Le lusinghiere dichiarazioni rilasciate da alcuni grandi registi contemporanei viventi sul grande Maestro del cinema Ingmar Bergman.
Woody Allen:
"A un certo livello c'è la generalità dei registi che forniscono bene al pubblico, anno dopo anno, un solido prodotto d'intrattenimento. Ad un livello superiore ci sono gli artisti che fanno film che sono più profondi, più personali, più originali, più emozionanti. E, infine, sopra a tutti, c'è Ingmar Bergman, che è probabilmente il più grande artista del cinema, tutto sommato, dal momento dell'invenzione della macchina da presa".
Jean Luc Godard:
Jean-Luc Godard, dopo aver definito Ingmar Bergman il "cineasta dell'istante", scrisse: "Ognuno
dei suoi film nasce da una riflessione dei protagonisti sul presente,
approfondisce tale riflessione attraverso una sorta di frantumazione
della durata, un po' alla maniera di Proust, ma con maggior forza, come
se Proust fosse stato moltiplicato da Joyce e Rousseau insieme, e infine
diventa una gigantesca e smisurata meditazione a partire da
un'istantanea. Un film di Bergman è, per così dire, un ventiquattresimo
di secondo che si trasforma e si dilata per un'ora e mezza. È il mondo
fra due battiti di palpebre, la tristezza fra due battiti di cuore, la
gioia di vivere tra due battiti di mani".
Ermanno Olmi:
“Da
Bergman ho tratto la lezione della purezza, della costante tensione
alla miracolosa autenticità dell'infanzia, l'età della vera innocenza e
del contatto misterioso con ciò che ci sovrasta e ci rende davvero vivi
[...] La più profonda dimensione del suo cinema è aver intessuto
costantemente un intenso rapporto con Dio. Ha rappresentato a pieno la
vera ricerca di Dio.”
Bernardo Bertolucci:
“Insieme
ad Antonioni, verso i tardi anni ‘50, Bergman sembrò aver portato il
cinema in una direzione ancora inesplorata. Quella della profondità
dello spirito umano, sempre più dentro a donne e uomini, con un bianco e
nero che rendeva fantasmi i suoi personaggi e personaggi i suoi
fantasmi. Ai tempi di “Ultimo tango a Parigi” mi disse: «Mi piace, ma al
posto della ragazza, avrei scelto un ragazzo». Io gli risposi che era
una bellissima idea, ma che parlava più di lui che di me. Quando lo
conobbi a Berlino in occasione della Fondazione dell'European Film
Academy, di cui fu presidente, mi parve l'uomo (il regista) più bello
che avessi e che avrei mai incontrato nella vita. Gli scrissi un
bigliettino: «Non sia crudele, ci dia ancora qualche film». E lui: «Il
cinema mi ucciderà, ma tu continua a lottare». Conservo il biglietto
come una reliquia. Qualche anno fa ci diede Sarabanda. Era andato ancora
più a fondo, con una immensa pietà per i suoi fantasmi. Tra di loro
c'era anche il cinema, il suo assassino, invocato e perdonato.”
(dal libro di Salvatore M.Ruggiero:
Il Genio di Uppsala: il grande cinema di Ernst Ingmar Bergman spiegato a chi lo ignora.)
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