venerdì 15 febbraio 2013

Storie di paese.

La casa che Umberto Cortese, il giovane napoletano venuto al paese qualche anno fa e morto tragicamente, aveva comprata a Coreno Ausonio per venire a viverci con la vecchia madre, aveva una storia, come tutte le case vecchie di paese.
Maria U., l'attuale proprietaria, l'aveva ereditata dalla madre Angela Di Bello, molto tempo prima della sua morte.
L'aveva fatta restaurare perfettamente per farne la sua casa, in occasione del suo matrimonio.
Solo qualche tempo dopo si era messa in cooperativa.
Allora, a malincuore, aveva deciso di vendere la sua cara casa materna, dotata di tutti i confort e col marmo per terra, per pagare una fetta consistente della sua nuova casa: quella dove tutt'ora vive con le figlie.
La madre di Maria, Angela, aveva ereditato a sua volta la casa dal padre e della madre: Francesco Di Bello e Paola Branca.
Avevo grande familiarità con loro e ogni tanto andavo anche a trovarli, perchè i nonni di Maria U. erano anche gli zii di mio padre: zì Franciscu era fratello carnale di nonna Anna Maria, la madre di mio padre.
I due vecchi coniugi furono protagonisti di una storia che negli anni '70 commosse molto tutta la popolazione del paese.
Se ne parlò per molti giorni e la memoria ancora sopravvive vivida.
I due protagonisti erano due brave persone, molto amate da tutti.
Morirono a un solo giorno di distanza l'uno dall'altra.
Prima morì Zia Paolina, non ricordo bene, ma mi pare per un tumore allo stomaco; il giorno dopo morì Zì Franciscu, di crepacuore.
Lei gli aveva fatto ...l'atto di richiamo.
Come si dice nel mio dialetto quando un coniuge morto chiama l'altro in paradiso.
E non aveva importanza che entrambi fossero anziani e molto ammalati: a tutti il fatto apparve pieno d'amore, di sensibilità e commozione.
Come se avessere deciso da sempre che se fosse andato via uno di loro due anche l'altro l'avrebbe subito raggiunto.
Ed era anche stato rivoltato il principio espresso da molti filosofi e psichiatri nel corso di tutto il '900 secondo il quale: chi sopravvive alla persona amata prima o poi reagisce, si adegua, si abitua alla sua assenza; intimamente è anche contento di essergli sopravvissuto, perchè l'attaccamento alla vita contrasta adeguatamente la sua paura della morte.
Chi sopravvisse, in quel caso, non fu contento di esserlo, ma preferì morire subito dopo, non sopportando il dolore immane che si era abbattuto su di lui, dopo la scomparsa della compagna.
Il dolore disumano era stato più grande dell'egoismo umano.

Ora la casa vuota 'n'fugniu iu rivu aspetta altre persone, altri abitanti che la ripopolino.
Non vede l'ora di poter raccontare altre storie.

giovedì 7 febbraio 2013

Umberto Cortese. Un uomo cortese, di nome e di fatto.

Tratto dal mio libro ''Storie dal Paese dei Ciclamini'' metto qui la triste storia di Umberto Cortese. Un uomo che cortese lo era davvero, di nome e di fatto.



   Al mio paese ogni tanto arriva qualche forestiero che, attirato dall'aria buona e dalla quiete innaturale, decide di metterci radici.
Qualche anno fa arrivò in paese, da Napoli, uno strano signore, abbastanza giovane, ma non abbastanza per poter essere definito ragazzo, che si chiamava Umberto Cortese.
Era in compagnia della madre, anziana e malata.
Erano solo loro due, non avevano altri parenti.
All'inizio fu accolto in paese con un po di diffidenza, un po' naturale in questi casi; un po' alimentata anche da alcune sue improvvide dichiarazioni e dal pregiudizio che accompagna quasi tutti quelli che provengono dalla Campania, tradizionalmente considerata terra di affari loschi e di camorra.
A chi gli chiedeva che lavoro facesse, il buon Umberto rispondeva in modo sibillino:
"Mah! Diciamo che mi occupo di assicurazioni!"
Ora, c'è da dire che nel gergo della camorra le "assicurazioni" sono i "contributi non-volontari" chiesti ai titolari di attività economiche in cambio di "protezione".
Protezione, non si capisce bene, da chi e da che cosa, poi, se proprio dalle organizzazioni malavitose possono provenire intimidazioni e attentati a danno di chi non paga.
Così si era scatenata intorno alla figura del buon Umberto una corsa ad appurare più notizie certe possibili sulla sua vera identità, attività e, perchè no!, presunta affiliazione ad organizzazioni camorristiche.
Qualcuno aveva anche avanzato l'ipotesi che il buon Umberto fosse stato mandato in avanscoperta dalla camorra per creare un primo avanposto dell'organizzazione, attirata dalla possibilità di notevoli affari legati allo sfruttamento del locale bacino marmifero, quindi alla commercializzazione del prezioso marmo.
E il sospetto non era del tutto peregrino perchè, da qualche anno, si era scoperto che le pietre informi provenienti dalle cave locali, venivano caricate sui camion della camorra e andavano a finire nelle scogliere e nei frangiflutti della costa di Napoli.
Bastò, comunque, acquisire notizie certe presso i locali carabinieri per scoprire che il buon Umberto nulla aveva a che fare con la camorra e col malaffare, che si chiamava davvero Umberto e che era Cortese di nome e di fatto.
Umberto, infatti, apparve subito per quello che era, cioè uno spensierato e pigro ragazzone, un po' cresciuto e un po' panciuto, senza e nemmeno alla ricerca di una occupazione, che si accontentava di vivere la sua normalissima vita oziosa, alle spalle dell'anziana madre, sfruttando a dovere i suoi beni e la sua succulenta pensione, che derivava dal lavoro di dirigente bancario del vecchio marito - e suo padre - morto qualche anno prima.
Lui e sua madre, stanchi entrambi della stressante e rumorosa vita cittadina, avevano pensato bene di sbaraccare dalla caotica Napoli; vendere la ricca e spaziosa casa con affaccio su Posillipo e investire il ricavato, non meno di 3-400 milioni, in parte nell'acquisto della casa di Maria U. in località Lormi, in parte nell'acquisto di titoli di stato, che potessero garantire un altro piccolo ma sicuro cespite.
La ricca pensione del padre e la rendita dei titoli assicuravano una vita agiata ad una vecchia quasi inferma e ad giovane uomo senza hobby cari, nè vizi troppo dispendiosi, se si eccettua i militaria di cui era accanito collezionista, il fumo e la gastromonia.
I due si erano insediati confortevolmente nella casa in pieno centro storico, ma poco lontana dal centro, appena ristrutturata di tutto punto da Maria U., quindi piena di tutti i confort e molto accogliente.
La madre non usciva quasi mai, ma Umberto aveva subito intessuto e stretto una rete di conoscenze, alcune delle quali sarebbero diventate vere e proprie amicizie, agevolate dal suo cattere estroverso, dalla grande quantità di tempo che aveva a disposizione durante la giornata e dalle sue indubbie e accattivanti capacità affabulatorie tutte partenopee.
Umberto, che vestiva sempre in tuta mimetica e calzava scarponi militari, indulgeva in alcuni piaceri fisici, soprattutto in quelli della carne: uno dei primi con cui aveva subito stretto amicizia, infatti, era stato il locale macellaio.
Ma gli piacevano anche la birra, il vino e il pesce fresco. Di cui era un accanito consumatore.
Non erano rare le sue puntatine settimanali nella zona delle pescherie di Formia.
Quotidiana, invece, era la sua passeggiata dall'amico macellaio, dove trovava delle ottime bistecche, le spuntature per il sugo quotidiano che lui stesso curava sui fornelli, una fumatina e quattro chiacchiere in tutto relax e libertà.
Io lo vedevo spesso e volentieri, Umberto, e ci scambiavo un cordiale saluto, durante la bella stagione, subito dopo le nove del mattino, mentre andava in giro a piedi per il paese a fare la sua bella spesa quotidiana.
Si vedeva dall'espressione beata che aveva stampata in faccia che a lui piaceva, facendo pure un po' di moto: e uql moto era il suo unico sport.
E anche questo si vedeva: era già rubicondo e in apparente ottima salute quando arrivò a Coreno; era diventato ancora più rotondo dopo appena qualche mese di residenza.
L'aria di collina, mitigata dal mare del Golfo di Gaeta gli aveva fatto proprio bene.
E lui evidentemente aveva fatto bene a sradicarsi da Napoli e a radicarsi al mio paese.
Ad ogni modo fare la spesa era la sua occupazione preferita e anche l'unica vera responsabilità giornaliera.
Così non era raro che lo rivedessi al ritorno, dopo qualche ora, prima che si ritirasse nella sua casa, per preparsi i suoi  piatti preferiti, i suoi appetirosi manicaretti, attendere alle faccende domestiche come una brava massaia e per accudire amorevolmente sua madre.
Umberto, anche a causa della stazza che glielo permetteva, assommava in se entrambe le figure dell'abbuffone e del raffinato bon vivant; del gourmand e del gourmet, per intenderci.
Spesso veniva da me per la manutenzione di qualche orologio, di cui era moderatamente appassionato o per qualche regalino da fare al figlio di uno dei pochi amici rimastigli a Napoli.
Dopo aver fatto i nostri piccoli affari ci scambiavamo le ricette preferite; mi parlava della cucina napoletana che tanto aveva  influenzato quella del mio e del "suo" nuovo paese; mi raccontava delle sue ex-fidanzate, spiegandomi il motivo per cui non si era  mai sposato.
Un giorno mi ripetè esattamente, direi tassonomicamente, gli ingredienti e la esatta preparazione  dell'insalata di rinforzo, uno dei piatti napoletani delle feste più tipici. Era sempre stata una mia grande curiosità, anche se devo confessare che non l'ho ancora provato.
Una delle peculiarità che mi avevano più colpito di Umberto Cortese era la sua capacità di raccontare le sue storie, anche quelle più serie, con leggerezza, senza mai emozionarsi nè scomporsi, nemmeno quando ricordava la malattia e la morte abbastanza prematura del padre o gli acciacchi attuali e irreversibili della madre.
Si emozionava vivamente solo quando indulgeva nei particolari relativi al piacere che il consumo di un particolare piatto gli procurava; era particolarmente lento e compassato quando si accendeva una normalissima sigaretta.
Pareva avere una ritualità per tutto ciò che faceva: fatta di gesti misurati ma plateali, eleganti ma ampi, pertinenti ma a volte anche spropositati.
Un giorno strano di primavera mi giunse come una schioppettata in pieno viso la notizia ferale:  Umberto Cortese era morto, improvvisamente.
Si era sentito male e s'era accasciato sulla sua poltrona dalla quale non s'era più alzato.
Addormentato per sempre.
Infarto fulminante. C'era scritto sul referto che il medico ha consegnato al necroforo.
Scoprimmo tutti dopo che era cardiopatico fin da bambino.
Lasciò sola la madre inferma.
Disgraziato! Ma come hai fatto ad andartene e a dimenticarti di lei?
Quel raro amico di Napoli, con gesto pietoso, l'aveva subito prelevata dalla vecchia ma confortevole casa ai Lormi e l'aveva portata in uno ospizio.
A distanza di qualche anno, dalla morte del figlio, per quanto ne so, potrebbe anche essere morta.
La casa ...'n' fugniu iu rivu è rimasta deserta.

Umberto Cortese, che cortese lo era davvero: di nome e di fatto, ha attraversato la nostra esistenza come un granello di polvere cosmica attraversa l'universo.
Alla stessa velocità.
Per disperdersi nell'infinito.
Ma lui ha lasciato un piccolo, discreto, prezioso ricordo di se.
A me è piaciuto ricordarlo, brevemente, così: coi suoi pregi, tanti e i suoi rari difetti.


smr