"...Ero
 bambino. Un caldo pomeriggio  me ne andavo in giro, senza sapere 
esattamente cosa fare - d’estate mi capitava di frequente. Uno dei 
portoni laterali della chiesa era aperto. Lo infilai per entrare. Come 
facevo sempre mi bagnai le dita tuffando l’intera mano 
nell’acquasantiera, e, abbozzando contemporaneamente una genuflessione, 
accennai un veloce segno della croce. Mi guardai intorno, ma non vedendo
 subito l’Arciprete pensai che la chiesa fosse vuota. Intanto la mia 
curiosità era stata attirata dalle alte impalcature di tubi e giunti 
che, da qualche giorno, lui aveva fatto sistemare a ferro di cavallo, 
lungo le tre alte pareti dell’abside - appositamente per quel lavoro. 
Staccai lo sguardo dalla parte vuota dell’assito solo quando dal lato 
opposto lui non mi chiamò col mio nome. Mi conosceva bene, frequentavo 
il catechismo, qualche volta servivo anche la sua messa. Conosceva bene 
tutte le sue pecorelle - nome e cognome, una per una. Don Erasmo non usò
 la sua autorità per indurmi ad avvicinarmi.   Avrebbe potuto, ma non ne
 era capace. Me lo chiese - semplicemente - con la gentilezza che era un
 punto fermo del suo abituale costume. Voleva sapere cosa pensassi del 
suo lavoro. La sua richiesta non mi stupì. Lo conoscevo persona modesta -
 “rara avis”
 - e anche un po’ indeciso. Pareva interessato seriamente a tutti i 
giudizi - non sottovalutava nemmeno quelli di un bambino. Temevo che non
 mi avrebbe sentito. E, mentre dal centro della navata mi avvicinavo 
alla sua postazione, gli urlai contro il mio apprezzamento. Quel mio 
giudizio, in realtà, fu abbastanza generico, ma non avendo altro da 
dire, al momento mi sembrò il più adeguato. - “Mi piacciono molto!”
 gridai. Provocando nella chiesa vuota un interminabile vortice di 
risonanze. I dipinti dell’Arciprete non erano ancora ultimati - alcuni 
li aveva solo abbozzati - ma riuscivano già ad emozionare. Sebbene, come
 succede spesso ai bambini quando sono attirati da particolari 
imponderabili per gli adulti, in quei momenti, nella mia piccola testa, 
anch’io ero applicato in congetture di tutt’altro genere. Ancora prima 
che dalla sua pittura ero stato conquistato dall’insolita scena che, 
inaspettata, mi si parava davanti. Lassù in alto c’era lui. Dritto. 
Impettito. Indossava un grembiule bianco tutto imbrattato di colore sul 
petto e sui fianchi. In testa - sembrava appena appoggiato in miracoloso
 equilibrio - un basco nero da pittore che cadeva di sbieco. Con la mano
 sinistra, immacolata - il grosso pollice infilato nella fessura ovale -
 reggeva la tavolozza dei colori; con la destra un pennello. E ne aveva 
uno più piccolo, presumo per i ritocchi, in bilico su un orecchio.    Il
 suo corpo, che ricordavo legnoso, compassato, quasi impacciato, ora era
 elegante, agile, quasi danzante. Il suo viso pulito, che ricordavo 
eternamente permeato da un’espressione amabile e comunicativa, ora mi 
appariva accigliato, corrusco, stranamente inasprito. Era come 
trasformato, reso maldisposto, quasi ostile, dall’impetuosa tensione 
artistica che al momento lo pervadeva. Solo quando si era accorto che, 
da un canto buio della vasta porzione di platea totalmente immersa 
nell’ombra, c’era ad osservarlo qualcuno che conosceva, Don Erasmo era 
stato distratto da un vero e proprio stato di trance. E, distendendo il 
suo volto in una mimica di poco più conciliante, ma quasi serena, si era
 rivolto nella mia direzione - per parlarmi.    Solo in quel preciso 
istante mi ero accorto che la scena singolare alla quale stavo 
assistendo aveva tutti i crismi di un’epifania. L’Arciprete, spostandosi
 sull’impiantito, invadeva, ad ogni suo movimento, l’evanescente cortina
 di pulviscolo vivificata di continuo dai passi, prudenti ma gravi, che 
muoveva sui tavolacci molleggianti. La sua sagoma, che al momento pareva
 aver perso del tutto le sue caratteristiche umane, infrangeva, 
deviandoli in tutte le direzioni, i mille fasci di luce solare che, 
dardeggiando dagli alti lucernari, fendevano in diagonale l’atmosfera 
altrimenti immobile ed austera dell’abside. Così anche il più 
impercettibile movimento della sua persona diventava evidente. Sullo 
stesso fondale sacro che animava ogni giorno, e gli era congeniale, quei
 gesti - per me, in assoluto, speciali - affrancavano definitivamente 
l’Arciprete dalla ridda di opinioni e di perplessità che, in paese, 
accompagnavano da sempre la sua arte." 
(Il vero Don Erasmo Ruggiero, protagonista della mia Piccola storia n.4: L'arciprete era anche pittore. Dalla raccolta di racconti paesologici di Salvatore M.Ruggiero: Le stagioni della lattaia)
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Facile da leggere, quindi, ma non illudetevi: non è una lettura ...facile.
Nonostante lui si schermisca continuamente, ripetendo ..."non volevo fare letteratura!".
Non credetegli!
Alla maniera di Strindberg il suo autobiografismo è forma alta di letteratura.
Alla maniera di Proust scava nella sua memoria per ricavare pura prosa.
E alla maniera di Carofiglio (si parva licet!) la sua scrittura oltre che pregevole, è onesta, schietta, soprattutto perchè proveniente dal profondo del cuore - si vede, anzi si sente.
La storia del monumento, raccontata dalla pubblicazione del bando di concorso fino alle soglie della sua realizzazione, nell'arco di quasi un anno, s'incrocia sapientemente, con la sua storia professionale e la sua storia personale e privata, contrappuntata da qualche flash-back della giovinezza e con delle interessanti incursioni nel rapporto d'amore con la sua attuale compagna.
Peraltro raccontato senza mai sconfinare nella letteratura erotica, tantomeno nella volgarità.
L'autore opportunamente interrompe la descrizione dei loro rapporti intimi, che restano solo suggeriti, ancorchè chiaramente, un attimo prima che essi avvengano.
Con levità e un pizzico di compiacimento li suggerisce al lettore ..."lasciammo per terra una scia di vestiti che avanzava fino ai piedi del nostro letto!"
Il libro costituisce anche la testimonianza personale e professionale di un bravo architetto costretto a scontrarsi con le lungaggini, gli ostacoli, le situazioni kafkiane che la burocrazia offre a piene mani e che attanagliano la quasi totalità degli uffici pubblici italiani: costituendo per questo peculiare motivo quasi una "istant book" (sebbene si riferisca a fatti del 2006: ma tanto, da allora, non è cambiato niente! Sic!) sull'argomento spinoso dei travagliati rapporti tra cittadino e P.A..
Per la cronaca e per finire: il monumento esiste davvero, alla fine e nonostante gli spiacevoli contrattempi è stato edificato, chi volesse vederlo e apprezzarlo si rechi a Roma, dove lo troverà agevolmente nei pressi della Stazione Ostiense.