lunedì 26 novembre 2012

Storie di paese.11


Ursulella è l'ultimo mastro casaro ancora in attività rimasto al mio paese.
E' cugina di mio padre, figlia del leggendario zio Giovanni, fratello di mio nonno Salvatore: quello che quando veniva a prendere la pensione all'ufficio postale su al paese, riscuoteva i soldi, li divideva in mazzetti non tanto spessi, di una decina di milioni ognuno, e se li faceva cucire dalla moglie nella federa della giacca, l'unica che aveva, quella che portava addosso, d'estate e d'inverno.
Non aveva nè caldo d'estate, nè freddo d'inverno, ma doveva sempre stare vicino ai soldi; i soldi dovevano stare sempre vicino a lui, anzi addosso a lui. 
E allora aveva studiato questo curioso espediente di cui nessuno sapeva nulla, tranne la fidata moglie.
Quando è morto, una quindicina d'anni fa, aveva ottant'anni, hanno trovato la giacca appesa a un chiodo da dieci storto, infilato dietro la porta della camera da letto, pesava troppo, c'era tutto il suo denaro dentro: un centinaio di milioni in contanti e buoni fruttiferi.
Quando m'incontrava in paese mi baciava sempre con grande trasporto, ma non ricordo che mi abbia mai dato una moneta.
"Tuturì, Tuturì, vè cà!" diceva in dialetto stretto.
Poi, in italiano perfetto, mi sottoponeva a un quiz, che consisteva sempre nella solita, unica domanda.
Per anni, anche quando ero diventato grande, mi chiedeva: 
"Quanto pesa, secondo te, una zanna d'elefante africano!"
Non mi degnavo nemmeno di rispondergli, facevo spallucce, gli urlavo in faccia un bel "BOOH!" e scappavo. 
Tanto in palio non c'era mai niente. 

Ursulella avrà una sessantina d'anni, ma se li porta bene, un po grassoccia ma in ottima salute, sembra una vergara marghigiana.
Quando ha le guancie rubiconde potresti anche scambiarla per una contadina siberiana.
E' sposata con Mario, detto "Mariuccio", anche lui fa Ruggiero di cognome, come buona parte dei nostri compaesani. 
Ruggiero, dal sassone Rutger (siamo parenti lontanissimi di Rutger Hauer, il co-protagonista di "Blade Runner", un mio film di culto, ma da prima che scoprissi la storia del cognome), è uno dei cognomi più diffusi a Coreno, ma non siamo tutti parenti, anzi, molti di noi non sono parenti fra loro, solo ...cognonimi.

Ursulella e Mario Ruggiero non hanno avuto figli e non hanno mai nemmeno pensato di adottarli.
Evidentemente stanno bene così.
In compenso hanno una fattoria in campagna, dove vivono e lavorano, piena di gatti, saranno una trentina, ognuno battezzato da Ursulella con un suo nome proprio.
E se li ricorda tutti, uno per uno.
Certe volte la prendo in giro, accusandola di barare ma lei li chiama tutti e non sbaglia mai il nome, nè lo dimentica, anche se costretta a snocciolarli per due o tre volte di seguito. 
Allora è proprio vero che se li ricorda tutti, manco fossero figli.

Ursulella e Mario vivono di pastorizia - un'attività economica che si sta estinguendo in Ciociaria come in tutto il resto d'Italia - hanno un centinaio di capre.
Mario le pascola, insieme le mungono la sera, appena tornate dal pascolo, ma solo Ursulella ha imparato a lavorare il latte e a farne derivati: ne ricava delle ottime ricotte e formaggio fresco. 
Una parte della produzione la vende in giornata; la parte in esubero la stagiona e la mette sott'olio. 
Le sue ricottine stagionate si spalmano sul pane, come nutella: sono pornogastriche.
D'estate, ogni sabato dopo l'una, mamma mi chiede di accompagnarla con la macchina a prendere un paio di dozzine di ricotte fresche che poi distribuisce fra tutti gli zii e i figli.
Anche le ricotte fresche sono praticamente una panna. 
A me piacciono spalmate sul pane casereccio e spolverizzate con una nevicata abbondante di zucchero. 
Che meraviglia!

Al segnale di mia madre, allora, mi butto con la macchina lungo la Nuova Via Serra, una strada lunga tre chilometri e costata quasi un milione di euro a chilometro, nata sul tracciato del vecchio tratturo della Serra, che ricongiunge il paese alla sua campagna. 
In pratica una picchiata assurda, fatta di soli due o tre lunghi tornanti e interrotta da due tre curvoni che mettono i brividi e spingono verso l'esterno.
La sua pericolosià è seconda solo alla sua bellezza.
E' molto panoramica e percorrendola in discesa sembra di tuffarsi direttamente nel Golfo di Gaeta, con tutta la macchina. 
E, si! Perchè non vi ho ancora detto che Coreno Ausonio è l'unico paese, del centinaio, quasi (per l'esattezza sono 91) di paesi della provincia di Frosinone, che affaccia direttamente sul mare.   

Una volta arrivati a valle si percorre per ancora qualche centinaio di metri un reticolato di stradine asfaltate e polverose, percorse per lo più da camion stracarichi di pietre, e si arriva a una specie di enclave di abitazioni rurali: un piccolo borgo che sembra fuori dal tempo, l'estremo avamposto civile abitato nel bel mezzo del bacino marmifero, gioia e dolore della nostra comunità. 
Ma questo è un'altro discorso.
La casetta di Ursulella e Mario, alla fine di una salitella abbastanza ripida, è annunciata da un forte afrore di sterco e urina capra che prende le narici, ma dopo un po ci si fa il naso, ci si abitua, anzi quell'odore d'antan risulta quasi gradevole all'olfatto.
In casa, invece, l'odore dominante è quello del latte, del latticello e della caseina in tutte le sue numerose sfumature olfattive.
Io non entro quasi mai, mi limito ad urlare nell'aria, in direzione della casa, un saluto dal centro dell'aia che sta proprio di fronte alla porta d'ingresso, preferisco restare fuori per piluccare avidamente more di gelso bianco mature, che pizzico direttamente dai rami pendenti bassi di un grande albero che sta proprio sul cancello di casa.
E intanto sento Ursulella che dice a mia madre:
"Tuturigliu è rimastu fore pe se magnà gli ceose mee!" 
E si scompiscia di risate.
Quando ho finito coi gelsi mi sposto di qualche decina di metri e vado a testare il giusto grado di maturazione dei fichi e dei fichi d'india, altri due frutti molto saporiti che nelle nostre campagne crescono spontaneamente e in abbondanza lungo i bordi dei caratteristici terrazzamenti in pietra: le vecchie macere. 
Con questi frutti durante la guerra si sono sfamati gli sfollati in  montagna, oggi le piante restano cariche dei loro bei frutti maturi, destinati a non essere raccolti, ma a cadere per terra e marcire: nemmeno i beccafichi li mangiano più.
Ma i beccafichi non abitano più questi posti polverosi, rumorosi e inospitali: quasi certamente sono stati allontanati definitivamente dai rumori assordanti delle miniere e dagli scoppi delle mine che spaccano i sassi. 
Se si capita da queste parti nell'orario in cui i fuochini accendono le micce innescate nella montagna di marmo sembra di stare in tempo di guerra, sotto un bombardamento di mortai. 
E pensare che quì i bombardamenti veri, quelli che venivano dal cielo e dal mare, quasi alla fine della seconda guerra mondiale,  c'è chi li ha vissuti davvero.

Chissà che, presto, anche le poche persone, i pochi umani relegati in una campagna che nessuno coltiva più, quelli ancora attaccati a questi lembi di terra e sassi, non si stancheranno e abbandonando tutto, si rifuggeranno nel più comodo, ospitale centro abitato.


smr

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