domenica 27 settembre 2015

Noi siamo quelli... (Poesia).

Metto qui un mio componimento prosastico contenuto nel mio libro:

I Dolori di un Povero Poeta Prosastico



NOI SIAMO QUELLI

Noi siamo quelli che
…dimenticano i morti,
ingoiati dal mare,
ammazzati dalla mafia.
Noi siamo quelli che  
…mettono la testa sotto la sabbia, (chi erano? Ah! Si, gli struzzi!)
Noi siamo quelli che
…la vita non vale più un cazzo.
Noi siamo quelli che
…incapaci di fare la rivoluzione.
Noi siamo quelli che
…prima votano Repubblica poi strizzano l’occhio alla Monarchia.
Noi siamo quelli che
…è inutile governarli,
(meglio essere comandati).
Noi siamo quelli che
…tollerano i politici corrotti
(e che li votano pure).
Noi siamo quelli che
…non hanno memoria.
Noi siamo quelli che
…più veloci della luce.
Noi siamo quelli che
…andarono in America,
come scopritori,
ma anche come emigranti.
Noi siamo quelli che
…con la mafia si deve convivere.
Noi siamo quelli che
…forti con i deboli e deboli con i forti: ammazzano i cinghiali, spaccano il culo ai passeri e schiacciano le formiche.
Noi siamo quelli che …sopportano sempre:
l’Italicum e pure l’Italicus.
Noi siamo quelli che
...siamo tutti uguali.
Noi siamo quelli che
...non se ne salva nessuno.


smr



sabato 26 settembre 2015

Ottobre.

Ottobre, al mio paese, è da sempre anche il mese del bagolaro maturo. Un piccolo, trascurabile frutto tondo che, da quando nasce a quando è maturo, diventa di tutti i colori: bianco, giallo, verde, rosso, marrone, infine (quasi) nero. 50 sfumature di colori, tutti naturali e bellissimi, altro che ...di grigio! Ha poca polpa (peccato!) e un ossicino al centro, ma è dolcissimo. Sa di un misto di carrube, giuggiole e liquirizia. Qualcuno dei miei piccoli amici con cui facevo le scorribande lo schiacciava tra due pietre e lo mangiava con tutto l'osso, praticamente disintegrato dalla sassata. Oggi i bagolari non li cerca più nessuno, nemmeno gli uccelli. Gli addetti della forestale li piantano come alberi ornamentali e per fare fresco sui marciapiedi: hanno una grande chioma verde e possono raggiungere i 15 metri di altezza. E mio figlio, quando l'altro giorno insieme ci siamo passati accanto passeggiando, non era minimamente interessato a conoscere i miei piccoli, trascurabili aneddoti sul bagolaro e sulla mia fanciullezza. Ahimè!

martedì 22 settembre 2015

L'Autunno, oggi.

L'autunno al mio paese ....è la stagione dei ciclamini, quei fiori viola, piccoli, trascurabili, quasi invisibili ...ai più, che crescono ai bordi delle strade di campagna. Sopravvivono poco, hanno una vita breve, muoiono subito, di freddo, mangiati dal ghiaccio che li cristallizza e li spezza. Ma, fin quando sono in vita, emanano un profumo inebriante, che se la batte con quello acre dei carrubi, anzi dei funghi saprofiti che colonizzano i tronchi dei carrubi, e anche con quello che si alza dai mucchi di foglie bagnate che marciscono a terra. Per non parlare di quello intenso e irripetibile che si sparge nei vicoli del mio paese che ospitano quelle oscure cantine, zeppe di botti e di tini, dove si fa il vino. L'autunno, grigio, umido, uggioso, freddo, sembra brutto, ma non lo è. Anzi, per alcuni di noi, potrebbe addirittura essere bello, solo che richiede che sia attrezzati per saperne cogliere certi piccoli particolari, certe sfumature che non tutti sono in grado di cogliere.


domenica 20 settembre 2015

L'Autunno, domani.

metto qui un breve brano dal mio libro:

STORIE DAL PAESE DEI CICLAMINI.



L'autunno al mio paese ....è la stagione dei ciclamini, quei fiori viola, piccoli, trascurabili, quasi invisibili ...ai più, che crescono ai bordi delle strade di campagna. Sopravvivono poco, hanno una vita breve, muoiono subito, di freddo, mangiati dal ghiaccio che li cristallizza e li spezza. Ma, fin quando sono in vita, emanano un profumo inebriante, che se la batte con quello acre dei carrubi, anzi dei funghi saprofiti che colonizzano i tronchi dei carrubi, e anche con quello che si alza dai mucchi di foglie bagnate che marciscono a terra. Per non parlare di quello intenso e irripetibile che si sparge nei vicoli del mio paese che ospitano quelle oscure cantine, zeppe di botti e di tini, dove si fa il vino. L'autunno, grigio, umido, uggioso, freddo, sembra brutto, ma non lo è. Anzi, per alcuni di noi, potrebbe addirittura essere bello, solo che richiede che sia attrezzati per saperne cogliere certi piccoli particolari, certe sfumature che non tutti sono in grado di cogliere.


SMR

sabato 19 settembre 2015

Un sogno... vero!

dal mio libro: I Dolori di un Povero Poeta Prosastico.



Dormo in auto due ruote sul marciapiede due sull’asfalto poco lontano da me l’uomo si avvicina all’altro uomo e sferra un pugno l’altro si piega in due si torce ma non reagisce non può non ce la fa non vuole vagoni di legno e canne e paglia con le ruote carichi di bestie da circo aggrappate alle sbarre eccitate urlanti avanzano lungo il viale spinti e trascinati a mano dagli inservienti in livrea il convoglio ondeggia paurosamente pericolosamente prima a destra poi a sinistra rischiando di cappottare prima rasenta il muretto di cinta della scuola poi passa sul marciapiede di fronte la processione del santo patrono all’imbocco di piazza quercia col parroco in testa il sindaco e quelli della confraternita di san giuseppe vestiti di bianco e d’azzurro aspetta di partire la campana suona le luci si spengono tutto sfuma dissolvenza…

E’ un sogno! Un sogno vero! (badate, non ho scritto: è un sogno, vero?) Solo che detto così suonerebbe come un ossimoro perfetto, ma io l’ho fatto davvero questo sogno.

lunedì 14 settembre 2015

Il mio primo giorno di scuola.

metto qui un breve brano estratto dal mio libro:

"Passeggiate nella memoria profonda di un ragazzo di paese"


A parte qualche episodio drammatico e qualche punto di sutura sulle ginocchia la mia vita scorreva abbastanza tranquilla. Anzi posso dire che era abbastanza soddisfacente. Prima, fino a qualche decennio fa, per stare bene dovevi stare bene davvero. Oggi per poter dire di stare bene, ti basta non stare troppo male. Nell'ottobre del 1962, l'anno in cui morì mia nonna, papà decise che potevo andare a scuola, avevo poco più di cinque anni. Mi ricordo come fosse ora il mio primo giorno di scuola. Ecco la scena come in una fotografia che ho in mente da allora. E' una bella giornata di sole, mia madre in piedi, davanti al tavolo della cucina, un po’ china su una coperta militare grigia e bianca, piegata per fare spessore. Stira il mio grembiulino blu, col colletto bianco inamidato e il nastro azzurro. Ogni tanto sputa sulla piastra del ferro per sincerarsi che sia rovente; se non è abbastanza caldo lo rimette sul fornello della cucina, che sta acceso alle sue spalle. Dall’altra parte della stanza, mia sorella, è già pronta, armeggia per un po‘ con la sua cartella. Lei è già esperta, andrà in quarta. Ci mette dentro tutto quello che le occorre: due quaderni, due penne, due lapis, un astuccio di colori a cera, la squadra, il righello. La colazione, pane burro e marmellata, incartata per bene, la mette nella tasca esterna per non sporcare tutto il resto. Alla fine soppesa la cartella. E' leggera e maneggevole. Lo resterà almeno fino a quando non ci metterà dentro i sussidiari. Poi arrivano sul pianerottolo Sergio e Teresa, gli amichetti del piano di sotto, che vanno in classe con mia sorella. Tutti insieme scendiamo le scale e ci avviamo a piedi verso l'edificio scolastico. Sono un po’ elettrizzato, ma non come quando presi la scossa. Mio padre ha a che fare con la scuola, ma non fa parte del nostro teatrino. Lui esce da casa sempre un po’ prima di noi. Passa in piazza, compra le sigarette e il "Messaggero", si ferma a parlare con gli amici di politica e di calcio. Poi incontra i colleghi maestri e, durante il percorso a piedi, parla piacevolmente di programmi scolastici e di libri. Lui di mattina insegna; di pomeriggio fa il bibliotecario al Centro di lettura.

smr

giovedì 3 settembre 2015

I dolori di un povero poeta prosastico - Exergo.

metto qui lo scritto pubblicato in Exergo del mio libro "I Dolori di un Povero Poeta Prosastico"


“Che notizia meravigliosamente buona che tu apprezzi il mio libro, perché si scrive soltanto una metà del libro: dell’altra metà si deve occupare il lettore.” Così scriveva, qualche decennio fa, J. Conrad. Noi, oggi, modestamente, desideriamo chiuderla qui, una volta per tutte, la trita, e anche un po’ triste, faccenda secondo la quale lo scrittore sia da considerare solo autore parziale della sua opera, supponendo che ne abbia scritto una prima metà (e, ugualmente, faccia il poeta) e che l’altra metà, la seconda metà dell’opera, tocchi di perfezionarla al lettore. Ché nessuno sano di mente comprerebbe mai mezzo libro, o leggerebbe mezza poesia, se sapesse che deve scriverne lui la seconda metà mancante. Piuttosto, diciamo, più opportunamente, che il lettore legge quello che vuole, dal libro (intero) o 8 dalla poesia (anch’essa intera, per carità!), e che lo stesso lettore aggiunge quello che nessuno ha scritto: non lo scrittore né il poeta. Intero, infatti, non significa affatto pieno, e la bellezza di un buon libro o di una poesia azzeccata, la fa proprio il lettore leggendolo/a e, soprattutto, apprezzandolo/a (ap)pieno e interamente."

smr