sabato 29 settembre 2012

Il mio primo incontro con la pittura.



"...Ero bambino. Un caldo pomeriggio  me ne andavo in giro, senza sapere esattamente cosa fare - d’estate mi capitava di frequente. Uno dei portoni laterali della chiesa era aperto. Lo infilai per entrare. Come facevo sempre mi bagnai le dita tuffando l’intera mano nell’acquasantiera, e, abbozzando contemporaneamente una genuflessione, accennai un veloce segno della croce. Mi guardai intorno, ma non vedendo subito l’Arciprete pensai che la chiesa fosse vuota. Intanto la mia curiosità era stata attirata dalle alte impalcature di tubi e giunti che, da qualche giorno, lui aveva fatto sistemare a ferro di cavallo, lungo le tre alte pareti dell’abside - appositamente per quel lavoro. Staccai lo sguardo dalla parte vuota dell’assito solo quando dal lato opposto lui non mi chiamò col mio nome. Mi conosceva bene, frequentavo il catechismo, qualche volta servivo anche la sua messa. Conosceva bene tutte le sue pecorelle - nome e cognome, una per una. Don Erasmo non usò la sua autorità per indurmi ad avvicinarmi.   Avrebbe potuto, ma non ne era capace. Me lo chiese - semplicemente - con la gentilezza che era un punto fermo del suo abituale costume. Voleva sapere cosa pensassi del suo lavoro. La sua richiesta non mi stupì. Lo conoscevo persona modesta - “rara avis” - e anche un po’ indeciso. Pareva interessato seriamente a tutti i giudizi - non sottovalutava nemmeno quelli di un bambino. Temevo che non mi avrebbe sentito. E, mentre dal centro della navata mi avvicinavo alla sua postazione, gli urlai contro il mio apprezzamento. Quel mio giudizio, in realtà, fu abbastanza generico, ma non avendo altro da dire, al momento mi sembrò il più adeguato. - “Mi piacciono molto!” gridai. Provocando nella chiesa vuota un interminabile vortice di risonanze. I dipinti dell’Arciprete non erano ancora ultimati - alcuni li aveva solo abbozzati - ma riuscivano già ad emozionare. Sebbene, come succede spesso ai bambini quando sono attirati da particolari imponderabili per gli adulti, in quei momenti, nella mia piccola testa, anch’io ero applicato in congetture di tutt’altro genere. Ancora prima che dalla sua pittura ero stato conquistato dall’insolita scena che, inaspettata, mi si parava davanti. Lassù in alto c’era lui. Dritto. Impettito. Indossava un grembiule bianco tutto imbrattato di colore sul petto e sui fianchi. In testa - sembrava appena appoggiato in miracoloso equilibrio - un basco nero da pittore che cadeva di sbieco. Con la mano sinistra, immacolata - il grosso pollice infilato nella fessura ovale - reggeva la tavolozza dei colori; con la destra un pennello. E ne aveva uno più piccolo, presumo per i ritocchi, in bilico su un orecchio.    Il suo corpo, che ricordavo legnoso, compassato, quasi impacciato, ora era elegante, agile, quasi danzante. Il suo viso pulito, che ricordavo eternamente permeato da un’espressione amabile e comunicativa, ora mi appariva accigliato, corrusco, stranamente inasprito. Era come trasformato, reso maldisposto, quasi ostile, dall’impetuosa tensione artistica che al momento lo pervadeva. Solo quando si era accorto che, da un canto buio della vasta porzione di platea totalmente immersa nell’ombra, c’era ad osservarlo qualcuno che conosceva, Don Erasmo era stato distratto da un vero e proprio stato di trance. E, distendendo il suo volto in una mimica di poco più conciliante, ma quasi serena, si era rivolto nella mia direzione - per parlarmi.    Solo in quel preciso istante mi ero accorto che la scena singolare alla quale stavo assistendo aveva tutti i crismi di un’epifania. L’Arciprete, spostandosi sull’impiantito, invadeva, ad ogni suo movimento, l’evanescente cortina di pulviscolo vivificata di continuo dai passi, prudenti ma gravi, che muoveva sui tavolacci molleggianti. La sua sagoma, che al momento pareva aver perso del tutto le sue caratteristiche umane, infrangeva, deviandoli in tutte le direzioni, i mille fasci di luce solare che, dardeggiando dagli alti lucernari, fendevano in diagonale l’atmosfera altrimenti immobile ed austera dell’abside. Così anche il più impercettibile movimento della sua persona diventava evidente. Sullo stesso fondale sacro che animava ogni giorno, e gli era congeniale, quei gesti - per me, in assoluto, speciali - affrancavano definitivamente l’Arciprete dalla ridda di opinioni e di perplessità che, in paese, accompagnavano da sempre la sua arte."


(Il vero Don Erasmo Ruggiero, protagonista della mia Piccola storia n.4: L'arciprete era anche pittore. Dalla raccolta di racconti paesologici di Salvatore M.Ruggiero: Le stagioni della lattaia)


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