Estratto dalla piccola storia n.6 Giovanni il contadino vero.
Solo
dopo aver accudito l'animale Giovanni rientrava a casa - dove avrebbe
provveduto finalmente a se stesso. La moglie Maria, sempre premurosa,
badava a rifocillarlo. E quando non era impegnata ad atterrirci coi suoi
racconti di popenari e ianare#
scodellava, per lui e per i figli e per me, quantità industriali di
minestre calde, energetiche e saporite. Chi se lo scorda più il suo riso
nel brodo di strutto. Raramente, succedeva in genere al pranzo della
Domenica o di qualche festa di precetto, cucinava i maccheroni - candele
di pasta lunghe un metro spezzate a mano - col ragù di polpette e il
pollo arrosto - rigorosamente ruspante - con le patate. Serviva in
tavola il pollo intero, in modo che il capofamiglia, come da tradizione,
potesse tranciarlo, tagliarlo in pezzi, e servire a ciascun commensale
la sua porzione. Che stupenda tradizione! Ora si è persa, per colpa del
tempo che non abbiamo più, dei sofficini, dei quattrosaltiinpadella,
e degli altri cibi pronti, precotti e surgelati. Peccato! Perché quel
gesto semplice ricordava tutta la sacralità contenuta nell’atto antico
del sacerdote che divide e spartisce la carne del sacrificio di Cristo.
Allora, invece che sui fornelli a gas, si cucinava direttamente sul
fuoco, e per intere giornate - spesso anche d’estate. Gli intensi
effluvi, che si sprigionavano dai tegami di coccio, sostenuti dal
treppiedi di ferro battuto o accostati ai carboni roventi a borbottare
per intere giornate, invadendo la scalinata, finivano per raggiungere
casa mia. Quegli aromi genuini e familiari - oggi fatalmente scomparsi -
costituivano, per me, un richiamo irresistibile. Davvero non potevo
fare a meno d'invitarmi. Con appena qualche cautela, ma senza soverchie
esitazioni, mi accostavo alla sua tavola. A ripensarci ora dovevo essere
davvero indiscreto. Ma nonostante le mie pesanti intrusioni, anche se
lo avesse pensato, mai - nemmeno una mezza volta - Giovanni lo aveva
detto apertamente, o anche solo fatto intuire. Nelle rare occasioni in
cui la trovavo chiusa, la chiave infilata nella toppa dall’esterno mi
consentiva ugualmente d’entrare a casa sua - in ogni momento. Quando
invece era aperta - e la sua porta era sempre aperta - lui riconosceva
immediatamente la mia piccola sagoma, appena spuntava sulla soglia di
casa. Anche attraverso la cortina di gommini colorati, quasi
trasparenti, che teneva appesi a piombo sull’uscio, che staccavamo di
nascosto per farci gli scubidoo. Oltre al vaporizzatore a pompa del Ddt,
erano l’unico rimedio possibile contro l’invadenza delle mosche. Così,
dal sedile che occupava di fronte al focolare, Giovanni m’invitava con
cortesia a prendere posto a tavola proprio accanto a lui. Senza perdersi
mai in cerimonie, fingendo piuttosto d’irritarsi se abbozzavo la mia
abituale, timida resistenza d’occasione, mi accoglieva sempre come se
anch’io fossi suo figlio. Anzi, come fossi il suo figlio prediletto.
Che meravigliosa scoperta è stato questo tuo blog, Salvatore!
RispondiEliminaE che tuffo in un passato, in cui non ero presente che tante volte mi è stato raccontatato...
Grazie di cuore!
Ciao,
Lara
Grazie! A proposito di tuffi nel passato credo che apprezzeresti molto la mia raccolta di racconti.
Eliminahttps://www.facebook.com/pages/LE-STAGIONI-DELLA-LATTAIA/274556919224608