giovedì 19 marzo 2015

la figura del padre nel cinema di ingmar bergman (libro dedicato a mio padre)

In occasione della festa del papà metto qui un brano tratto dal mio saggio:

La Figura del Padre nel Cinema di Ingmar Bergman.





Si tratta delle Conclusioni.

CONCLUSIONI
Per chiudere, Ingmar Bergman, nei sui scritti e nelle interviste che raramente concedeva, dichiarava di aver tentato varie volte di recuperare il suo rapporto filiale col padre e ne racconta accoratamente un passaggio felice, tratto ancora una volta dai suoi ricordi d'infanzia.
E' come vorrebbe che quei rapporti fossero sempre stati. Un giorno era in gita col padre che spesso accompagnava nelle sue visite alle parrocchie di campagna. La prosa del Maestro, che pare poesia, semplice, ma suggestiva ed efficace. “Quando uscimmo dal bosco di betulle e ci inoltrammo tra i vasti campi della pianura, vedemmo i lampi sui colli. Grosse gocce caddero sulla strada polverosa creando rivoli e disegni. Io dissi: così dovremmo andarcene in giro per il mondo io e voi, papà. Papà rise e mi diede il cappello perché glielo reggessi. Eravamo allegri. Alla salita del villaggio abbandonato arrivò la grandinata... Le grosse gocce di pioggia si trasformarono in spessi pezzi di ghiaccio. Papà ed io ci affrettammo verso la fattoria.[1]
Ingmar Bergman recupererà un minimo di rapporto col padre solo in età avanzata, quando lui era già famoso, la madre era già morta e il padre, quasi smemorato, era alle soglie della morte. Nemmeno l'ombra del pastore protestante rigido e senza cuore che incuteva timore ai figli e gli impartiva quelle feroci punizioni corporali. “Quando papà rimase vedovo andai spesso a trovarlo, ci parlavamo con amicizia. Un giorno stavo discutendo qualche problema con la sua governante, sentimmo il suo passo lento e strascicato nel corridoio, lui bussò alla porta ed entrò nella stanza socchiudendo gli occhi alla luce violenta, evidentemente aveva dormito. Ci guardò meravigliato e disse: Karin è rientrata? Nello stesso istante si rese conto del doppio e doloroso errore. Sorrise imbarazzato: la mamma era morta da quattro anni e lui aveva fatto la figura dello stupido chiedendo di lei. Prima che facessimo in tempo a dire qualcosa agitò il braccio in segno di diniego e se ne tornò nella sua stanza.[2]
Ingmar Bergman appunta nel suo diario gli ultimi giorni di vita del padre. “22 aprile 1970: papà sta morendo... 25 aprile 1970: papà è ancora vivo. Cioè è del tutto privo di coscienza, l'unica cosa che funziona è il suo cuore forte... 29 aprile 1970: Papà è morto. E' stato domenica, alle quattro e venti del pomeriggio; la sua morte è stata dolorosa. [3]

Comunque siano andate in vita le cose fra di loro, qualunque sia stata la ragione dei loro contrasti, la morte di un padre rappresenta sempre la fine di una grande storia.

 smr

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