mercoledì 30 settembre 2020

I Rumori del Mio Paese




   Per tutti noi l'infanzia è un mondo perduto di ricordi, luci, profumi e rumori. Negli anni '60 i nostri genitori erano preoccupati se non avevano i soldi e non potevano comprarci i libri (per la scuola o anche solo da leggere), la carne (la fettina si mangiava solo la domenica), un paio di scarpe o i sandali blu con gli ...occhi (per andare a una gita scolastica), non potevano farci trovare la loro ...befana sotto l'albero di Natale (ed erano giocattoli di legno e altri libri). Oggi vedo in giro genitori preoccupati perché non hanno soldi per comprare ai figli di 10 anni la Wii, il telefonino, la Psp, oppure non possono iscriverli alla scuola calcio negandogli un futuro milionario da ...Totti o Balotelli. (sic!) Venite a dirmi che questi anni di merda sono meglio di quegli anni, in cui la felicità non si comprava al centro commerciale: ma ce la sudavamo correndo e giocando con niente. 
   Cinquant'anni fa, se te ne andavi in giro per il paese, oltre ai tuoi passi sul selciato e allo scalpiccio degli zoccoli degli animali, potevi sentire tutti gli altri rumori dal paese: tanti, era una vera colonna sonora, oggi scomparsa. Ad esempio, se arrivavi dagli Stavoli, lungo Via IV Novembre, un po' prima di dove fa angolo con la salitella di Via Dell'Arco, sentivi distinto, oltre la macera, il ticchettio continuo di un martelletto sullo stagno: era Mastro Arcangelo Di Siena che martellava tutto il tempo per modellare un tubo per lo scarico dell'acqua piovana o una grondaia; oppure riparava una conca di rame o il contenitore di zinco per l'olio nuovo. O saldava una pompa per dare lo zolfo alle viti: e, allora, se eri fortunato potevi sentire il soffio caldo e potente della fiamma ossidrica, una vera rarità per quei tempi. FFFFFFRRRRRRRRR!!! FFFFFRRRRRRRR!!!
   Se superavi la Piazza Centrale e t'inoltravi dentro a Via Manzoni, dove diventa Via Guglielmo Marconi, avresti sentito il rumore moderno di una sega circolare: proveniva dalla falegnameria dei fratelli Di Bello, Francesco e Vincenzo, gli zii di mio padre, i fratelli di mia nonna Anna Maria. Ma lì potevi sentire anche il rumore più antico di una pialla o di una raspa che lisciavano un asse di legno, di quercia o di rovere. Un martello che inchiodava o la carta vetrata che raffinava. Un orecchio più allenato avrebbe di certo avvertito, come provenisse da molto lontano, il rumore quasi impercettibile di un pennello che stendeva un velo sottile di mordente marrone sul ripiano di un mobiletto appena raffinato. O una mano di vernice sulla sedia appena ristrutturata. 
   Andando su, lungo Via Roma, appena dopo il rione Gelso, quasi all'altezza del vialetto del barbiere Angelo F., ti saresti imbattuto nella minuscola bottega di un calzolaio, Mario. Se era bel tempo lo trovavi fuori, sul marciapiede stretto stretto, seduto sulla sua sediolina, davanti al suo banchetto basso. Con la forma di un piede di ferro poggiata sulle gambe e un martelletto in mano. Mi pare ancora di vederlo seduto al tavolino da lavoro. E nel ripiano pieno di scomparti quadrati, davanti a lui; chiodi, puntine, tenaglie, pinze, colla, sotto-tacchi, raspe, lime, pezzi di cuoio, suole e tutto quello che serviva per le sue riparazioni. E anche qui il rumore caratteristico di un martello che appiattisce e forma la pelle. E anche qui i cultori dei rumori fini, avrebbero trovato pane per i loro denti: lo scivolare quasi impercettibile di una o spazzola sulla pelle. Più o meno veloce. FFRRRUUUMMM-FFFFRRRUUUMMMM!! FFFRRRUMM-FFFRRUUMMM!!! Come un treno che scivola su rotaie di velluto. 
   Oggi se ti fai un giro, anche per i vecchi rioni, non si sentono più i rumori caratteristici degli antichi mestieri, degli artigiani scomparsi. Da quando si sono diffuse le betoniere non senti più il rumore del badile che ammassa la malta per terra; della pala che stride sul selciato e che abbatte l'impasto nei secchi. SCHIAMMMSCHIAMMM!!!!!!!! 
   Le bombole del gas sono quasi scomparse e se non fosse già morto da un pezzo, il povero Raffaele Po'Po' avrebbe dovuto trovarsi un altro mestiere: certo non sarebbe andato in giro per tutto il paese col suo carretto cigolante. 
   Ogni tanto i rumori arrivavano anche da fuori. Dal Molise e dall'Abruzzo: un arrotino scendeva dalle alte montagne innevate, a primavera, per affilare forbici o coltelli. Con la sua bicicletta 28 nera, che era contemporaneamente un mezzo di trasporto e uno strumento di lavoro. La metteva sul cavalletto, collegava la catena alla mola, apriva un piccolo rubinetto dell'acqua che colava lentamente sulla mola, con uno stillicidio lentissimo e in qualche minuto ti aveva affilato tutte le lame e tutto il resto di quello che gli avevi passato. "Attento a non tagliarti! Mi raccomando." Avvolgeva il coltello o la forbice nella carta del giornale e raccoglieva in cambio le poche lire che gli offrivi. Adesso, in paese, per la strada, senti le macchine che passano; il rumore raggelante dei motori a scoppio ha invaso anche i centri storici. Anche nelle città d'arte Che orrore! Le ruote saltano sulle pietre; i clacson e gli allarmi, invadono i vecchi rioni. Una volta al massimo potevi sentire il motore di una Topolino, quello di un Motom o di una Moto Guzzi rossa fiammante. Era molto più in voga lo scalpiccio sul selciato di un asino o di un mulo che tornavano dalla campagna. Lungo Via IV Novembre, di fronte o a fianco, non ricordo, al Bar del Pipistrello c'era un fabbro. Ferrando tutti i quadrupedi del mio paese ha tirato su una famiglia numerosa. Forgiando dal nulla la di un tondino di ferro la ringhiera per il balcone di una casa ha costruito un'abitazione per se e per i suoi figli. 
   Cinquant'anni fa, anche tra mille difficoltà, ogni giorno era la festa degli artigiani; oggi al mio paese ogni giorno si celebra il funerale di un artigiano. Una strage che ne ha provocato l'estinzione. 
   Oggi, di tutti i rumori naturali o artificiali che sentivo cinquanta anni fa al mio paese, e che non ho mai smesso di sentire, solo uno, per nostra fortuna, si è conservato inalterato: il gracidare inconfondibile, continuo, assordante delle cicale durante gli afosi pomeriggi di luglio che precedevano la festa di S. Margherita. Quella era la colonna sonora estiva, al mio paese, negli anni della mia infanzia. Per tutti noi l'infanzia è un mondo perduto di ricordi, di luci, profumi e, soprattutto, rumori e odori. Gli unici ricordi che non possiamo riprodurre.

Brano tratto dal mio libro ''Cronache dal Piccolo Borgo della Pietra Millenaria''