Dalla mia raccolta di racconti LE STAGIONI DELLA LATTAIA, Piccola storia n.7 L'aula di mio padre metto qui questo breve brano.
Nei giorni della sua morte: lo ricordo a me stesso, così!
Da
piccolo ho sempre pensato che mio padre fosse l’uomo più forte del
mondo. Forse l’idea non è proprio la più originale, dato che,
probabilmente, tutti i figli, da piccoli, pensano lo stesso dei loro
padri. Lui però aveva davvero un fisico roccioso. Pareva una statua
scolpita in un blocco di granito. Vigeland# ne ho visto centinaia,
plasmate come lui. Conservo una sua fotografia fatta al mare. E’
l’emblema di quanto vado dicendo. Era giovane - avrà avuto neanche
trent’anni - e un autentico atleta. Sostiene mio zio a cavalcioni sulle
spalle, e due amici con la sola forza delle braccia e delle gambe
piantate saldamente nella sabbia. Sorride. Appare divertito. Per nulla
affaticato dallo sforzo - che pure doveva essere immane. Mio padre è
morto già da quasi vent'anni – mi sembra ieri. Se n’è andato quando
tutti avevamo ancora bisogno di lui. Ce l’ha portato via un cancro allo
stomaco. Causa del decesso: Adenocarcinoma Gastrico. L’unica malattia
che temeva davvero. Tutte le altre le avrebbe prese a calci nel culo.
Quella no. Di quella aveva veramente paura. Si era convinto che anche
sua madre - mia nonna - ne fosse morta. E anche lei prematuramente. Lui
stava già cominciando a morire. Ma nessuno di noi s’è accorto ch’era
gravemente ammalato. Neanche il dottore incapace al quale si era rivolto
fiducioso - voleva curarlo col Ranidil?! - che per vedergli dentro lo
stomaco gli ha cacciato dieci volte un tubo nero in gola. Solo lui
presagiva la fine del viaggio. Ricordo - chi potrà mai dimenticarlo -
l’ultimo sguardo rivolto dalla strada, verso casa, in alto, prima di
salire in macchina, il giorno che partì per il S. Eugenio. Era avvilito,
sapeva che non sarebbe più tornato. Era una luminosa mattina di giugno,
ma una notte buia gli era già calata addosso. La sua fine improvvisa a
tutti è sembrata una beffa. Proprio l’organo che permette agli uomini di
sopravvivere, dentro di lui si è rifiutato di funzionare ancora. Come
impazzito, l’ha ucciso. Quel male è ferocemente subdolo. Ti attacca da
dentro, silenzioso e invisibile. Ti consuma inesorabile, mentre continui
a fare tutto normalmente. Spesso non ti accorgi d’averlo se non quando è
troppo tardi. Allora ho capito veramente come siano fragili gli uomini,
anche quelli che sembrano forti. Come siamo fragili. Reclamando
dall’uomo distratto che stava di guardia il permesso d’entrare da solo
nella stanza fredda, ho voluto salutare mio padre per l’ultima volta.
Siamo stati insieme per lunghi minuti, ma entrambi eravamo soli. Lui
impietrito, avvolto in lenzuolo bianco; io senza parole, raccolto in una
preghiera muta, il viso segnato dalle ultime lacrime che avevo da
versare. Ma, come per un miracolo, il suo volto non era più sofferente.
Papà sembrava guarito - restituito per sempre all’espressione serena di
sempre. Quella che nelle eterne settimane precedenti avevo dimenticato.
Ho avuto l’audacia di scoprire il suo corpo. Era nudo sotto il sudario.
L’ho osservato per interminabili momenti. Ho letto, cucita nelle sue
carni, una lunga inutile ferita - testimone della scienza impotente che
s’arrende al mistero insopportabile della Vita e della Morte. E’ stata
la prova più dura di tutta la mia vita. Sembra mostruoso, ma può essere
lecito, scoprirsi a pregare perché una persona che ami non viva più,
sofferente, ma si spenga al più presto. Oggi, quando mi capita d’entrare
nella chiesa deserta percepisco ancora gli echi del necrologio commosso
del suo collega più caro - interrotto dai frequenti singhiozzi degli
altri. Uscendo, avverto lontano il crepitio sordo dell’ultimo applauso
al passaggio della bara portata a spalla dai suoi amici più fedeli -
mentre sulla piazza cala, come un velo pesante, immateriale e dolente,
il fiacco rintocco della campana a martello dei morti. Le attività di
mio padre hanno contribuito a farne un punto di riferimento nella
comunità del paese - per l’istruzione, la cultura e la ricreazione. Gli
hanno meritato la considerazione unanime d’eccellente e moderno
insegnante. Oltre che di campione impareggiabile nell’organizzazione del
tempo libero - in particolare del calcio. In paese è considerato l’eroe
eponimo del pallone. Al pallone ha legato indissolubilmente il suo
nome. Allenava i giovani per farne calciatori, ma in realtà il suo vero
disegno era più ambizioso: cercava di formare uomini. Amava anche il
pugilato. Quando l’incontro era nobile arte, eleganza e strategia veloce
- una danza, un balletto. Non massacro violento. E gli piaceva la
caccia. Quella ecologica, se ne esistesse una. Rispettava profondamente
la natura e gli animali, e interpretava l’attività venatoria senza
accanimento. Era capace di stare fuori un’intera giornata, dall’alba al
tramonto, attrezzato di tutto punto, il fucile carico sempre in spalla,
la sicura innestata, senza sparare un solo colpo. Non riteneva un
fallimento il rientro a casa, dopo una battuta, senza aver ucciso
bestiole indifese. Un carniere che restava mestamente vuoto non lo
innervosiva. Sembrava invece un evento in grado di procurargli una
sensazione di piacevole serenità. Quando era in quello stato gli leggevi
negli occhi un benessere quasi euforico.
Mio padre è ricordato in paese per l’innata capacità di motivare i
giovani e avviarli alla piena autocoscienza. Era abile ad intuire le
inclinazioni degli allievi - anche le più nascoste - sapendole
indirizzare sapientemente, e senza soperchierie, verso un corretto
sviluppo delle attitudini e della personalità. Queste doti non comuni
hanno contribuito in modo decisivo al coinvolgimento di generazioni
intere ed alla buona riuscita delle sue occupazioni professionali e
sociali. Gli hanno fatto guadagnare la stima e la gratitudine degli
allievi, ma soprattutto dei loro genitori, che vedevano in lui un
ulteriore, insperato supporto per l’educazione dei figli.
Mio padre aveva una personalità forte. Era una persona concreta,
determinata, in possesso di un carattere schietto e leale, a volte
spigoloso, esigente, con parametri di valutazione rigidi. Ma prima di
imporli agli altri, aveva provveduto a comandarli a se stesso. In genere
gli adolescenti crescendo tendono a sviluppare un rapporto conflittuale
coi genitori. Provano un senso d’avversione, li rifiutano, hanno
propensione a escluderli dalle loro vite. Come se ne vergognassero. A me
non è mai successo con mio padre. Lui era il mio vanto. Una parte
fondante della mia esistenza - fin quando c’è stato. E, attraverso i
suoi preziosi insegnamenti, anche dopo. Era una di quelle persone, ormai
rare, che sceglieva anche di essere impopolare, se serviva a far
prevalere la verità. Diceva sempre quello che andava detto, non quello
che gli conveniva di più dire; sceglieva sempre di fare quello che
andava fatto, non quello che gli conveniva di più fare. Sapeva bene che
un tale comportamento intransigente non gli avrebbe procurato certo
vantaggi - piuttosto qualche problema. Ma lui prendeva sempre una parte.
Era una delle rare persone che ho stimato e ammirato. E che avrei
stimato e ammirato molto, anche se non fosse stato mio padre. E se non
avessi mille altre ragioni, me ne basterebbe una sola: l’ho visto
spendere la sua intera vita per predicare, in ogni occasione utile, ma
senza un filo di retorica la correttezza, l’onestà, la sincerità. A
giudicare dai risultati ottenuti il suo è stato un lungo inesaudito
soliloquio.
Mio padre ha cercato d’insegnarmi la bellezza e la straordinarietà
della vita; ma anche la complessità e la difficoltà del vivere
quotidiano. Forse inconsapevolmente mi ha anche educato al piacere;
molto meno al dovere. E, chissà, che per questo motivo in debba essergli
grato, ancora di più. Mi metteva costantemente in guardia sugli
ostacoli che ognuno incontra se decide di vivere la sua vita pienamente;
se si dispone ad assecondare la propria libertà di spirito; stabilisce
di esercitare il libero arbitrio. Non mi ha mai consigliato altrimenti,
non ha mai tentato di persuadermi, o costringermi, a vivere la mia vita
in maniera diversa.
Mi ha lasciato in eredità la sua alopecia, ma anche la sua fierezza e
la sua personale filosofia di vita - essenziale e sincera. A quella mi
sono ispirato, costantemente. Cercando, nel contempo di costruirmene una
che fosse solo mia.
In passato mi è stata preziosa. Lo è ancora di più in un’epoca di
valori ignorati, quando non oltraggiati. Sono perfettamente cosciente di
non avere le sue qualità, e anche consapevole delle differenze che ci
distinguono. Angustiato dall’intimo convincimento - che a volte si fa
certezza - di non poterlo eguagliare, non mi resta che custodire
gelosamente l’orgoglio di essere suo figlio.
parole di affetto per un padre sono rare.
RispondiEliminaforse ti piacerebbe leggere questo libro (a me è piaciuto molto):
http://stanlec.blogspot.it/search/label/H%C3%A9ctor%20Abad%20Faciolince
grazie della segnalazione, caro francesco: lo leggerò certamente.
EliminaP.S. oltre all'affetto che ogni figlio deve nutrire per il proprio padre in me si somma anche una vera e propria spontanea ammirazione per l'uomo straordinariamente normale o normalmente straordinario che lui era diventato.