Dalla mia raccolta di racconti paesologici:
Le stagioni della lattaia - Il racconto breve della donna che mesceva il latte con altre sette piccole storie,
metto qui un breve estratto.
"....La
donna che mesceva il latte - così avevo preso a definirla nell’intimità
dei miei pensieri - era, come sempre, indaffarata. Vuotava, riempiva,
spolverava, puliva, lavava, sciacquava, risciacquava, asciugava,
riponeva, sistemava. Come fosse incapace d’aspettare i suoi pochi
avventori, per fare qualcosa di veramente utile, standosene
semplicemente seduta a braccia conserte. E come ogni giorno sempre verso
quell’ora, era applicata a filtrare il suo prezioso liquido - per
ricavarne le consuete porzioni. Ella sola sapeva quanto latte avrebbe
chiesto ognuno dei suoi clienti. Così, invece di dosarlo davanti a loro,
preferiva avvantaggiarsi nel lavoro. Non avevo mai visto la donna
consultare appunti o carte scritte, quindi, da quest’unico ma
determinante dettaglio, posso ora dedurre che conservasse ben chiari
nella testa i nomi di tutti i suoi clienti e che avesse mandato a mente
l’esatto fabbisogno giornaliero della famiglia di ognuno di essi. Così
la vedevo attingere il latte col mestolo, direttamente dal secchio
traboccante che teneva rialzato da terra su un panchetti no di legno a
tre gambe, per versarne, poi, un’esatta quantità nelle misure di stagno
di volumi diversi disposte in bell’ordine sul tavolo - saggiamente, ma
anche inutilmente, aveva badato a rivestirne lo sconnesso ripiano di
legno con una tovaglia di tela cerata. Il suo lavoro, che per il resto
appariva agile e spedito, era curiosamente rallentato proprio dal latte.
Che sembrava ostinato a non voler cadere direttamente nelle misure e
nei contenitori, ma vi colava lentamente, dovendo filtrare attraverso le
fittissime trame di uno strofinaccio di canapone quadrettato - un
passino improvvisato - che lei usava, opportunamente, per liberare il
latte da eventuali impurità. Solo dopo aver effettuato quell’operazione
certosina la donna riversava - ora più speditamente - la precisa
quantità di latte richiesta nei secchielli di stagno o nelle bottiglie
di vetro. Recapitati in precedenza, vuoti e ripuliti, dai suoi clienti,
oltre che avere forma diversa, i recipienti differivano anche nel
materiale e nei colori. Mentre la donna che mesceva il latte attendeva
al suo lavoro, gli ultimi raggi di sole prima del tramonto, fattisi
ormai tiepidi, penetravano nella stanza. E, irrompendo, quasi di forza,
dalla finestra, trapassavano da sinistra la scena che vi si svolgeva.
Nel cucinino della lattaia, ancora prima che fuori, anche quell’altra
lunga giornata estiva morente stava cedendo il suo posto al crepuscolo –
pigramente, quasi con riluttanza. Gli ultimi bagliori dorati del sole,
che all’esterno disponeva perché il riverbero d’ogni suo singolo raggio
andasse ad incendiare un tetto del paese, circonfusi nell’angusto
locale, contribuivano a creare un’incantevole atmosfera rarefatta - uno
sbalorditivo drammatico effetto di luci e ombre. Un’aura irreale, quasi
metafisica, avvolgeva l’ambiente e tutto ciò che, animato o inanimato,
vi si trovava al momento. Era come perdere gli occhi in uno spettacolare
caleidoscopio; come mirare nella stessa camera oscura del pittore#.
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