lunedì 11 giugno 2012

Appunti sparsi dopo la visione del film di Ingmar Bergman: PERSONA.


"Credo che Persona sia profondamente legato alla mia attività di Direttore del Dramaten. L'esperienza era una fiamma ossidrica che determinava una specie di rapida maturazione. Essa concretizzava, in modo brutale e ovvio, il mio rapporto con la professione”.
(Ingmar Bergman, a proposito della genesi del film, dal suo libro-diario: “Immagini”).

1 - La genesi.

Così, nei primi mesi del 1965 nasce “Persona”.
Ingmar Bergman aveva 42 anni nel 1962, quando fu nominato direttore del Dramatiska Teatern, il luogo culto del teatro svedese, il luogo che aveva reso famoso il teatro di August Strindberg, e che sarà retto dal Maestro per quasi 50 anni.

Il film è la storia, volutamente scarna ed essenziale, dei rapporti che due donne sono costrette a vivere quando una di loro subisce un attacco di afasia e l'altra le viene affiancata per fornirle assitenza paramedica e compagnia, durante la convalescenza.
Sebbene non si possa parlare propriamente di convalescenza bensì di un periodo di ritiro dalle scene e di riposo, in quanto all'attrice non è stata diagnosticata alcuna malattia e, di conseguenza, alcuna cura per nessuna malattia conclamata.
La prima delle due è un'attrice, affermata e famosa, che nel corso della rappresentazione di un dramma - si tratta della Elettra di Sofocle - viene colpita in scena, sul palcoscenico del teatro dove recita, da uno strano malore: le manca d'improvviso la parola.
Si chiama Elisabeth Vogler ed è interpretata da Liv Ulman.
L'altra è una giovane infermiera venticinquenne che, nella prima scena “regolare” del film, è convocata nello studio della direttrice della clinica che le affida il compito di seguire ed assistere l'attrice "malata".
I ci troviamo, sostanzialmente, davanti a due paradossi: un'attrice afasica e una infernmiera che non deve curare nussun malato.
Nel corso del film, per un momento, si rivoluzionano i rapporti, i ruoli si capovolgono: Alma legge una lettera che avrebbe dovuto solo postare.
E' stata scritta da Elisabeth ed è indirizzata alla direttrice della clinica, in essa l'attrice rivela alla dottoressa che le piace ...studiarla (le piace studiare Alma, ndr).
Ma, in un gioco di identità portato alle estreme conseguenze, le due donne si avvicinano fisicamente, al punto da compenetrarsi, fino quasi a fondersi.
E fino al punto da trarre in inganno non solo lo spettatore ma, addirittura, il marito dell'attrice, che recatosi a trovare la moglie, tenta un approccio con l'infermiera Alma scambiandola per Elisabeth.

Grandissima prova di abilità tecnica da parte del regista e del suo direttore delle luci. Scrive Bergman nel suo libro Immagini:
"Io e Sven Nyquist decidemmo di lasciare la metà del volto nel buio completo ...insomma, non avrebbe dovuto esserci neppure una sfumatura di luce. Questo era inoltre un passo naturale a combinare, proprio nella fase del monologo, i mezzi volti illuminati in modo che si fondessero in un volto unico. La maggior parte delle persone ha, chi più e chi meno un lato migliore del volto. Le immagini dei volti di Liv (Elisabeth Vogler, ndr) e di Bibi (Alma, ndr) illuminati per metà, che poi noi unimmo insieme, dimostrarono il lato peggiore di ciascuna di loro”.

Non si è parlato a caso, in precedenza, di una ...prima scena regolare del film.
Perchè, in effetti, il film si inizia in modo, diciamo così ...irregolare.
Principia, infatti, con un lungo prologo, della durata di 6 minuti.
Che poi verrà riproposto fedelmente a metà del film e ancora una volta alla fine.
Con esso il Maestro intende ammonirci che stiamo per assistere ad una messinscena, ad una illusione, ad una finzione cinematografica, appunto.
Prima dei titoli di testa un flusso di immagini e suoni sconnessi investe lo spettatore: una pellicola; un arco voltaico; il ronzio della proiezione; una luce abbagliante; code; start; fotogrammi isolati; un pene in erezione (che pochi in Italia hanno mai visto, perchè censurato nella versione che circolò nel nostro paese); immagini capovolte.
Mano a mano che la proiezione prosegue, le immagini acquistano significato.
Sembrano, e potrebbero esserlo, tutte immagini prese da spezzoni di altri film già girati dallo stesso Bergman o da altri registi: fotogrammi di una comica di Melies; un orribile ragno; un agnello sacrificale che viene sgozzato; una mano inchiodata alla croce; rumori di passi e di gocce d'acqua; un obitorio con una serie di cadaveri stesi sul marmo; squilli di telefono che provocano l'improvviso, improbabile risveglio del cadavere di una donna; un bambino che si sveglia, si agita, tende una mano davanti a se, accarezza il volto di una donna, si alternano i volti delle due attrici del film: Liv Ulman e di Bibi Anderson.
Finalmente partono i titoli di testa.
E altri rapidi flash si alternano:
il bambino; la madre; un bonzo che si da fuoco; un paesaggio marino.

Fin dalla sua uscita il film fu recepito come altamente sperimentale nelle tecniche cinematografiche che Bergman utilizzò per trasmettere il senso di incomunicabilità tipico della sua poetica.
Sperimentale anche e soprattutto nello studio della luce e della fotografia, diretta magistralmente da Sven Nyquist e sperimentale anche per la tecnica di montaggio, nuovo e, per certi versi, rivoluzionario, a cura di Ulla Righe.
Effettivamente è riscontrabile nell'analisi della cinematografia di Bergman quanto “Persona” rappresenti un'altra nuova soluzione al problema della rappresentazione dei drammi interiori umani e sociali, nel caso specifico una soluzione asettica, fredda, talvolta allucinata e comunque inedita all'interno del panorama artistico del cineasta svedese.

2 – La recensione di Alberto Moravia.

L'opera di Bergman fu recensita anche dallo scrittore romano Alberto Moravia che ne esaltò la profondità interpretativa su vari livelli, individuando e codificando quattro diverse chiavi di lettura:
a) psicologica , riguarderebbe la storia di un rapporto omosessuale non corrisposto, tra una personalità debole che ama (l'infermiera Alma) e una personalità forte che, invece, non ama (l'attrice Elisabeth Vogler);
b) ideologico simbolica, ideata secondo un'ottica specificatamente moraviana, si presta alla rappresentazione di una civiltà occidentale alienata e in crisi di valori e d'identità che, a seconda dell'individuo preso in considerazione, recita una parte insensata oppure, addirittura, recita ....tacendo;
c) filosofica, Moravia si ispira a Kierkegaard (vedi nota dedicata) per quanto riguarda il discorso sul senso di responsabilità etica, sul senso di colpa , sull'angoscia e sulla disperazione ontologiche;
d) sociologica, Bergman, regista di estrazione borghese, analizza impietosamente le conseguenze sociali delle caste e delle classi che si intersecano, attraverso i vari personaggi, senza peraltro ricercarne le cause incidentali.

Moravia non mancò comunque di criticare il film per alcuni aspetti particolari.
Secondo lo scrittore romano, che accusò apertamente Bergman di manierismo, l'accentuata freddezza quasi documentaristica del film derivava dal fatto che tutte le chiavi di lettura coesistono tra loro in maniera chiara e distinta: in tal modo la poesia dai molteplici risvolti che Bergman cerca di trasmettere perde di istintività ed immediatezza ed ambiguità, per divenire pura applicazione di maniera.
Proprio da questa osservazione nasceva la sua idea che il film desse i suoi maggiori risultati nelle rare sequenze non parlate, nelle quali Bergman sembrava restituire un significato misterioso e profondo al dramma interiore dei personaggi.

Oltre alla scenografia anche il cast del film è ridotto all'osso: gli attori sono solo cinque.
La scena è quasi sempre occupata dalle due protagoniste femminili contemporaneamente.
- La giovane infermiera venticinquenne Alma, è interpretata da Bibi Anderson;
- Elisabeth Vogler, l'attrice colpita dalla misteriosa afasia, è interpretata da Liv Ulman;
- la dottoressa che, nelle scene iniziali del film, convoca Alma nel suo studio è interpretata da Margaretha Krook;
- il signor Vogler, marito di Elisabeth, è interpretato da Gunnar Biornstrand;
. il ragazzo del prologo è interpretato da Jorgen Lindstrom (lo stesso bambino che Bergman utilizza ne Il silenzio, nel ruolo del figlio di Anna.

3 - "La più forte” di Strindberg; “Persona” di Bergman.
Analogie tra due drammi borghesi.

Ma, chi ama profondamente e, altrettanto profondamente, conosce il cinema di Ingmar Bergman ed, in modo particolare il suo film: “Persona”, non potrà non scorgere le forti somiglianze con un dramma di Strindberg, datato 1889: “La più forte”.
Si può, addirittura, dire, e molti critici lo hanno fatto apertis verbis, che Il Bergman di “Persona” incontra lo Strindberg de “La più forte”, al "punto da rilevare facilmente come Il film di Bergman (successivo) abbia molti punti in comune con il dramma borghese di Strindberg (precedente).
E si può anche aggiungere che il problema della "incomunicabilità" e del "silenzio" di Strindberg incrocino la loro strada con le corrispettive problematiche elaborate nel cinema di Bergman.
Quando Ingmar Bergman spiegò il soggetto di “Persona”, lo riassunse in questi termini: “E' un film su una persona che parla e su una che non parla, e si confrontano le mani e si mescolano l'una con l'altra”.
Kenne Fant, che era allora Presidente dello Svenska Filminstitutet, con una notevole dose di comicità involontaria, rispose: "...non dovrebbe essere un film molto costoso!".
Il film, in buona sostanza, è la ricerca delle caratteristiche che legano una coppia di donne (protagoniste anche della "piece" strindberghiana), di cui una è silenziosa e la seconda è alla continua ricerca della verità nell'altra.
Persona” è una pellicola, molto sottile e complessa, oltre che su quelli già accennati, anche sul tema dell'identità di genere e sui ruoli che sono assegnati alla donna dalla società.
Non è dertamente una coincidenza che una delle due donne sia un attrice, colta in un eterno attimo di smarrimento proprio mentre interpreta il ruolo di Elettra.
La più forte” è basata su questo semplice principio: una donna parla e una ascolta, o meglio, risponde con espressioni non verbali.
La domanda retorica su quale delle due donne di "Persona" sia la .....più forte è in realtà destinata a restare senza risposta.
Ma si sa bene che Bergman si interroga, si pone delle domande, ma non a tutte le domande da delle risposte; non a tutte risponde.
Non per tutti i quesiti ha o, meglio, da una risposta.
Non a tutti i problemi offre una soluzione.
C'è però qualcosa di più profondo, un sottotesto impalpabile e inafferrabile, una sorta di enciclopedia di poche parole sul significato di genere dell'essere donna.
Quella che la donna silenziosa e la donna preda di una specie di impeto moralizzatore sembrano suggerire sono gli estremi di un pendolo.
Da una parte la rinuncia di sé in favore di un ruolo che può dare una facile felicità domestica; dall'altra il vuoto della ribellione alla maschera, che può dare la libertà del volo ma anche il precipizio di una caduta rovinosa.
Due estremi che però sono intercambiabili, che sembrano opposti solo perché speculari.

Il critico Tullio Kezich, ha sottolineato, a suo tempo, che: "Persona, è svolto come un teorema che a un certo punto si trasforma nell'operazione senza anestesia che il chirurgo svolge in presenza del pubblico".
Sempre secondo Kezich: "Bergman riduce all'osso le scenografie e gli artifici per indirizzare lo spettatore verso i personaggi, come un diabolico dominatore".
Proprio in questo aspetto trova adempimento l'intenzione sperimentalistica della pellicola, oscillando tra la nevrosi attiva e passiva dell'afasia e le soluzioni registiche brutalmente subliminali e psicoanalitiche.
Il film è grande cinema, capolavoro cinematografico, ma pur sempre cinema.
E' lo stesso Bergman a suggerirci di vederlo come tale, come finzione,,
come riproduzione della vita, proprio all'inizio del film, e ce lo ricorda a metà della visione e, ancora, alla fine della proiezione, quando la pellicola sembra prendere fuoco e autodistruggersi.
Lo fa proponendo una serie di immagini che rappresentano proprio il cinematografo: i carboni dell'arco voltaico di un proiettore; la pellicola che scorre; una sequenza del cinema muto; le mani di un bambino; il sacrificio di un agnello; la mano di Cristo inchiodata alla croce; la neve sporca; un bambino che cerca di aggrapparsi invano a un'immagine di donna irraggiungibile.
E ci avverte anche di leggere il film in diversi modi, fornendoci, per l'uso, diverse chiavi di lettura (tecnica-estetica; religiosa-spiritualistica; psicologica-psicanalitica) delle quali, però, l'una non esclude l'altra.
Ma, tutte insieme, fondendosi l'una nell'altra, in maniera propedeutica, in una sola complessa ed articolata lettura critica, si completano e si perfezionano.

Liliana Cavani, una dei maggiori registi di cultura cattolica, disse, all'epoca della prima uscita del film: "Ho visto poche opere cinematografiche così nette. Il film è il risultato di un paziente lavoro di approfondimento e di rifinitura. E' uno di quei film che indicano ai registi vie nuove per tentare nuove possibilità di espressione".
Il prologo, poi, allinea diversi espliciti riferimenti ad opere precedenti di Bergman.
Ne ricordiamo almeno due, i più marchiani.
Prigione, con la comica alla Melies;
Il silenzio: con lo stesso bambino, che è uno dei tre protagonisti del film, interpretato da Jorgen Lindstrom; e lo stesso libro di Lermontov: “Un eroe dei nostri tempi”.

4 – Tre curiosità.

Infine, tre curiosità:
  1. Il titolo del film deriva dal latino “dramatis persona”, terminologia usata comunemente per definire la maschera indossata dall'attore (e quindi dal personaggio) nel teatro romano. Esopo: “Personam tragicam, forte vulpes viderat” (“una volpe aveva visto, per caso, una maschera tragica”). Si tratta di un chiaro riferimento alla professione della protagonista del film, l'attrice Elisabeth Vogler interpretata da Liv Ullman.
  2. L'attrice afasica si chiama Elisabeth Vogler. Vogler come il cognome del protagonista de "Il Volto", Albert Emanuel Vogler, l'illusionista, stranamente anch'egli chiuso in un enigmatico mutismo per buona parte di quel film.
  3. L'infermiera si chiama Alma, (anima) come l'Alma de "L'ora del Lupo", moglie del pittore Joan, interpretata da Liv Ullman.



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