domenica 26 aprile 2015

XII° Convegno UNISAL "Cinema, Filosofia e Psicoanalisi".

il 29 Maggio 2014

presso l'Aula Ferrari - Palazzo Codacci Pisanelli 

alla Piazzetta Angelo Riccio di Lecce

organizzato dall'Università del Salento 

si è tenuto 

il XII° Convegno  

"Cinema, Filosofia e Psicoanalisi" 

col tema: Il Padre

A cura del Prof. Giovanni Invitto e del Prof Salvatore Colazzo.

Tra i relatori c'ero anch'io, Salvatore M. Ruggiero col mio lavoro: 

La Figura del Padre nel Grande Cinema di Ingmar Bergman


venerdì 24 aprile 2015

25 Aprile: Giornata della Liberazione.



Resistenza

"Mi chiamo Marco, sono uno studente. Ho vent'anni e sono spensierato. Mi sono fidanzato da poco con Margherita. La donna che ammazzerò!"

- Ciao! Ciao, bella ciao! Bella ciao, ciao ciao ciao!

"Mi chiamo Margherita, sono un'apprendista sartina. Ho vent'anni e sono spensierata: Mi sono fidanzata da poco, con marco. L'uomo che mi ammazzerà!"

- Ciao! Ciao, bella ciao! Bella ciao, ciao ciao ciao!

Come spesso succede, la realtà supera la fantasia più sfrenata. Scoppia la guerra e i destini dei due giovani si separano: marco si arruola nell'esercito e diventa ufficiale. Margherita, di famiglia antifascista, diventa partigiana. Si rende utile portando di nascosto vivande e messaggi. Passa qualche anno.

(Marco) "Oggi giustizieremo i partigiani condannati. Tra di loro ci sono anche due donne, una di loro si chiama Margherita, come la mia ex fidanzata. Spero che non sia lei."

(Margherita) "Oggi morirò! sarò giustiziata. Sono stata condannata da un tribunale fascista. Per tradimento. Con me ci sarà un'altra donna e molti altri partigiani. Tutti miei fratelli."

Marco e Margherita s'incontrano per l'ultima volta nel piazzale della caserma. Si guardano negli occhi. Si erano tanto amati. Come dimenticare quello sguardo. E quei giorni?
Una raffica di mitra ed è tutto finito.
Ratatatatatatà! Ratatatatatatà!

- Ciao! Ciao, bella ciao! Bella ciao, ciao ciao ciao!

(Marco) "Non sopportavo l'idea di aver ucciso la mia fidanzata. Non potevo sopravvivere al rimorso. Sono partito anch'io, ho dovuto farlo. Un colpo alla tempia con la mia pistola d'ordinanza ed è finita. Ciao Margherita: c'incontreremo in paradiso. So che non mi porti rancore. eri buona tu."

- Ciao! Ciao, bella ciao! Bella ciao, ciao ciao ciao!

(Margherita) "La voce di Marco non mi ha sussurrato parole dolci, come quando facevamo l'amore: ordinava al plotone di fare fuoco. ora è tutto finito. Ciao Marco. Spero d'incontrarti in paradiso. So che non hai colpa. Tu non sei cattivo. Ti hanno costretto, tu eri un militare: la guerra ti ha costretto. la guerra rende tutti peggiori."

- Ciao! Ciao, bella ciao! Bella ciao, ciao ciao ciao!

Marco e Margherita si sono incontrati in paradiso.

smr

mercoledì 22 aprile 2015

Le stagioni della Lattaia

metto qui l'incipit della mia presentazione al libro:
Le Stagioni della Lattaia
Il Racconto Breve della Donna che mesceva il latte con altre sette piccole storie.



 Vivo in un paese brutto. Brutto, perché maltenuto; brutto, perché cresciuto disordinatamente - senza armonia; brutto, perché disseminato di case senza facciata; brutto, perché zeppo di stabili fatiscenti coi muri crepati. 
 E’ un vero peccato! Perché di sicuro non è stato sempre così. Un difetto di senso estetico, poco meno che generale, l’ha reso brutto; il disinteresse, l’egoismo e la sciatteria, di chi lo ha amministrato per anni e della sua gente, hanno fatto il resto.  
Io penso che alla sua nascita - mille anni fa - fosse molto diverso da come è adesso. Anzi, sicuramente era diverso. Sicuramente era migliore. E, a suo modo, doveva pure essere bello. Posso immaginare come era - senza sforzo. Se chiudo gli occhi le vedo ancora le sue case basse: paiono reggersi lungo il pendio scosceso, puntellate nella terra e nei sassi. Sembrano gatti che si reggono sul sofà con gli artigli ficcati nello schienale. Sono addossate, appiccicate una su l’altra, a modellare i minuscoli, caratteristici borghi, stipati di portici archi e loggiati, che conservano ancora il nome degli edificatori primordiali. Tutte di pietra viva e malta impastata a colpi di badile; tutte coi serramenti di quercia laccati al naturale. Li vedo ancora i suoi tetti coperti di coppi fatti a mano: tutti uguali nella forma, tutti diversi nei colori, estratti a caso da l'impasto di terracotta. Le vedo ancora le sue macere di pietra a segnare i confini delle proprietà - fuori del centro abitato e anche dentro. Appena spaccate, le pietre sono di un bianco abbagliante, quasi lunare; poi, col tempo, diventano grigie - per accompagnarsi meglio alla tristezza del paesaggio circostante.


martedì 21 aprile 2015

Dal mio libro: Storie dal paese dei ciclamini.

metto qui un brano tratto dal mio libro: 

Storie dal paese dei ciclamini


Al mio paese c'è stata la guerra, quella vera, quella grande. Anzi ...Grande.
Nell'inverno del '43 faceva freddo, molto freddo; sul paese nevicava e piovevano bombe. Il centro abitato brulicava di soldati tedeschi biondi, arroganti, dai modi bruschi. Parlavano una lingua incomprensibile. L'unica cosa che i corenesi capivano era quando urlavano: Raus! Raus! Quando arrivarono gli alleati da sud la popolazione e il centro abitato si trovarono proprio tra i due fuochi: come stretti nelle morse di una tenaglia, nel bel mezzo della Linea Gustav. Tra forze alleate, da una parte e truppe tedesche delle SS, dall'altra. Come salvarsi? La gente, in grossa parte, fu sfollata. Tutto il paese si trasferì sulle montagne vicine. Alcuni andarono verso sud, arrivando fino in Calabria a Vibo Valentia; altri andarono a nord, raggiungendo perfino Milano Lacchiarella, come mia nonna e i suoi figli piccoli, compresa mia madre. Quei pochi che non avevano voluto abbandonare le cose, le case, la terra, avevano messo tutto dentro un sacco, su una carretta, a dorso di mulo, se ne avevano uno, e si erano trasferiti sulle montagne. In una casetta per il ricovero degli ovini o nelle grotte. Vissero nelle condizioni di uomini primitivi per diversi mesi, fino alla fine della guerra. Non che in paese la vita a quei tempi fosse più confortevole: l'acqua corrente non c'era; non c'era il gas ne l'elettricità. Per non parlare dei riscaldamenti. Si cucinava sul fuoco e ci si scaldava vicino alle braci ardenti: il fuoco si accendeva la mattina presto e si alimentava, con la legna raccolta a mano, fino alla sera. Prima che i carboni si incenerissero si prendevano e si mettevano in uno scaldaletto di rame. Gliu scarfalettho veniva passato caldissimo e rapidamente nel letto, fra le lenzuola, per scaldarle per la notte. Quando, finalmente, la guerra passò la gente tornò in paese. Il lavoro non c'era, la fame era tanta. Molti uomini e anche giovani e ragazzi si sparpagliarono di nuovo sui monti alla ricerca del ferro, delle schegge di proiettili, di bossoli vuoti o pieni di polvere da sparo. Qualche poveraccio ci ha pure lasciato le penne. Molti di quei fortunati che sono sopravvissuti alle esplosioni - molto frequenti, per l'imperizia dei cercatori - hanno lasciato sui monti un dito, più dita, tutta la mano, un avambraccio o il braccio intero. Verso la fine degli anni '50, ancora in pieno dopoguerra, la ricostruzione non era finita, il mio paese, invece di andare avanti, è tornato indietro: dall'età del ferro è passato all'età della pietra. Molti si sono occupati nelle cave di marmo: la nuova frontiera economica. E molti, in cambio di un tozzo di pane, hanno continuato a lasciarci le penne. E diversi di quelli che sono sopravvissuti, in cambio del tozzo di pane nelle cave, sotto a un masso, ci hanno lasciato un arto, per pegno.






domenica 19 aprile 2015

L'Inizio del mio libro: Passeggiate nella memoria profonda di un ragazzo di paese.

Metto qui l'inizio del mio libro: Passeggiate nella memoria profonda di un ragazzo di paese.
Somiglia all'incipit di Lanterna Magica di Ingmar Bergman ma è tutto vero.


INIZIO

   Quando - senza chiederlo - nacqui, nel giugno del '57, il parto avvenne a casa nostra, nel letto dei miei genitori. Alla presenza della sola levatrice, che era un nostro parente acquisito. Zia Adriana, era venuta giovanissima, fresca di diploma di ostetrica, da Trevi nel Lazio, si era sposata e non è più andata via. L'aveva presa in moglie Zio Francesco, un cugino carnale di mia madre, che poi sarebbe diventato segretario comunale e il mio padrino. Mio padre a casa non c'era, aveva preso servizio come maestro elementare a Velletri e, in quel momento, stava ancora lì, intento a chiudere il suo primo anno scolastico intero. Mio nonno, la mattina stessa, di buon'ora, era corso all'ufficio postale e gli aveva mandato un telegramma, nel quale aveva scritto lapidariamente: "E' nato il piccolo Salvatore. Bambino e puerpera godono ottima salute." In effetti quando nacqui stavo bene ma, subito dopo, ebbi qualche piccolo problema. Avevo difficoltà respiratorie e ansimavo. Intorno al primo anno di vita, il dottore che mi visitò disse ai miei genitori che ero affetto da una leggera forma di asma bronchiale. Niente di preoccupante, intendiamoci, nonostante fossi nato esattamente al nono mese, i bronchi erano ancora poco sviluppati, e questo rendeva necessario che respirassi aria di mare il mattino presto. Così i miei, quella stessa estate, inaugurò la prassi delle vacanze al mare. Al paese si diceva: vai agli bagni? Da quell'anno cominciammo a frequentare Scauri ogni estate, ai primi di luglio, per almeno due settimane, e non smettemmo più fino alla fine degli anni '70. Dopo di che, siccome eravamo diventati tutti abbastanza grandi e indipendenti, mio padre si disinteressò delle nostre vacanze estive. Ognuno di noi, se lo avesse voluto, sarebbe andato al mare per conto suo. I miei polmoni e i miei bronchi intanto si erano sviluppati abbastanza. In seguito crebbero ancora e acquisirono una funzionalità normale... 

mercoledì 15 aprile 2015

Cronache dal Piccolo Borgo della Pietra Millenaria

metto qui un brano estratto dal mio libro:
Cronache dal Piccolo Borgo della Pietra Millenaria



dedicato al medico condotto di Coreno degli anni 60/70 

 Il medico Samuele


Il medico Samuele Petronio, uno dei personaggi di cui parlo anche in altra parte del libro, era fratello dell'esattore delle tasse. Non era originario del paese, ma venuto a Coreno da fuori, forse da Castelnuovo, intorno agli anni '30. Praticamente subito dopo la laurea; fresco di esame di abilitazione alla professione medica, avvenuto a Napoli qualche mese prima. All'inizio faceva solo le funzioni del medico della Mutua; poi nel suo quartino alle case popolari, che abitava da solo, aveva attrezzato un piccolo studio dentistico. Praticamente c'erano solo una sedia per il povero paziente, uno sgabello per lui e un piccolo trapano a pedali e un tavolinetto per pochi ferri e qualche medicina. Raccontano che a Napoli era avvenuto un fatto poco piacevole: forse attirato dalla ricchezza, più presunta che vera, di una ragazza più anziana di lui, si era prima legato con quella, poi, addirittura sposato. La moglie, che infatti nessuno conosceva, non era mai venuta al paese, anzi l'aveva lasciata a Napoli, sola per lunghe settimane, poi si erano lasciati e definitivamente separati. Qualcuno dice perché aveva scoperto che era più ricco lui. Qualche pettegolezzo sorse e corse inevitabile in paese, intorno al matrimonio del medico Samuele, che all'epoca era una delle figure di maggior rilievo sociale, ma più misogino di Alberto Sordi. Qualcuno, ben informato, disse che la donna, in combutta col fratello l'aveva raggirato, presentandosi un giorno all'Università: lui vestito in livrea da autista, che poi era la sua vera professione; lei da nobildonna elegantissima e ingioiellata come la Madonna di Pompei, rispettivamente alla guida e a bordo di una fuoriserie, che ovviamente non era di loro proprietà, ma che avevano affittata per l'occasione. L'avventura di una notte era costata assai cara all'ancora inesperto Samuele, visto che, dopo la separazione, era stato costretto a pagare un vitalizio alla moglie, fintamente sconsolata, ufficialmente sedotta e abbandonata. Samuele era famoso in tutto il paese per la sua parsimonia. Qualcuno la definiva avarizia. Dicono che quando era invitato ai matrimoni, volontariamente restasse digiuno per qualche giorno precedente al pranzo, per approfittare delle abbondanti portate del pranzo, e pure di qualche bis, al tavolo di uno dei rinomati ristoranti del golfo di Gaeta. Dicono pure che, come accessori, avesse una sola cintura di cuoio, allungata e rivettata più di una volta e una sola cravatta. E dicono pure che avesse un solo abito. Oppure che fossero due e non più di due, perfettamente uguali, che indossava alternandoli giornalmente. Quando morì lasciò una eredita' miliardaria - molti danari, il quartino alle casette e una villa, mai abitata - a lungo contesa tra qualche parente e le pie donne che lo avevano accudito dopo la scomparsa della sua storica donna di servizio Celestina. Professionalmente preparato, come tutti i medici di quel tempo, ma di modi spiccioli. Io stesso, ad appena otto anni, sono stato vittima della sua ruvidezza. Giocando dietro casa, all'aria di Rosina, mi ero procurata una profonda ferita al ginocchio, senza una grande perdita di sangue. Questo particolare mi aveva indotto, erroneamente a pensare che la ferita si sarebbe rimarginata da sola. Quando rientrai a casa cercai di tenere nascosta la cosa, ma quando tentai di infilarmi nel letto, mia madre si accorse che qualcosa non andava. Vide la ferita e mi portò di corsa dal medico Samuele, che abitava poco lontano, all'ultima casetta. Quello senza anestesia, senza scrupoli e con un particolare gusto sadico mi ricucì la ferita con quattro o cinque punti inferti nella carne viva. A memoria di quel fatto, porto ancora la cicatrice cucita nella mia carne. All'altezza del ginocchio sinistro.

martedì 14 aprile 2015

Le Vaglisconti.

dal mio libro: 
Passeggiate nella Memoria Profonda di un ragazzo di Paese




Allora era all'estrema periferia del paese; oggi sarebbe considerata centrale. 
Allora era un terrazzamento di valli piene di macere e di alberi di fico; oggi è rimasto solo una valle com'era prima, con intorno un nuovo quartiere con tante case nuove. 
In una delle valli più grandi, durante la guerra, si era schiantata una bomba d'aereo che aveva lasciato un cratere di 7/8 metri di diametro. Perfettamente circolare. 
Quando pioveva l'argilla faceva il resto: la pozza si riempiva d'acqua piovana e restava lì per alcuni giorni, prima di asciugarsi. 
Durante la bella stagione i monelli più grandi andavano a rinfrescarsi e a farsi il bagno in mutande. 
Io il bagno nell'acqua torbida di quella pozzanghera non l'ho mai fatto, ma qualche mio amico delle casette si: lo accompagnavo, magari, ma poi aspettavo fuori. 
Certo chi si buttava a bomba nell'acqua torbida aveva tutta l'aria di divertirsi. 
Quando in paese si diffuse la voce che molti ragazzi andavano in piscina, il padrone del terreno ricorse alle autorità e fece interrare il buco. 
Da quel giorno chi voleva farsi il bagno cominciò a frequentare le spiagge di Scauri.




sabato 11 aprile 2015

In memoria di Zio Giovanni Parente, nei giorni dell'anniversario della sua morte.

Estraggo  dal mio libro

Passeggiate nella memoria profonda di un ragazzo di paese

il brano che ho dedicato a mio Zio Giovanni.


 


(Venerdì 12 aprile 2013)

In memoria di mio Zio Giovanni (detto John).




Ieri è morto a Cleveland, in Ohio (USA), dove era emigrato coi genitori nel primo dopoguerra, per costruire per se e per la sua famiglia un futuro migliore di quello che poteva offrirgli la terra sassosa di Coreno, il mio caro "zio americano" Giovanni, uomo mite e laborioso. Era marito della mia cara "zia americana" Linda, sorella di mia madre e mamma dei miei quattro cugini americani, Tony Parente, John, Mary Jane, Joanna. Giovanni aveva subito imparato a parlare l'inglese meglio di Gary Cooper, del quale aveva lo stesso tono di voce, ma non aveva mai voluto dimenticare il dialetto della sua terra: sapeva ancora parole strane e incomprensibili in corenese: noi le abbiamo dimenticate, lui ne conservava gelosamente la memoria. Sapeva fare tutto ed infatti il lavoro non gli è mai mancato. Ma era bravissimo, anzi, eccelleva nel confezionamento dei pacchi da spedire in Italia nella stiva degli aerei. Conservo un curioso aneddoto di cui voglio mettervi a parte. Quando io e Patrizia, mia moglie, andammo in America per il viaggio di nozze, era il lontano 1991, fummo ospiti nella sua casa di Courtland Ave. Una deliziosa piccola brownestone house ad un piano col prato davanti e il garage e l'orto dietro. Proprio come si vedevano nei telefilm americani di Fonzies. Lui, quando era libero dal lavoro, ma io ero convinto che si liberasse apposta per scortarci nella "sua" Cleveland, con la sua... Handa! come lui chiamava la sua Honda, ci scarrozzava per le freeway a caccia di acquisti in "sale" e "deliverance" nei già diffusissimi, numerosi e gigantesci "out-let". Grazie al suo infallibile fiuto per gli affari facemmo incetta di jeans Lewis, camicie di Ralph Lauren e scarpe Timberland, pagando tutto qualche manciata di dollari. Quando fu tempo di tornare non sapevamo dove mettere quella montagna di roba, avevamo poche borse, qualcuna la comprammo, ma non bastava lo stesso. Allora Zio John, come lo chiamavo confidenzialmente, ebbe un colpo di genio: prese dal "basement" (il piano interrato) degli scatoloni di cartone che conservava (lui non buttava via niente, quale consumismo americano!). A me parevano sì voluminosi ma fragili e comunque inadeguati a sopportare tutto quel peso e , mentre noi ancora discutevamo, lui lentamente e silenziosamente cominciò a riempirli con rara razionalità e, altrettanto rara, maestria, sfruttando tutti gli spazi utili ed evitando ad arte di creare vuoti inutili. Poi, una volta riempiti, cominciò a chiuderli con lo scotch da imballaggio e a legarli con uno spago robusto, col quale, come diceva lui, realizzava una serie interminabile ..." re 'ngalappi" robustissimi. Le nostre spese arrivarono in Italia nei loro pacchi, come erano stati spediti. Quando, ogni due anni, Zio John veniva a Coreno con Zia Linda e qualche figlio e amici al seguito, per le vacanze estive, che duravano sempre tre mesi, passava al negozio per le batterie che usava per gli orologi e per i suoi strumenti di misurazione elettronici. S'arrabbiava se dicevo che erano in omaggio e mi dava sempre più di quello che costavano. Non sono mai riuscito a sdebitarmi con lui, almeno fino a quando non mi hanno chiamato a dire due parole il giorno che a Coreno nella nostra, nella loro chiesa, Giovanni e Linda festeggiarono il matrimonio che non avevano mai avuto a Cleveland negli anni '50: i loro parenti erano tutti qui  e quella sera per la doverosa replica erano attorno a loro, festanti, soddisfatti, e soprattutto ...tutti.  Feci il mio discorso, naturalmente a braccio e col cuore, cercando di dire cose belle e vere, le uniche che potevo dire e, insieme anche coltivando l'ambizione nascosta, di far scendere qualche lacrima e di strappare qualche sorriso, ma quei fessi che ascoltavano risero pure, ma si commossero davvero. E pure allora Zio John mi voleva ricompensare con una banconota da 50 dollari, che io ovviamente non accettai. Stavolta mi arrabbiai io. Restavo io sempre in debito con lui. Ora non so dove sia andato: ma se davvero esiste un paradiso per gli uomini miti e laboriosi lui ci dev'essere arrivato sicuro. Spero che oggi abbia potuto trovare lassù un futuro di meritato riposo e, comunque, anche migliore di quello che ha costruito col suo sudore a Cleveland, la sua seconda patria. Io sono certo che, anche se quella città, quella nazione ricca gli hanno dato molto, sarà sempre seconda rispetto a Coreno, la sua vera terra. Quella che lui ha amato, che non ha mai dimenticato e che non potrà ospitare la sua ultima dimora. 
Ciao Zio John. “Sit tibi terra levis.”


domenica 5 aprile 2015

Amo molto guardare la gente che passa per strada.

 Metto qui una parte dell'epilogo del mio libro:
PASSEGGIATE NELLA MEMORIA PROFONDA DI UN RAGAZZO DI PAESE.




   Amo molto guardare la gente che passa per strada. Mi piace osservare, senza essere visto, quello che fa, come cammina, come gesticola. Mi piace immaginare come la gente vive, dove vive, la casa che abita, l’auto che guida. Mi piace immaginarne il titolo di studio, il lavoro che fa, la cultura che ha, e la mentalità che la opprime. La personalità e il temperamento. I costumi e le abitudini. Le manie e le paure. E i tic, se li ha. Ma quelli, li hanno tutti. I timori e le insicurezze (quelle non mancano mai). Le sicurezze e le certezze (anche quelle non mancano mai). Mi piace osservare la gente che passa per strada, senza essere visto, e poi classificarla per tipo, come farebbe un entomologo con i suoi piccoli insetti. Ovviamente - ca’ va sans dire - non mi sognerei mai di trapassare nessuno con uno spillo al centro delle spalle; dopo averlo trafitto, non inchioderei mai nessuno sul fondo di una scatola, chiusa da un coperchio trasparente. Anche se, lo confesso, la tentazione di trattare qualcuno come fosse un insetto è forte. Più di qualcuno che conosco meriterebbe di essere trattato come una blatta. I tipi che vedo passare per strada, sono molti e variegati. C’è il tipo nervoso, l’indaffarato (certe volte vero, certe volte finto), quello pieno di tic, il fannullone, cha va solo perdendo tempo e… si vede; il curioso, che osserva tutte le vetrine, ma non compra mai niente; c’è la coppia di giovani innamorati che si tiene stretta per mano e non si stacca nemmeno se ha qualcuno che le avanza di fronte (guai staccarsi, semmai costringono lui a cambiare strada e deviare). Poi c’è la signora anziana, nonna lenta, col bambino piccolo, nipote veloce. Uno corre davanti, l’altra dietro. L’anziano lento e quello veloce. L’insicuro e il barcollante. Le torme di studenti appena usciti da scuola, che sembrano mandrie bovine o, anche, transumanze. Insomma, un campionario di varia umanità, muta, anonima, trascurabile, che cambia, sfila, appare e scompare. Lasciando, solo una rapida traccia di se: un flebile ricordo, appuntato su un taccuino. Sul quale si cerca di raccontare le piccole storie di uomini che non hanno fatto la storia, ma che hanno tutti una piccola o grande storia da raccontare.

SMR

mercoledì 1 aprile 2015

I Corenesi potrebbero provenire dalle antiche popolazioni sarde? Una ipotesi sulla quale lavorare.


Gli indizi, raccolti nel corso di alcune mie ricerche storiche, mi hanno condotto alla formulazione di una ipotesi (ovviamente tutta da dimostrare) che si può riassumere in una domanda anzi, due.
La prima: è possibile che alcuni navigatori sardi, approdati sulle coste del Lazio, intorno alla seconda metà del primo millennio d.C., abbiano fondato Coreno?
La seconda, in subordine: è possibile che alcuni navigatori sardi approdati lungo le coste laziali (la propaggine più meridionale della Riviera di Ulisse) e spintisi per qualche chilometro all'interno del territorio siano venuti a contato con la popolazione di Coreno, influenzandone la cultura, le abitudini religiose e, finanche, la lingua?
Voglio avvertire preventivamente il lettore che tale ipotesi (per ora bislacca se non cervellotica, essendo solo l'abbozzo della teoria di uno "storico visionario" come il sottoscritto), pure affascinante e, per certi versi verosimile, è ancora tutta da dimostrare.
Tuttavia è utile che io riassuma qui i punti salienti sui quali è possibile, sempre secondo il sottoscritto, iniziare una riflessione e dai quali bisognerà necessariamente partire per la effettuazione di una ricerca storica seria, che potrebbe, non dico asseverare definitivamente tale tesi - ripeto, per ora, fantasiosa - ma renderla, quanto meno, più credibile e realistica.
Eccoli riassunti sinteticamente di seguito.

1) Il dialetto corenese rappresenta un unicum rispetto ai dialetti dei paesi limitrofi e confinanti; non somiglia, infatti, al dialetto di Ausonia, di Castelforte, di Spigno, né a quello di Vallemaio. Anzi, si può dire che rappresenta una enclave linguistica molto originale rispetto agli altri vernacoli. Perché?
Nel contempo per molti dei finali di parola in U e per la presenza degli articoli SU, SA e SI, somiglia in maniera indiscutibile al dialetto Sardo, da molti considerato una vera e propria lingua.

2) Caso più unico che raro, sul territorio del comune di Coreno è perfettamente conservata la cd. Grotta delle Fate. Un monumento scavato e scolpito nella roccia calcarea, da molti considerato sito archeologico antichissimo e originalissimo, del tutto simile, se non addirittura uguale alle cd. Domus de Janas (Case delle Fate) sarde. 

https://www.youtube.com/watch?v=cTBt1T2UK-4

Le domus de janas sono delle strutture sepolcrali preistoriche costituite da tombe scavate nella roccia tipiche della Sardegna pre-nuragica. Si trovano sia isolate che in grandi concentrazioni costituite anche da più di 40 tombe. Dal Neolitico recente fino all'età del bronzo antico, queste strutture caratterizzarono tutte le zone dell'isola. Ne sono state scoperte e censite più di 2.400, circa una ogni chilometro quadrato, e molte rimangono ancora da scavare. Sono sovente collegate tra loro a formare delle vere e proprie necropoli sotterranee, con in comune un corridoio d'accesso (dromos) ed un'anticella, a volte assai spaziosa e dal soffitto alto. In italiano, il termine in lingua sarda domus de janas è stato tradotto in "case delle fate".

3) E' dimostrato storicamente, oltre che testimoniato da innumerevoli ritrovamenti archeologici, che i navigatori sardi in epoca storicamente documentabile si siano spinti lungo tutti i centri abitati delle coste tirreniche all'entroterra, per decine di chilometri, dalla Toscana alla Campania.  Dunque non è inverosimile pensare che possano essere approdati anche sulle coste del Basso Lazio, tra le più ricche, fertili ed apprezzate già dagli antichi romani. Esiste una recente documentazione storica di flussi commerciali, fin dall'età del bronzo, tra Sardegna e potenze mediterranee e precipuamente tirreniche. In più. La navigazione rivestì un ruolo molto importante per i sardi. Il ritrovamento di ancore nuragiche lungo la costa orientale, alcune del peso anche di 100 chili, confermano che le imbarcazioni erano molto robuste e probabilmente gli scafi raggiungevano una lunghezza di oltre i 15 metri. Dopo essere stata per anni descritta come una civiltà chiusa in se stessa, con ipotesi che attribuivano alle navicelle nuragiche in bronzo una funzione votiva o di semplici lucerne, le evidenze archeologiche testimoniano che le popolazioni nuragiche costruivano solide imbarcazioni e che erano abili commercianti, che viaggiavano con i loro scafi sulle rotte dei traffici internazionali, intessendo forti legami con la Civiltà Micenea, con la Spagna, con l'Italia tirrenica e con Cipro. Sono di grande attualità e interesse alcuni rinvenimenti archeologici nelle coste del Vicino Oriente e della Bulgaria. I frequenti scambi commerciali e l'importanza dell'intenso commercio del rame verso il Mediterraneo orientale, testimoniato dal ritrovamento di importanti quantità di lingotti di rame di tipo probabilmente cipriota, stimolarono la metallurgia ed i commerci e portarono a un intenso sviluppo economico, contribuendo ad arricchire significativamente le popolazioni nuragiche.

4) Come spiegare l'esistenza di un toponimo comune tra la Sardegna e l'attuale Ciociaria: CominoCapo Comino è una località situata nel comune di Siniscola (NU), sulla costa nord-orientale della Sardegna e rappresenta l'estremo orientale dell'isola, al termine del Golfo di Orosei; mentre, nella Provincia di Frosinone, la Valle di Comino è una delle valli paesaggisticamente, storicamente e archeologicamente più belle dell'intera Ciociaria. 

5)  Il muro a secco. La quasi totalità delle pianure dell'isola sarda è originata dall'azione dell'acqua e del vento. Sono quindi pianure alluvionali, disseminate di pietre più o meno grandi trascinate dalle alluvioni o rotolate lungo o pendii. Per poter avviare un minimo di attività agricola, quindi, la prima operazione da fare era lo "spietramento", cioè la raccolta delle pietre con le quali si costruiscono muri di contenimento e di confine delle proprietà. I tipici muri a secco che consentivano di trattenere la poca terra sulla quale i contadini coltivavano la vite, ma soprattutto l'ulivo. In Sardegna come in tutto il Lazio e anche a Coreno Ausonio.

Detto tutto questo, concludo dicendo che mi sono deciso a pubblicare questo mio scritto per la speranza di accendere intorno a quest'argomento una discussione; per stimolare la curiosità dei lettori e per avere, se possibile, un contributo che possa trasformare questi 5 semplici indizi, che pure sembrerebbero univoci e concordanti, in un'unica grande, esaustiva e, soprattutto definitiva prova.


Ringrazio, quindi, anticipatamente tutti coloro che volessero contribuire a dipanare questa ingarbugliata ma avvincente matassa.



smr