sabato 28 febbraio 2015

Un brano dalle PASSEGGIATE nella MEMORIA...

Metto qui un brano dal mio ultimo libro di racconti paesologici:

PASSEGGIATE NELLA MEMORIA PROFONDA DI UN RAGAZZO DI PAESE.



Il libro è il quarto di una ipotetica "Quadrilogia di Coreno" dopo LE STAGIONI DELLA LATTAIA; STORIE DAL PAESE DEI CICLAMINI; CRONACHE DAL PICCOLO BORGO DELLA PIETRA MILLENARIA.


   





  Mio padre, che amava la caccia, ha sempre avuto un cane che lo accompagnasse nelle sue battute. Ricordo che un giorno, io ero poco più che un bambino, arrivò a casa con un bracchetto delizioso tra le braccia. Era tutto marrone, con le orecchie grandi penzoloni marroni, il corpo ciotto e le zampette lucide e marroni. Solo la punta della coda era bianca. Che bello, che bello. Facemmo tutti, stringendoci intorno a lui per toccarlo e accarezzarlo. Non c'è niente di più amabile dei cuccioli, di qualsiasi animale. Io da bambino li adoravo. Leggevo apposta una rivista per bambini che si chiamava "Il Giornalino". C'erano quasi solo cuccioli. Di cani, di gatti, di scoiattoli. Di tuti gli animali domestici e selvatici. Tutti bellissimi e adorabilissimi. Tanto la coda ai bracchi va sempre tagliata e da cuccioli, molto prima che diventino adulti. Disse mio padre con una punta di malvagità. Noi, presi dai festeggiamenti, non ce n'eravamo nemmeno accorti ma, al seguito di mio padre, era entrato in casa un suo amico, un signore che si chiama Franco C. . Armato di una piccola ascia. Arguimmo subito che l'operazione di cui mio padre parlava doveva avvenire lì e in quel momento. Cominciammo a fare baccano per impaurire il cucciolo. E l'idea fu buona perché il cucciolo scappò davvero. Solo che invece d'imboccare la porta sulle scale e mettersi in salvo, corse nella stanza da letto dei miei. Per mio padre, chiudere la porta, intrappolarlo in un angolo e catturarlo, fu un gioco da ragazzi. Lui e Franco portarono il cucciolo in soffitta. Si chiusero a chiave la porta alle spalle impedendoci di seguirli. Legarono stretto stretto uno spago sulla coda, a quattro o cinque centimetri dalla base e procedettero all'amputazione. Sentimmo solo il colpo sordo dell'ascia sul ceppo di legno che mio padre aveva già pronto. E il lungo guaito di dolore del piccolo cane. Quando rientrarono in casa, ai nostri occhi ci apparivano come due boia medievali, senza cappuccio e in abiti moderni. Li odiammo a morte, per quel gesto che ritenevamo violento e disumano.  Mio padre riportò il bracchetto nel bagno, dove lo ripose in una cesta di vimini che aveva preparato a terra. Ripose in mozzicone di coda recisa in una busta di plastica e buttò tutto nella spazzatura. La povera bestiola, col moncherino di coda fasciato, ancora tremava per la paura e guaiva per il dolore. Sembrava che piangesse. Franco tentò ancora una volta di spiegarci che il loro non era stato un gesto gratuito, ma che i cacciatori amano i cani, come e, forse, più di noi bambini. Il povero Franco abbozzò anche una spiegazione pseudo-scientifica, che però non convinse nessuno. Ai bracchi dev'essere tagliata la coda per impedire che si feriscano quando attraversano i rovi per recuperare la preda. Cominciammo ad accettare e a capire la cosa, quando il bracchetto smise di soffrire e cominciò ad abituarsi all'assenza della coda. Quando la ferita fu rimarginata la coda sembrava essere stata sempre corta. Dopo qualche tempo anche il bracchetto mostrò di aver dimenticato quanto era accaduto quel giorno in soffitta. Dopo di quello, papà ebbe altri cani, ma tutti di una razza diversa. Erano setter, con una coda lunga e pelosa. Ai setter la coda non va tagliata. Mi piace pensare che forse scelse quella razza per evitare che noi soffrissimo ancora inutilmente.

Nessun commento:

Posta un commento