domenica 19 agosto 2018

La coerenza è la virtù degli stupidi






Uno dei più accaniti detrattori dell'attuale governo e dei suoi sostenitori, campione di ibero pensiero - noto per il suo recente attacco frontale alla apparentemente fragile e indifesa, ma tosta intellettualmente, giornalista de Il Fatto, Luisella Costamagna - Giuseppe Turani, giornalista emerito, laureato alla Bocconi, quindi collega di Sara Tommasi, è più volte intervenuto dall'alto del suo blog di cartone virtuale (Uomini&Business) sulla polemica che si è scatenata dopo il crollo del ponte Morandi di Genova.
Con una terminologia colorita e certe volte anche offensiva. La qual cosa dimostra sempre che si è a corto di idee e di argomenti.
Ora, non voglio entrare nel merito della polemica, per carità, ma voglio solo ricordare che nel lontano 1974 (quando il nostro eroe aveva poco più di 30 anni) uscì un suo libro che s'intitolava "Razza padrona" e aveva come sottotitolo
"Storia della borghesia di stato", un saggio di attualità nel quale si tuonava contro la borghesia italiana, razza padrona e ladrona (appunto), scritto con la collaborazione di Eugenio Scalfari, altro giornalista emerito in rovinosa caduta intellettuale (forse anche a causa dell'età, di cui però abbiamo avere rispetto perché... magari arrivarci anche noi) e pubblicato da Feltrinelli.
All'epoca lo Scalfari e il Turani erano rispettivamente amministratore delegato e redattore del settimanale bolscevico "L'Espresso".
La tesi centrale del loro libro è che "l'indebolimento dell'imprenditoria privata, con la scomparsa delle vecchie holding elettriche e l'indebitamento sempre più elevato dei gruppi superstiti, ha portato ad una sempre maggior importanza dell'economia pubblica come erogatrice di finanziamenti e come salvatrice di aziende in difficoltà. Di conseguenza, ha assunto sempre più potere un ceto che gli autori hanno battezzato “borghesia di stato”, in grado di intervenire presso i politici al potere per ottenere benefici per le aziende da loro rappresentate."
Ma il bello deve ancora venire. Il quinto capitolo, intitolato appunto "il saccheggio" si apre così: "Il saccheggio è stato certamente uno degli impegni prevalenti della Montedison a partire dal 1971 (anno dell'avvento di Cefis alla presidenza) A subire i suoi assalti sono stati i tanti lavoratori, i consumatori, il mezzogiorno, certi enti pubblici, certi enti a partecipazione statale, gli azionisti, i risparmiatori, il sistema industriale italiano e persino alcune regole della buona contabilità aziendale." 
E di che stiamo parlando? Sembra di leggere la recente cronaca industriale italiana. Non vi pare?
"Sic transit gloria mundi" sarebbe il caso di dire.
Dall'epoca sono passati 44 anni, erano altri tempi - direte voi - i nostri dovevano pur campare e campare le rispettive famiglie.
Ora, il più giovane dei due è diventato esperto di soldi e, forse, ha anche trovato il sistema per farli.
Nel frattempo, infatti, i due hanno un po' cambiato idea.
Del resto, come diceva Oscar Wilde:
"La coerenza è la virtù degli stupidi."
E gli "eroi moderni" - come si sa - proprio così stupidi non sono. O no?

smr

venerdì 17 agosto 2018

Due questioni di attualità

Voglio qui offrire due brevi riflessioni su altrettante questioni sollevate dall'attualità e dalla cronaca di questi giorni: 
1) la questione dei rapporti tra politica ed economia e imprenditori.
2) l'annosa questione dello Stato di Diritto.



   Sulla prima questione. 
   Specie ultimamente, ma da un paio di decenni ormai, quando penso a un signore sindaco di Firenze il pensiero mi corre a Giorgio La Pira; quando penso a un Presidente del Consiglio il pensiero mi corre ad Alcide De Gasperi. 
   Deformazione da vecchio democristiano? No! Certo che no! Deformazione di un appassionato alla vera democrazia e alla vera politica, quelle con la maiuscola; quelle fatte di passione civile, di etica e di preparazione profonda. 
   Esattamente tutto quello che oggi non c'è più. 
   Alcide De Gasperi, all'epoca, fine anni 40 inizi anni 50, aveva a che fare con un Presidente della Repubblica che si chiamava Einaudi, il primo vero Presidente della Repubblica, uomo di dottrina altissima, di impostazioni culturali eccezionali, noto nel mondo intero per la sua preparazione e per la sua etica. Per dire. 
   Molte volte mi è capitato di leggere o di ascoltare quando disse e poi scrisse, quante volte l'ho riletto: "l'economia è e deve essere ancella della politica". 
   Bisogna ricordare bene queste parole, "ancella", in latino - ancilla , serva: quindi in una vera democrazia sull'economia e sugli (im)prenditori deve prevalere la politica chiamata alla sintesi e al rispetto degli interessi di tutti non di pochi eletti; nonché agli interessi economici dei cittadini e non solo di una oligarchia aristocratica. Non deve prevalere l'economia che domina la politica e foraggia i politici. Proprio come succede oggi. 
   Allora, forse, la chiave per un modo nuovo di interpretare la democrazia sta proprio in questa piccola riflessione; sta in un rapido ritorno al passato migliore della nostra repubblica.

   Sulla seconda questione. 
   Lo stato di diritto è quella forma di Stato che assicura la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà dell'uomo, insieme alla garanzia dello stato sociale. La sua sospensione equivale ad una perdita dei valori fondamentali della civiltà umana. Bene. Questo dovrebbe essere pacifico in dottrina. Ma la realtà è ben diversa. Lo sappiamo tutti ma alcuni fanno finta di non saperlo; alcuni di noi mettono la testa sotto la sabbia, come gli struzzi. 
   Oggi di fronte alla minaccia di questo governo di annullare la concessione delle autostrade ad Atlantia si invoca a gran voce lo Stato di Diritto. E non solo, si ammonisce il governo di aspettare l'operato della magistratura e il corso naturale della legge. Che in Italia tutti sanno corrisponde a tempi biblici. 
   E, allora, vorrei chiedere a questi moderni soloni: credete davvero di vivere in una nazione che garantisce, e a tutti, lo stato di diritto? 
   Se credete che sia così e la vostra risposta è si, vorrei parlare di alcuni casi in cui lo stato di diritto in Italia è già sospeso e avrei pure qualche ulteriore e semplice domanda da rivolgervi: 
   1) dov'è lo stato di diritto per i milioni di disoccupati in una repubblica che si proclama fondata sul diritto di tutti al lavoro? 
   2) E dov'è lo stato di diritto per i ca. 300.000 esodati procurati all'Italia dalla salvifica legge Fornero? 
   3) e dov'è lo stato di diritto di fronte all'inversione dell'onere della prova operato dal fisco nei confronti dei commercianti e degli artigiani costretti da anni agli studi di settori? 
   4) e dove va a finire il sacrosanto diritto alle cure e alla tutela della salute in un paese che non è in grado di garantire efficienza, professionalità e rapidità nella diagnosi, anche nel caso di malattie gravi?
   5) e ancora, dov'è lo stato di diritto quando equitalia arriva a pignorare la prima casa a un cittadino che non ha pagato, forse per indigenza, 2.000 euro di tassa comunale sull'immondizia?
   6) e, per finire, dov'è lo stato di diritto per i cittadini costretti a vivere con la pensione minima di 500 euro al mese?
   Qualcuno è in grado di rispondere? Credo di no!
   E quelli citati sono solo alcuni casi, i primi che mi sono venuti in mente, in cui lo stato di diritto viene calpestato in Italia, ma ce ne sarebbero ancora decine e centinaia se non, addirittura, migliaia. 
   Infine voglio chiudere ricordando che proprio a Genova, in occasione del G8 svoltosi tra il 19 e il 22 luglio del 2001, ci fu una delle più clamorose violazioni dello stato di diritto perpetrato dai governanti italiani nei confronti dei suoi stessi cittadini con quello che è passato alla storia (anche quella giudiziaria) come il massacro della scuola Diaz. 
   Amen!


smr

mercoledì 15 agosto 2018

Siamo carne da macello

Qualche semplice considerazione sul crollo del cavalcavia Morandi a Genova.




Siamo carne da macello, Noi siamo SOLO carne da macello. 
E' una vita che lo vado dicendo e quello che succede quotidianamente in Italia e nel Mondo lo dimostra. Inoppugnabilmente. 
Noi siamo immolati come vittime sacrificali sull'altare dell'economia, della modernità (che non sempre è vero progresso), del capitalismo miope e disumano, del consumismo sfrenato e ostinato. E sempre così andrà! 
I ponti crollano e continueranno a crollare. 
Le persone muoiono e continueranno a morire: nelle lattine con cui si spostano o sotto le macerie di mega-infrastrutture pencolanti costruite dai loro simili. 
I grandi costruttori di mega-infrastrutture continueranno ad usare cemento armato (poco) e sabbia (molta), invece che ferro, per aumentare il loro profitto, e continueranno a tirare su milioni su milioni per opere che non hanno alcun futuro: allora era meglio quando si usava la pietra. Masso su masso e senza malta. 
I padroni delle autostrade, che si sono stancati di fare maglioni colorati, adesso guadagnano 1,1 miliardi di euro all'anno, e continueranno a guadagnare 1,1 miliardi di euro all'anno, se non di più. Con tali enormi utili potranno finalmente comprare il pezzo di Patagonia che ancora gli manca, visto che ne hanno già metà. 
I politici, incapaci, impotenti e miopi, continueranno a fregarsene e ad esprimere, DOPO, il loro cordoglio fintamente triste, inutile e ipocrita. 
E noi? Noi, le persone, la gente, l'uomo della strada, la carne da macello, continueremo a morire, nel menefreghismo delle autorità, dei politici collusi con gli imprenditori, che foraggiano le loro campagne elettorali e i loro attici, e dei responsabili, che però non saranno responsabili mai di niente, anzi saranno sempre... i soliti, perfetti, irresponsabili.
I soliti perfetti impuniti.

P.S.1 Sogno un paese dove si controlli la stabilità di un viadotto prima che  rolli. Sogno, semplicemente, un Paese Normale.

P.S.2 Non si è trattato di una fatalità. La fatalità con le opere umane non esiste. Non lo dico io; lo afferma Renzo Piano. La fatalità non è esistita in altri casi simili e anche peggiori. Ad esempio la Diga del Vajont. Al minimo si è trattato di un errore umano o anche più di uno. Come largamente anticipato dall'ing. Brencich che non è un profeta. Lui aveva già detto che i calcoli di Morandi erano sbagliati e che il viadotto aveva avuto dei seri problemi strutturali. determinati da scelte progettuali sbagliate e obsolete.

http://stream24.ilsole24ore.com/video/notizie/genova-ing-brencich-il-ponte-morandi-e-stato-progettato-male/AEVXG4aF




P.S. 3 Un fascicolo è stato aperto dalla Magistratura di Genova, per Disastro Colposo. Intanto sta emergendo prepotente un sospetto terrificante: e se il crollo "spontaneo" del ponte fosse stato considerato solo una delle possibili opzioni? Quanto costa abbattere e ricostruire un viadotto? E allora... meglio aspettare che crolli da solo. Pare che nel 2017, dopo alcune verifiche, si stabilì che per l'abbattimento erano necessari 8/12 mesi e costi per 4/500 milioni. Tutto fu sospeso e aggiornato. PERCHE'?

smr

giovedì 2 agosto 2018

Il mio ultimo lavoro: "Storie vere di briganti ciociari e altri racconti".





Metto qui la eccellente prefazione del critico letterario e amico prof. Dante Cerilli. Che, naturalmente, ringrazio.




Nota critica alle Storie vere di briganti e altri racconti 

"Posso dire di avere abbastanza cognizione di causa per individuare la differente modalità scrittoria che Salvatore M. Ruggiero adopera quando scrive testi sugli argomenti e i personaggi che più lo avvincono (come il cinema, ad esempio, ed Ingmar Bergam), di paesologia (girovagando per i comuni del Lazio e di altre regioni, ispirato da Franco Arminio che ne è il codificatore, ma ammettendo che “Pagine lepine” ne sia addirittura precorritrice), di narrativa (come nel caso delle sue recenti pubblicazioni on-line e cartacee, o di Storie vere di briganti e altri racconti). Se nel primo caso il tenore dello stile rispecchia la caratteristica di chi vuole informare, divulgare, riflettere e ragionare sulle condizioni della poetica e sulle “pieghe” delle personalità artistico-individuali, nel secondo caso l’impronta diaristica e del “giornale” di viaggio prevalgono con l’intento di rendere snello ed agevole il discorso sulla toponomastica, topografia, e sulla carta tematica che rappresenta una mappa socio-economica di un paese ritratto insieme ai lineamenti storici che lo hanno connotato nel corso dei secoli e nella contemporaneità. Nel terzo caso, invece, l’aspetto creativo fa germogliare l’estro di questo prosatore, che contamina le forme ortodosse del periodare per costellarle di interpunzioni e di strutturazioni che rendono soggettiva la forma della proposizione, o con l’intento di usare concordanze ardite, come traslando il colloquiale del parlato reale alla sequela cronachistica del discorso semiologico su carta. Sebbene autobiografia, storia e affabulazione pervadano la narrativa di Salvatore M. Ruggiero, nel caso specifico di “Storie vere di briganti e altri racconti”, lette in anteprima, l’atteggiamento poetico-estetico dei piccoli saggi e della paesologia confluisce interamente nell’economia stilistico-strutturale ed organica dell’opera; per cui non è raro trovarvi citazioni colte scaturite 8 dalle più appassionate frequentazioni letterarie note al riguardo di Ruggiero e pittoriche (Vermeer), oppure quelle più localistiche (da segnalare la “Storia di Coreno” di don Giuseppe La Valle), per nulla escluse fiabe, favole, leggende, dicerie di ogni epoca di ogni nazione, ma soprattutto della Ciociaria, crogiuolo e ricettacolo di terminologie non autoctone che l’autore utilizza per rendere più autentico il parlato e sicuramente più affascinante per chi voglia scoprire connessioni etnolinguistiche ed etnostoriche. Tanto vale per la meticolosità delle descrizioni ambientali e “geografiche”, quanto per le informazioni di carattere storico (peraltro consegnate nella spontaneità e nell’immediatezza di un nonno che racconti le gesta dei personaggi illustri del paese al proprio nipotino), la suggestione emotiva di luoghi, ambienti e personaggi (dico io in una sorta di psicoantropologia del vecchio e del nuovo), siano essi briganti, banditi, massaie, lattaie, preti, perpetue, contadini, pastori, botteganti, sindaci, uomini dagli atteggiamenti e dai soprannomi bizzarri che affollano le scene ricreate e dipinte come nella sensibilità di colui che attraverso la scrittura vuole creare entusiasmo e gioia allo sguardo, agli occhi (come diceva Delacroix), tanto che tutto si pervade di leggerezza e talora d’impertinenza. L’eterogeneità delle storie narrate contribuisce a vedere un diverso piano di cimento dell’autore che dalla semplice narrazione di fatti e di eventi, con la riproduzione circostanziata e circostanziale di particolari “coreografici” del racconto, passa ad una più intima atmosfera che mai indulge ad un lirismo sdolcinato dei sentimenti rievocati, in effetti, con sobrietà. Salvatore M. Ruggiero, in verità, è così anche nella vita reale, quotidiana, egli sa scherzare, sa interagire con allegria con chiunque, sa condividere una gioia, ma senza abbandonarsi ad effusioni enfatiche, esasperate ed esagerate. Come pure egli sa comprendere (nel senso del termine che anche lui usa per dire “sentire insieme”, “mettere insieme” e “sentire-stare dentro”) il dolore, esteriormente, con una grande forza di spirito che comprime, appunto, ogni energia negativa e quasi 9 catarticamente la neutralizza, per essere più leggero e per non far pesare sugli altri il velo della tristezza. Per questo anche quando si parla di distacco, di gente che non c’è più, i toni sono sempre quelli del narratore “regredito” che fa vivere senza eccessivi traumi anche gli eventi più brutti. Una presunta originalità di questi racconti sta nel fatto che risultano avvincenti e si lasciano leggere non perché si arrivi ad un finale a sorpresa, a un colpo di scena, ad una conclusione eclatante: ogni volta ci si accorge che questo non succede e che il punto, che chiude l’ultimo pensiero espresso o narrato, sta lì a dire che si è definito solo un episodio, che solo un quadro di vita è stato incorniciato. Ogni racconto ha la sua specialità nel suo organismo, e la sua ricchezza in un filo conduttore che ti fa leggere, come in una corsa, tutto d’un fiato, fino alla parola che fa da attracco. Il motore di questa costruzione d’intrigo è tutto ciò che emoziona il protagonista bambino o adolescente, come la scena della lattaia che scatena un sommovimento erotico nella mente del piccolo che nella ritualità della mungitura e della distribuzione del latte associa ad ancestrali sentimenti; è la descrizione raccapricciante del fatto che occorse a Marco Ruggiero detto il cannibale, il sapore di zucchero e caffè stantio nella madia della casa divisa in “quarti”, il cachi sottratto nelle piratesche escursioni nel “quarto” di zia Maria la piccola, o il profumo e i colori degli alberi autunnali di zia Maria, la grande, il salotto buono di zio Peppino Barbera, maestro e sindaco, o la controversa personalità di Pascaglin’e tuppu che secondo il nonno dell’autore è come se avesse la corona in mano e il diavolo in saccoccia! Non ultimo è un chiaro accenno alle vicende politiche e amministrative di Coreno Ausonio che si è mostrata, nei secoli, sempre di spirito rivoluzionario contro l’oppressore, in epoca moderna (e anche oltre), sin dal XVIII sec., appena a un decennio dalla presa della Bastiglia, già impegnata contro le truppe francesi che scorrevano sul territorio del Regno di Napoli, e in questo si distinsero gente comune, sindaci e preti! 10 Dalla lettura di queste storie, inoltre, si ha percezione che non sia mai netto e chiaro il confine tra l’evento o fatto biografico e quello di fantasia, tra quello storico e quello puramente leggendario, nonché il paradosso a volte induce a pensare che l’autore o il popolo si siano abbandonati alle fonti dell’immaginario collettivo quasi a voler esorcizzare il male per far trionfare il bene; come quando, un tempo, nella ragione di vita o nella ragione d’essere di un accadimento si neutralizzava l’efferatezza, il disagio, una calamità, o un pauroso mistero. Eppure, una vitalità di personaggi, dalle qualità psico-caratteriali davvero esilaranti o torbide, intesse la trama di ogni racconto e lo rendono documento che tende a ricreare gli ambiti di un passato lontano, di Coreno Ausonio, ma anche recente, di cui Salvatore M. Ruggiero e qualche suo antenato (nonno, zio/zia, pro zio/zia, cugino, genitori), insieme ai “tredici casali” del paese (Vori, Onofri, Stavoli, Rollagni, Carelli, La Torre, Curti, Magni, Pozzi, Lormi, Tucci, La Piazza e Ranoccoli) sono protagonisti, e che altrimenti andrebbe perduto." (Dante Cerilli)