venerdì 23 settembre 2022

Uno dei libri ai quali sono maggiormente affezionato e' naturalmente, il primogenito: ''Le Stagioni della Lattaia'', che ha per sottotitolo: ''Il Racconto della Donna che Mesceva il Latte con Altre Sette Piccole Storie''. 




Ma come nasce quella raccolta di racconti paesologici ante litteram? Me lo sono chiesto spesso e quasi ho stentato a rispondere a me stesso. Poi da qualche parte e' spuntato questo ''Prologo'' che avevo scritto tanto tempo fa, tanto tempo prima dei racconti, e' come un canovaccio, come il plot che prelude a una sceneggiatura vera e propria. L'ho pubblicato nell'altro mio libro ''Passeggiate nella Memoria Profonda di un Ragazzo di Paese''. Lo propongo ai mie tre lettori.



PROLOGO

Domani un amico di fuori viene a farmi visita. Mi ha telefonato stasera per confermare che arriva in treno, nella tarda mattinata di domani.
Vuole che vada a prenderlo alla stazione. Lui odia guidare. Altrimenti sarebbe venuto in macchina. Come lo capisco. Non riesce a scrollarsi di dosso l'insofferenza per le automobili. Io, al contrario, ho dovuto farlo per forza. Come si dice? Ho fatto di necessità virtù. Ma, lui non ha necessità e, quindi, nemmeno ha bisogno di essere virtuoso. Viaggia solo in treno e in aereo. Se non ha chi va a prenderlo non disdegna di prendere una corriera. Aspetto, da un po’, alla stazione. Sto fermo sul binario, bene in vista. Avrei dovuto fargli uno scherzo e scrivere il suo nome su un foglio, come si vede all’aeroporto. Ma non ho con me l’occorrente. Il treno sta arrivando, non avrei nemmeno il tempo di cercarlo. Spunta in fondo al binario, lo vedo da lontano. Fin dove arriva il mio sguardo di miope. Appena si ferma, lui scende per primo. Lui scende sempre per primo. Si alza dal sedile un quarto d'ora prima e si avvicina alle porte scorrevoli. Quando il treno si ferma, e quelle si aprono automaticamente, lui si fionda fuori. Scende. Gli corro incontro. L'abbraccio forte. Mi è molto caro.
E' un secolo che non ci vediamo. Come stai? Non sai che piacere mi fa vederti qui. Ce l'hai fatta almeno una volta a venirmi a trovare. Adesso ti dico il programma che ho in mente per te. Andiamo subito a casa. Abbiamo tanto da raccontarci. Le feste finiamo di farcele lungo la strada. Arriviamo, ti rinfreschi e mangiamo qualcosa. Stappiamo pure una bottiglia di vino. Di rosso. Quello buono. Ricordo che ti piace il vino californiano. Lo so! Tu gradiresti uno Zinfandel. Ma, io ho in serbo per te un vino rosso pugliese, un Primitivo di Manduria che si chiama Anarkos. Il vino pugliese costa poco ed è buono. Anche se sono la stessa cosa: è 
buono come lo Zinfandel, ma costa molto meno. Poi usciamo. Usciamo subito. Senza nemmeno riposarci. Voglio farti vedere il paese. Per te sarà una vera sorpresa. Ho in mente di farti visitare dei posti curiosi e di raccontarti i luoghi dove abitavano alcune persone che conoscevo. Di tutti i posti, di tutte le persone che ho frequentato da bambino, mi sono portato dietro un ricordo indelebile. Attraverso i miei libri cerco di trasmetterlo agli altri. Cerco di fare presto, perché il tempo ci cambia e noi cambiamo i ricordi.

Dopo pranzo, come d'accordo, col mio amico, usciamo da casa. Abito fuori dal centro abitato, ma il paese è piccolo, facciamo qualche centinaio di metri dalla periferia verso il centro e siamo già sul viale. Abbiamo appena passato la casa dei miei nonni materni, in fondo al viale, un po’ prima del cimitero. Imbocchiamo il viale da sud, arriviamo subito al parco; è dove una volta c'era il campo sportivo.

Vieni proseguiamo la nostra passeggiata. Tu hai molto da vedere. Io ho molto da raccontarti.
Andiamo in leggera salita, avanziamo lentamente sul marciapiede. Ci impegniamo a fare una specie di slalom fra gli alberi. Contiamo la lunga fila di tigli in fiore. In questa stagione i tigli in fiore emanano un odore inebriante. Penso ad alta voce. Questo posto è cambiato molto negli anni.

Passiamo davanti alla casa del medico Samuele. E' stata restaurata. Ora ha la facciata appariscente: è dipinta di rosso. Chissà, se piacerebbe al dottore. Lui, che amava passare inosservato, l'aveva fatta tutta bianca. Arriviamo di fronte al distributore di benzina. Ora è chiuso, caduto in disuso.

Vedi le tre costruzioni uguali che abbiamo davanti? Sono le Case Popolari. Noi le chiamavamo Casette. Furono fabbricate subito dopo la guerra. Io abitavo alla prima. In quella centrale abitava una persona davvero affascinante, un uomo eccezionale. Avresti dovuto vederlo, conoscerlo e parlarci. Per me era un vero enigma. Non sapevo da dove arrivasse. La sua storia è legata a un lavoro che non esiste più. La lavorazione a mano dello strame. Ti sembrerà strano, ma al mio paese, fino a quaranta cinquant'anni fa l'attività principale era la lavorazione dello strame. Con quell'erba mietuta, seccata e battuta, s'intrecciavano le funi che servivano a legare i fardelli e le bestie. Ci riempivano i cassoni di un camion, quando venivano da fuori per prendere il lavorato. Nato chissà quando, quell'artigianato è proseguito fino alla scoperta delle cave di marmo. Erano i primi anni '60. Qualche coraggioso, per quattro misere lire, ha proseguito la lavorazione dello strame anche dopo. Uno di questi era Alessandro, il funaio che somigliava a Nero Wolfe. Quando è morto lui, nessuno ha più fatto quel lavoro. Quel lavoro è morto con lui. Se t'incuriosisce vedere come si lavora lo strame, la prossima volta che vieni ti porto in un paese vicino, a Ventosa, in provincia di Latina, dove qualcuno ancora lo fa. Più per sfizio e per tradizione, che per vera necessità.

Poco più avanti, siamo al civico n.10. Il posto, dove le mie sorelle giocavano a campana sul marciapiede ed io mi divertivo a sbucciarmi le ginocchia. Io abitavo al secondo piano. Nello stesso stabile, al primo piano, nel quartino centrale, abitava Sergio. Il mio migliore amico. Il fratello maggiore che non ho mai avuto. Suo padre si chiamava Giovanni, era un contadino vero. Risaliamo lentamente il viale. Oltrepassiamo la curva e siamo quasi in piazza.

Dove adesso c'è quel garage lungo e stretto c'era il bar di Zio Fiore e di fronte c'era il vespasiano. Dopo il bar, la Villa Comunale e la Piazza Centrale, la più importante del paese. Il posto dove tutti gli abitanti si ritrovavano la sera dopo il lavoro. Il luogo dove le piccole comunità, come la nostra, distillavano la loro identità più autentica. Ora non usa più. Resta solo l'antico foro. Proprio davanti a noi si staglia il campanile, la costruzione più alta del paese. E' stato ristrutturato dopo il terremoto del 1980. Quella sera si staccò qualche pietra, ma per fortuna non fece danni. Accanto ci sono la chiesa e la canonica. Dove abitava Don Erasmo Ruggiero, l'arciprete pittore. Dopo di lui venne Don Raffaele Pimpinella, mio grande amico. Se avessimo proseguito in discesa lungo via T. Tasso, dopo cento metri avresti trovato i Lavandini. E più avanti, girando a sinistra saremmo arrivati alle Vallisconti. Il paese è cambiato molto negli ultimi trenta quarant'anni. Anche questo posto è cambiato molto negli ultimi anni. Non so se sia meglio o peggio, ma la piazza non era come appare adesso. Oggi sembra di stare in un paese fantasma. Questa piazza di pietra, deserta e desolata, ricorda certe piazze dei quadri di De Chirico. Non c'è mai nessuno. Allora non era mai deserto. Ancora non c'era quest’orrenda costruzione che ospita gli uffici comunali. Qualcuno l'ha ribattezzata apparecchio per i denti. Mica ha tanto torto! Intorno al lato sud della piazza girava un muretto di pietra con i sedili di un cemento grigio, grezzo e ruvido. Ognuno di essi, raccordato ai successivi con delle sbarre tonde, come delle robuste canne di ferro. Al centro della piazza sorgeva una fontana tonda con l'alto zampillo centrale e una vasca con le carpe rosse. Non morivano mai di vecchiaia, quei pesci. Ogni giorno erano seviziati dalle punte delle nostre canne. Di sotto c'erano un piccolo fazzoletto di terra, coltivato a vigneto e più sotto un prato con un covone di fieno al centro, gliu metale. Ricordo che sul muretto della piazza ci vedevo spesso, sdraiato a dormire, uno strano personaggio. Gerardo, un vecchietto naif. Attraversiamo la piazza, dal lato opposto di Viale della Libertà. Imbocchiamo l'altro, dei due più importanti decumani del paese: Via IV Novembre.

Seguimi! Ti faccio vedere un altro posto interessante. 

Facciamo pochi passi, appena un paio di decine di metri e passiamo la strettola re Guardianeglio. Sulla facciata restaurata da poco, ci ritroviamo a guardare una targa di marmo. E' stata apposta (il sindaco di allora disse che era stata opposta: che orrore! Ma, lui si che era un vero umanista.) dall'amministrazione comunale in memoria di Don Giuseppe La Valle, il prete che vedeva lontano. 

Vieni amico mio. Dobbiamo affrettarci. Ci sono ancora un paio di posti e qualche persona che devi ancora conoscere.

Sfiliamo davanti a una casa che pare un castello, per quanto è alta. Ma, non è bella come un castello. Il castello che il paese non ha mai avuto.
Qui hanno fatto sparire un panorama magnifico. Prima si vedeva un paesaggio che sembrava una valletta alpina. Tutta verde. Con le casette sullo sfondo. Un villaggio di montagna, col mare di Gaeta sullo sfondo. Una cartolina. Ora non si vede più niente.

Abbasso lo sguardo, evitando altri inutili commenti. Proseguiamo. Sfilando davanti alle Scalette.
Collegano Via IV Novembre a Via Roma. Raggiungiamo più avanti un altro stabile che pare in costruzione, ma era in restauro, fino a qualche decennio fa, e non è mai stato terminato. Le sorelle D'Alessandro volevano costruirci un ospizio per i vecchi del paese, ma è rimasto incompiuto.

Proprio qui - indico al mio amico il punto esatto - affacciato sulla via principale, un centinaio di metri prima di Piazza Quercia e della Scuola Elementare Cesare Battisti, c'era il bazar delle Sorelle D'Alessandro. Adesso vieni, voglio farti vedere la mia scuola. La scuola di mio padre. Tu non l'hai mai conosciuto. Ma sono sicuro che ti sarebbe piaciuto. Piaceva a tutti i miei amici. Te ne racconto rapidamente la storia mentre visitiamo la sua aula.

...Oggi abbiamo trascorso una bella giornata assieme. Abbiamo anche fatto una bella passeggiata. Scusami se ti ho riempito di chiacchiere, ma volevo solo che vedessi alcuni luoghi della mia fanciullezza e conoscessi, attraverso i miei racconti, alcune delle persone che hanno arricchito la mia infanzia. Ora dobbiamo tornare a casa. Devi prepararti al ritorno. Ma, quasi dimenticavo di dirti la cosa più importante. La vera novità. Ho terminato il mio libro. Finalmente! Dirai. Vorrei che tu lo leggessi per primo. Poi mi dirai cosa ne pensi. Vorrei che tu lo leggessi per primo. Ma, mi raccomando! Il tuo giudizio dev'essere spietato. Te ne ho stampata una copia, in anteprima. Leggilo sul treno. E fammi sapere che ne pensi. Ciao, caro amico mio, adesso non mi resta che salutarti.

Arrivederci!