domenica 6 gennaio 2013

Storie di paese. 25

Mio figlio Antonio, il primo, ha quasi 10 anni, li compie il 20 marzo.
La seconda, Sveva, ne ha compiuti otto lo scorso novembre.
Sono incazzato nero col maschio.
Quando sta in casa e non ha da fare i compiti gioca esclusivamente coi suoi giochi elettronici.
A 4 anni lo zio Sandro gli regalò la sua vecchia PS1 e una scatola piena di giochi.
Tutti rumorosi, violenti e per lo più inutili o, comunque, poco divertenti.
Il più bello, per me, era il tennis, il primo favoloso tennis elettronico con la rete in mezzo e due segmenti a fare da racchette e uno da pallina.
Da quella versione, che oggi sembra primitiva, sono passati due o tre lustri, sembrano passati due o tre secoli.
A 6 anni Antonio chiese ed ottenne da Babbo Natale una PSP.
La Play Station Portatile.
Con tanto di web cam per catturare gli invizimals.
Che cazzo saranno non lo so e non voglio nemmeno saperlo.
So solo che ogni tanto, quando vuole catturarli, lo vedo girare carponi per casa alla ricerca di un colore particolare. Dice lui!

Ad ogni compleanno Antonio riceveva un gioco nuovo, per lo più costoso, violento, rumoroso, inutile e poco divertente.
Ogni tanto mi viene vicino e mi dice: "Papà, questi giochi mi annoiano!"

Quest'anno ha chiesto ed ottenuta, sempre a Babbo Natale, una Wii.
Dentro la confezione c'era un gioco: rumoroso, colorato, stavolta violento no, ma inutile si.
E sempre poco divertente.
Risultato: se ha tutti i giochi spenti dice che si annoia.
Non sa fare altro.
Allora gli do un calcio in culo o una sberla in testa e lo mando giù in cortile a sgranchirsi le gambe con la bicicletta.
Oppure lo costringo a prendere in mano un libro.
Per leggere Il piccolo principe ci sta mettendo un paio di mesi.
E quello che avevo io nella mia libreria non andava bene.
No!
Un giorno è andato in biblioteca e se n'è presa una copia diversa.
In macchina gli ho detto: "Antonio il libro che hai preso è uguale a quello che già abbiamo a casa."
Mi risponde candidamente, ma anche intelligentemente (buon per lui):
"Lo so! Ma questa edizione ha le illustrazioni a colori. La nostra in bianco e nero."
Non ho una pezza a colore - appunto ! - touchè!
Ma, se tanto mi da tanto, per leggere Il signore degli anelli ci metterà un paio d'anni.
Anche perchè le rare illustrazioni e la carta geografica dei topos fantastici tolkeniani sono in bianco&nero.

Altro risultato del lavaggio di cervello dovuto ai giochi elettronici è la sua assoluta mancanza di fantasia.
Al contrario della sorella alla quale non piacciono i giochi elettronici e che, giocando quasi esclusivamente con le bambole Lalaloopsy, di cui fa collezione, ha una fantasia fervida e si diverte un mondo, anche quando gioca da sola.

Quando avevo la sua età il gioco più avveniristico che avevo a disposizione era il più classico dei trenini elettrici.
Me lo portò la Befana e durò appena qualche settimana.
Praticamente fino a quando non decisi di aprirlo e smontarlo pezzo a pezzo per vedere com'era fatto dentro.
Ovviamente non fui più capace di riassemblarlo e non corse più, nemmeno a spinta.

Ma a me, da sempre, sono piaciuti tutti i giochi che si facevano en plain air, e alla mia epoca quasi tutti i giochi si facevano all'aria aperta.
Avevamo gliu canteru, una specie di nascondino: uno dava un calcio a una lattina vuota di quelle dell'olio per automobili e gli altri correvano a nascondersi, mano mano che li trovavi li tanavi; se uno arrivava alla lattina prima di te e gli dava un altro calcio liberava tutti e si ricominciava da capo.
D'estate o in primavera, appresso a quella lattina deformata dai calci, ci passavamo intere serate.
Poi avevamo le biglie di vetro, le palline: giocavamo accosciati per terra, dentro la cunetta di cemento che costeggiava il Viale della Libertà dalla chiesa di Santa Margherita, in Piazza, fino alla curva.
Era divertentissimo, specie quando pioveva, perchè la pista era pulita, altrimenti dovevi spazzolare la terra e i residui di polvere continuamente con le mani, per far correre le palline senza scrucchi.
Una volta arrivati in fondo, siccome non potevamo andare in salita e non era nemmeno divertente come in discesa, tornavamo in piazza e si ripartiva.
Poi c'era gliu circiuglu, una ruota di bicicletta senza camera d'aria, senza raggi e senza copertone controllata con un filo di ferro, robusto ma flessibile, che correva nella scanalatura: vinceva chi non perdeva il controllo della ruota, la teneva dritta e faceva più metri spingendo col braccio e correndogli dietro.

Per un lungo periodo, al mio paese, sono andate di moda, complice anche l'assoluta mancanza di traffico, le favolose carrozzine con le ruote a palline: le costruivamo noi, da soli, con elementi semplici, un martello due chiodi e quattro viti, un asse di legno come sedile e tre ruote di ferro, i cuscinetti a sfera del tipo che costruivano solo alla RIV-Skf di Cassino.
Scoprii l'esistenza reale della mitica fabbrica quando, finita la scuola media, andai al Ginnasio a Cassino.
Due ruotine andavano dietro infilate in un asse fisso di legno e una davanti alloggiata in un mozzo sempre di legno.
Partivamo dalla piazza e poi lungo tutto Viale della Libertà, ad una velocità ragguardevole, fino alla curva del Camposanto.
Eravamo troppo veloci e allora eravamo costretti a mettere un freno, a volte anche due, uno a destra e uno a sinistra: una leva di legno coperta con un tacchetto di plastica dura, da far strusciare a terra per rallentare.  

Il gioco più moderno ed elettronico su cui potevamo contare era il flipper del Bar di Cardillo, in piazza.
Ma per giocare ci volevano i soldi e non sempre li avevamo.
E se proprio dovevamo mettere i soldi in un gioco per giocare preferivamo il calciobalilla: la gettoniera prendeva anche le cinque lire ammaccate, invece della moneta rossa delle venti lire, e giocavamo dieci palline in quattro.
Ed era rumoroso lo stesso e molto più divertente del flipper.
 
Qualcuno dalle parta alta del paese, quella più tradizionalista - in basso eravamo un pò più moderni e smaliziati - ogni tanto portava uno strummolo.
Se lo tirava fuori dalle tasche come fosse un'antica e preziosa reliquia.
Era solo un pezzo di legno molato a forma di ogiva, con un pezzo di chiodo che usciva dalla punta e scanalature intorno per attorcigliare attorno una cordicella di canapa con la quale si avviava la rotazione.
Arrivata a terra, anche a diversi metri di distanza, se il lancio era stato effettuato a regola d'arte, la trottola, faceva una scintilla sulla pietra e continuava a girare vorticosamente per lunghissimi minuti.
Quando aveva esaurito l'inerzia, lo strummolo si afflosciava a terra, esausto, inclinandosi tristemente su un lato.
Come fosse morto.

Il regalo più bello, più colorato e più poetico che Antonio abbia mai ricevuto è un trenino di legno colorato dell'Ikea che lo zio medico gli regalò quando aveva appena tre anni.
Si! E' proprio quello della foto.
Una motrice con tre carrozze colorate e una dozzina di pezzi di legno naturale a incastro per fare i binari a forma di otto.
Provo un groppo al cuore e un profondo senso di tristezza quando, passando in cortile, di quel trenino scorgo un pezzo interrato nell'aiuola, un'altro semi-nascosto nell'erba alta e la motrice nera e rossa a scolorire sul muretto di cinta.
Un giorno, prima che marciscano, dovrò cercarli tutti i 20 i pezzi perduti di Lillabo, il trenino colorato dell'Ikea - penso, fra me e me - dovrò rimeterli assieme, restaurarli e farli ... rivivere ancora per un altro secolo.
Sopravviveranno a tutti noi e quando qualcuno li ritroverà, magari scavandoli dalla terra, come li ho scavati io, dirà:
"Ma allora all'inizio del terzo millennio c'era ancora un po' di poesia sulla Terra!"


smr

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