mercoledì 11 luglio 2012

Don Giuseppe Lavalle - "Il prete che vedeva lontano" - da Le stagioni della lattaia: la mia Piccola storia n. tre.

"Pressappoco era così. Un prete piccolo piccolo. Col corpo talmente minuto da non poter incutere alcuna soggezione. Un ometto basso - non superava il metro e mezzo. Era alto appena come noi bambini. Secchissimo - un chiodo. Quasi non aveva carne tra la pelle e le ossa. Doveva gestire uno scheletro sottile e leggero, come quello di un piccolo uccello. Come un uccello anche lui sembrava adatto al volo.  Calvo - solo due radi ciuffi di capelli bianchi e arruffati e scomposti. Un teschio scavato e affilato, compreso fra due grandi orecchie pelose. Una piccola faccia volpina che ospitava un naso adunco, occhi piccoli e vispi, spesso scerpellini e una bocca sdentata, come quella di un bradipo. Per farla breve Don Peppino avrebbe potuto dar corpo, più che fedelmente - e risparmiandosi il trucco - a un arcano personaggio delle saghe di Tolkien.  
La sua testa era perennemente coperta da un basco nero. Solo quando stava in casa lo sostituiva volentieri con una papalina sbrindellata, fatta di lana coi ferri da calza. Anche quella rigorosamente nera. Non la lavava da anni."


"E qual'è la novità?" Vi chiederete?
"La descrizione che tu fai è uguale alla guache!" Direte voi.
Si! Avete ragione. Ma io l'avevo ....tratteggiato prima: lo schizzo l'ho trovato dopo. (Sic!)

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