Una vera pietà romantica resa in una luce speciale. Anche, con “La fontana della vergine”, la mia motivazione è stata estremamente mistica. Ma, il concetto di Dio che aveva iniziato, in me, molto tempo prima la sua ...bancarotta, è rimasto, nel film, poco più che un'accessorio. La cosa che mi interessava veramente era raccontare drammaticamente la storia orribile della ragazza e dei suoi stupratori, e la vendetta successiva di Tore. Il mio conflitto (in corso) con la religione era sulla via della sua completa definizione".
Il soggetto, tratto da una ballata, elaborata a sua volta da una leggenda medievale svedese (Tores dotter i Wänge), vede la firma eccellente di Ulla Isakson, una importante scrittrice svedese, nata a Stoccolma nel 1916 e morta nel 2000.
Autrice di romanzi, racconti e sceneggiature nei quali i temi principali sono le problematiche del sesso femminile, l'amore e i rapporti dell'individuo col divino.
Ella fu legata a doppio filo alla filmografia di Bergman da ben tre importanti collaborazioni: “Alle soglie della vita” (1958); La fontana della vergine” (1959); “Il segno” (1982).
"Tore Dotter i Wange" ("figlia di Tore in Vange"), è la ballata medioevale svedese su cui il soggetto e, quindi, la sceneggiatura del film di Ingmar Bergman sono stati tratti.Esiste davvero la chiesa edificata da Tore in memoria della figlia Karin assassinata dopo essere stata stuprata.
La posizione geografica di “The Vange” è nel Malmskogen in Östergötland, nel sud-ovest della Svezia.
Nel 19° secolo, Erik Gustaf Geijer, storico, scrittore e compositore svedese vissuto a cavallo tra il 18° e il 19° secolo, ha osservato che le persone nella zona circostante, ancora riferiscono numerose leggende sui tragici eventi tradotti dalla ballata.
Un manoscritto del 1673 dichiara addirittura l'esistenza della pozza di Vange (Vange Brunn), che apparve miracolosamente nel punto in cui la giovane vergine, protagonista della drammatica storia, fu uccisa.
Infine, si crede ancora che, nella foresta che sta nelle vicinanze, avvengano ogni sera intorno alla mezzanotte, le apparizioni del fantasma di Karin, la giovane vittima.
Molto interessante, per la esatta comprensione del messaggio cinematografico (una specie di interpretazione autentica) quello che lo stesso Bergman dice a proposito del suo lavoro:
"Un film che è stato uno dei miei lavori più oscuri: “La fontana della vergine”. Devo ammettere che contiene un paio di passaggi ad immediata accelerazione e di forte vitalità. L'idea di fare qualcosa al di fuori dalla vecchia folk-song 'Herr Tore di Venge's Daughters' era un forte richiamo per me. Così volli fare un “noir” medievale tratto da una brutale ballata in forma di semplice canzone folk. Ma parlandone con l'autrice del soggetto, Ulla Isaksson, ho cominciato a psicologizzare. Il primo errore è stato la volontà di introdurre un concetto “terapeutico”: la promessa solenne di costruire una chiesa con la quale espiare il tremendo peccato derivante dall'assassinio dei pastori. Artisticamente si è trattato di un escamotage assai poco interessante. Poi, l'introduzione di un concetto totalmente analizzante di Dio. La miscela di rappresentazione reale e di violenza, che ha una certa potenza artistica, ma è anche un ottimo esempio di come le migliori intenzioni possano far ottenere risultati del tutto contrastanti con le proprie motivazioni, e di come si possa trasformare un lavoro proprio nel momento in cui esso si sta sviluppando".
E, aggiunge il Maestro:
La fontana della vergine è un film turistico; una imitazione scadente di Kurosawa. A quel tempo la mia ammirazione per il cinema giapponese era al suo culmine. Ero quasi un samurai io stesso!" (Ingmar Bergman, nel suo libro:
“Bergman su Bergman”)
E, infine, una breve ma interessante testimonianza sul film di Max von Sidow, contenuta in
“Oggi Sidow”:
"Mi ricordo che c'era un accento fortemente intenzionale su un rapporto molto stretto tra il padre e la figlia, nel quale alla madre non era davvero permesso di entrare. Ella, tenuta fuori da quel rapporto, ne soffriva e nutriva anche una certa gelosia. La sequenza tra il racconto dello stupro e la macellazione dei rapinatori, serve quasi come un esempio da manuale di tecnica cinematografica di Ingmar Bergman, nella sua costruzione; nel montare della tensione scena dopo scena; nella quasi totale assenza di dialogo tra tutti i protagonisti”.
Come si diceva in precedenza
“La fontana della vergine”, tra tutti i film di Bergman, è forse l'unico in cui, direttamente, si manifesta la presenza di Dio.
Anche se la teofania è mediata ed avviene attraverso un espediente didascalico e, tutto sommato, un po ingenuo.
Ed è anche quello in cui più accurata è la depurazione dai molteplici simbolismi cari al regista.
Ed è anche quello in cui più che in altri appare evidente la commistione tra paganesinmo e cristianesimo; tra sacro e profano; tra religione e laicità; tra aspetto del profondo rispetto divino ed atteggiamento profondamente laico.
In Tore si riscontrano tutte queste caratteristiche.
Sulle larghe spalle di Tore il Maestro getta il suo pesante fardello.
Quando si prepara alla vendetta, tipico metodo medievale per ottenere giustizia privatamente; quando si sottopone ad un rituale pagano di abluzione che lo prepari al sacrificio dei rei; quando promette a Dio, rivolgendosi direttamente a lui, di edificare una chiesa sul posto esatto del sacrificio della figlia Karin.
Ma il film è percorso, anzi permeato, da una costante, continua, tensione religiosa, che si avverte, palesemente, in alcuni momenti, in alcune scene.
Una fra tutte, ad esempio, quando un frate-contadino si rivolge al più piccolo dei tre fratelli pastori:
Vedi come il fumo trema e si abbarbica sotto il tetto: come avesse paura dell'ignoto. Eppure, se si librasse nell'aria, troverebbe uno spazio infinito dove volteggiare. Ma forse non lo sa: e così se ne sta qui, nascosto, tremolante e inquieto. Con gli uomini capita lo stesso: essi vagano inquieti come tante foglie al vento, per quel che sanno e per quello che non sanno”.
Infine, due curiosità:
1) la fonte dalla quale sgorga acqua pura e purificatrice, tornerà nei successivi film di Bergman, ad esempio nelle scene finali de “Il silenzio”;
2) il film d'esordio del regista dell'horror statunitense Wes Craven "L'ultima casa a sinistra" (1972) fu praticamente un remake del ben più noto film di Bergman, ed alla sceneggiatura collaborò, non a caso, Ulla Isakson.
“
Per quanto un giorno inizi lieto, finisce malamente prima del tramonto”.