sabato 10 ottobre 2015

Quello che pensava Alessandro, il funaio che somigliava a Nero Wolfe, del disastro del Vajont.


cose non ne capiva granché. Quindi faceva partire commenti
sintetici, come volesse tagliare a corto. Allora quelle considerazioni
mi parevano scontate, se non addirittura banali. A riesaminarle oggi, per un’insospettata concretezza che ho scoperto in lui, si rivelano illuminanti come proiettili traccianti, esplosive come granate. Ne ricordo alcune come fosse ora. Le porto stampate indelebili nel cervello. Nell’autunno del ’63 fummo tutti scioccati dalla tragedia del Vajont. La catastrofe ci colpì forse più di altri - aveva cancellato un villaggio grande, più o meno, come il nostro. 1910 morti in quattro, interminabili, minuti d’orrore. Tutti, indistintamente, avevamo negli occhi, nella testa, e nel cuore, le immagini raccapriccianti dell’immane disastro che vedevamo in TV. Un pomeriggio tardi, di quello che per noi fu un mite ottobre, Alessandro stava, come al solito, seduto sotto casa a lavorare. Intorno alla sua postazione s’era formato spontaneamente un capannello di persone. Cosa che avveniva anch’essa di solito. Lui, mal sopportando la sequela ininterrotta di banali commenti, che ripetendosi da giorni, era costretto, suo malgrado, a sopportare, interruppe per un attimo il lavoro e sbottò all’improvviso. - “Bastava non farla proprio lì quella fottutissima diga. Perdio!” disse contundente. Così - feroce e spiazzante - ancora una volta aveva fulminato tutti. Poi, come non fosse successo niente, riattaccò subito a lavorare. Ma, se ricordo bene, due lacrime gli solcarono le guancione rubizze."


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